Monnet "impresario,, dell'Europa unita di Emanuele Gazzo

Monnet "impresario,, dell'Europa unita COMPIE OGGI 89 ANNI UNO DEI "PADRI,, DELLA COMUNITÀ ECONOMICA Monnet "impresario,, dell'Europa unita Il 9 novembre, Jean Monnet, nato a Cognac nel 1888, compie gli 89 anni. Nella sua casa di campagna di Houjarray, accanto a Silvia che sta dando l'ultimo tocco a un quadrp (certamente dei fiori, forse fiori di quella Cina che li affascinò e dove trascorsero alcuni anni) scambia con lei rare parole. Ascolta le notizie che gli giungono, medita su quel che gli dicono i visitatori — ai quali ha risposto il più delle volte: spetta ormai a voi agire —, osserva l'evoluzione delle cose del mondo, trovandovi la conferma dei suoi timori ma anche delle sue speranze. Quest'uomo, del quale i futuri libri di storia scriveranno che è stato il fondatore dell'Europa, ha nello spirito una certezza: bisogna continuare, continuare senza impazienza ma con tenacia, e cogliere tutte le occasioni per fare un balzo in avanti. «L'Europa non sarà mai finita, ha detto, e la strada da percorrere è lunga: ma quel che è stato incominciato non si arresterà più ». Jean Monnet, tipico prodot to del terroir francese, nato nella tradizione provinciale della Charente, partito da casa a diciott'anni — e senza diplomi — per il Canada, per imparare a conoscere il mondo anglosassone, e per vendere il cognac dell'azienda paterna, non è stato mai « qualcuno » nel senso impiegato dal vocabolario politico contemporaneo. Certo, ha ricoperto numerosi incarichi, ma per periodi generalmente brevi e per compiere azioni determinate. Ci sono due tipi di uomini, ha scritto nelle sue Memorie, « quelli che vogliono essere qualcuno e quelli che voglio no fare qualcosa ». Egli scelse di « fare qualcosa », non è stato mai uomo politico membro di governo, capo partito e tanto meno capo-popolo, e neppure un « saggio » che dispensa insegnamenti e consigli. Ha rifiutato onori e sinecure. Ha scelto generalmente l'ombra, quando gli parve necessario affinché l'azione si compisse. «Fare qualcosa» ha avuto prestissimo, per lui osservatore lucido di uomini e di avvenimenti, un significato e uno scopo precisi, sui quali ha impostato la propria esistenza. Saint-Exupéry disse: d e i : « Il più bel mestiere degli uomini è unire gli uomini ». E' questo il senso profondo dell'azione di Jean Monnet. E dell'Europa unita ha detto: « Noi non coalizziamo degli Stati: uniamo degli uomini ». Un concetto semplice e quasi ovvio, ma che rompe gli schemi politici tradizionali, e che da all'azione con la quale Jean Monnet ha cambiato il corso della storia tutta la sua portata umana. Un concetto che non applica solo all'Europa ma, anticipando i tempi, al mondo. « Vorrei esser riuscito a far capire, ha detto un giorno, che la comunità che abbiamo creato non è fine a se stessa ». Oltre le patrie L'idea dominante dell'* uni une degli uomini » e della indispensabile « organizzazione » di questa unione è il filo conduttore dell'esistenza e dell'azione di Jean Monnet, nei quadri più diversi. Nel 1914, a 26 anni, rivolgendosi direttamente a Clemenceau, questo sconosciuto provinciale riesce a persuaderlo che la guerra appena iniziata sarà lunga e sarà vinta solo se ci sarà un gigantesco « sforzo congiunto » e non un'addizione di sforzi diversi. E ottiene dì dirigere il comitato interalleato per gli approvvigionamenti di guerra che darà un contributo essenziale alla vittoria della guerra, al tempo dell'offensiva sottomarina A 31 anni diventa vicesegretario generale della Società delle Nazioni, il che gli permette di condurre a termine alcune azioni particolarmente delicate nel quadro dell'organizzazione della pace. Ma gli permette anche di constatare che la Sdn è condannata al fallimento perché lascia intatta la sovranità degli Stati ed è incapace di prendere decisioni nell'ct interesse comune». Monnet vuol potere agire. E colpisce il fatto ohe la sua reazione è identica a quella che nello stesso tempo esprimeva, nei suoi scritti, Luigi Einaudi. Il concetto di soprannazionali tà, ovvero di delega di certi attributi della sovranità ad un autorità comune, era già chiaro ad alcuni spiriti lungimiranti. Ma era evidentemente prematuro. Scoppia la guerra e Monnet è nuovamente alla ribalta. Sa csrctpM t a che la guerra sarà perduta senza uno sforzo unitario. Arriva a lanciare, nel 1940, la clamorosa proposta di unione totale franco-britannica, non realizzata in seguito al precipitato armistizio di Pétain. Monnet si dedica allora all'organizzazione dello sforzo alleato. Lavora fra le quinte perché non nutre ambizioni personali. Secondo la sua tattica, si tratta di «avere una idea, e trovare poi l'uomo che avrà il potere di attuarla». E' così il principale autore del Victory Program di Roosevelt che, come ha scritto Keynes, ha abbreviato dì un anno la guerra mondiale. Finita la guerra, Monnet crea il « piano di equipaggiamento e modernizzazione » della Francia, ma si rende subito conto che non si può più agire solo a livello nazionale, e che bisogna evitare gli errori del passato: bisogna unire gli uomini e non discrimina re fra vinti e vincitori. Altrimenti si getteranno i semi di una nuova conflagrazione. Il piano Marshall è concepito nell'ottica giusta, ma l'organizzazione europea di coopcrazione economica (Oece) è minata alla base dall'assenza di poteri reali. Quanto al movimento europeo che nasce dal congresso dell'Aia e che si concreta con la creazione a Strasburgo del Consiglio d'Europa, è chiaro che non riesce a promuovere politiche comuni. « Lasciateli alle loro con versazioni, mi disse un giorno Monnet, l'Europa ha biso gno di azioni, cioè dì istituzioni in grado di decìdere». Il tempo ha dato ragione a questo gran nemico della retorica e dei gusci ridondanti ma vuoti di contenuto. Alcuni si sono ostinati a vedere nella creazione della Comunità europea un prodotto della « guerra fredda ». Finita la guerra fredda, ne hanno dedotto, cade la necessità dell'opzione europea. Ma la creazione della Comunità fu concepita da Monnet proprio come « superamento » della guerra fredda, e fu il primo passo verso la instaurazione di nuovi rapporti. In un rapporto segreto del 1949 Monnet lanciava un grido d'allarme: «Gli spiriti si cristallizzano su un obbiettivo semplice e pericoloso: la guerra fredda. Bisogna cambiare il corso delle cose ». Uno dei pfslrrimè principi della sua elementare filosofia dell'azione, basata sul buon senso, è che quando le tensioni diventano intollerabili e sembra impossibile risolvere un problema, il solo modo per evitare il conflitto è modificare il contesto, i dati dì base. Gli uomini non cambiano, ma il loro comportamento cambia quando si modificano le circostanze che creano le difficoltà che essi non riescono a superare. Creare l'unione dell'Europa costituisce per Monnet appunto un radicale cambiamento del contesto politico, che può spezzare il tragico concatenamento che porterebbe dalla guerra fredda alla vera guerra. Si arriva cosi alla « dichiarazione », letta dal ministro francese degli Esteri Robert Schuman nella famosa conferenza stampa del 9 maggio 1950 e che annunciava la creazione della Comunità europea: « Questa proposta, dice la frase chiave, realizza le prime basi concrete di una federazione europea indispensabile al mantenimento della pace». De Gasperi fu il primo a rispondere all'appello, del quale aveva intuito l'immensa portata, fedele a quella giovane Costituzione repubblicana che, nello spirito maturato nella Resistenza, aveva previsto la possibilità di « dele¬ ghe di sovranità » ad organismi sovrannazionali. Monnet fu il primo presidente della Comunità del carbone e dell'acciaio, ma abbandonò questa presidenza due anni dopo per poter agire sul piano che gli era più congeniale, quello dell'azione indiretta. Non per nulla De Gaulle lo chiamò « l'ispiratore ». Un trascinatore Monnet creò quel « comitato d'azione per gli Stati uniti d'Europa ». che riuniva i leader politici e sindacali dei Paesi della Comunità, impegnandoli ad agire concretamente ciascuno nel proprio ambito. Esso fu praticamente il « lievito» e lo stimolo di tutti gli sviluppi dell'integrazione, dai Trattati di Roma all'adesione inglese. Su chi ha avuto frequenti occasioni di incontrarlo durante questi ultimi venticinque anni, o anche di lavorare con lui (e ogni occasione d'incontro era per Monnet un'opportunità per « far lavorare »), Monnet ha esercitato un fascino che ha per origine la semplicità e chiarezza delle idee accompagnate dalla profondità dell'ispirazione umana, dall'assenza della benché minima retorica. L'Europa è cambiamento e la costruzione dell'Europa è di per sé un metodo profondamente innovatore nelle relazioni fra gli individui e fra i popoli. Essa può farsi solo accettando regole comuni, applicate da istituzioni comuni, per consentire alla società di evolvere in un senso più umano. Monnet non è un dogmatico, non si pronuncia sulla forma esatta di organizzazione futura della società europea. Ma sa che solo nel quadro di regole comuni si può organizzare una società esente da egemonie. Ammonisce: « Se vedete che un Paese rifiuta, vuol dire che spera di stabilire un'egemonia ». La sua contestazione delle sovranità tradizionali è radicale. La sovranità deperisce quando si cristallizza nelle forme del passato: può vivere solo se si rinnova trasferendosi gradualmente a istituzioni diverse. Nessuno perde in questa trasformazione. Quante sovranità formali sono infatti pura illusione. In un mondo caratterizzato dall'inquietudine e dall'instabilità, dove i demoni del passato sembrano talvolta risorgere, l'idea centrale di Jean Monnet è mutamento cioè rivoluzione. Essa fa del presente la liberazione dal passato e la preparazione dell'avvenire. Emanuele Gazzo