La libertà si compra con le arance di Sandro Doglio

La libertà si compra con le arance TACCUINO DI UN VIAGGIO NELLA GERMANIA COMUNISTA La libertà si compra con le arance Con camion di agrumi, burro, caffè, Bonn ha "pagato" a Pankow l'espatrio di 2600 prigionieri politici o persone scomode al regime - Ma una maggiore fonte di guadagno sono le tasse sui tedeschi dell'Ovest quando fanno visita ai parenti nell'Est (Dal nostro inviato speciale) Berlino, novembre. Ilka è una brunetta piccante, è cameriera in una sala da ballo di Berlino Est (non dirò quale: ce ne sono alcune dozzine, in alcune delle quali è difficile potere entrare se non si è stranieri, altre popolari e apparentemente aperte a tutti). Minigonna audacissima (tra le pochissime viste nella Germania comunista), rossetto, capelli tenuti fermi da un cerchietto di plastica, grembìulino bianco. Chiediamo una birra, risponde che è vietato consumarla. Accanto, a una lunga tavolata, un gruppo di eleganti signori e signore bevono invece birra: perché? « E' un circolo privato ». Ci dice poi che è possibile consumare birra nei locali pubblici soltanto fra le nove del mattino e le tre del pomeriggio. « Però, aggiunge, se avete da pagare potete averla lo stesso »: se cioè assieme alla birra ordiniamo U7ux bottiglia di spumante. Siamo in tre, seduti a un tavolino del locale mentre un'orchestra di ragazzi suona musiche che se non sbaglio erano di moda in Italia negli Anni Sessanta; la sala è zeppa, sabato sera. Tutti giovani: bevono caffè, oppure acqua minerale molto gasata, oppure minuscole porzioni di liquori che assomigliano al Cherry, al Ratafià di buona memoria; qualche bicchiere di vodka, di brandy, o semplicemente una bottiglia di vino ungherese. Ilka ci serve tre bottìglie di spumante e tre birre. Sulla carta un boccale di birra da mezzo litro costa 1,35 marchi; con la imbevibile bottiglia di spumante locale, il boccale ci viene a costare 22,55 marchi. Anche nella Germania comunista il protezionismo non serve contro chi ha soldi. Abbiamo finito la moneta locale e paghiamo il conto in marchi occidentali (al cambio imposto sono in parità con il marco orientale). La cameriera sgrana tanto d'occhi, nasconde furtivamente la banconota, ringrazia. E dopo dieci minuti torna con altre tre birre: « Non dite niente, non dovete pa- e e o n è a nl la lal o e noe», di ninnti o — se il a gare, è un mio regalo », dice sottovoce strizzando un occhio. Prima che ce ne andiamo via vorrebbe offrircene altre tre. Le domando che cosa farà di quei marchi occidentali, poiché è chiaro che non li ha versati alla cassa: « Potrò andare all'Intenshop ». In ogni grande città c'è Z'Intershop, un negozio che vende soltanto contro valuta occidentale: dollari, marchi di Bonn, sterline, franchi, persino lire. E' una costante in tutti i Paesi dell'Est, Unione Sovietica compresa. Vi si trovano prodotti praticamente introvabili altrove, in un miscuglio da bazar: sigari olandesi, profumi francesi, scatole e bidoncini di polvere per il bucato, liquori, persino abiti da uomo e da donna di taglio occidentale, accendini Bic e cioccolatini Mon Cheri Ferrerò. Teoricamente sono spacci aperti soltanto per gli stranieri, ma l'ingresso è libero a tutti, purché abbiano denaro straniero: è un modo per drenare la valuta che entra più o meno clandestinamente in Ddr. Quello degli Intershop non è il solo fatto apparentemente anomalo che si trova nella rigida struttura socialista della Germania Orientale. Nella morale dello Stato comunista si aprono infatti grosse brecce che fanno pensare che i governanti di Berlino Est tutto sommato non siano così alieni dall'accettare certi compromessi con i Paesi che accusano di capitalismo, e in particolare con l'altra Germania. Il più sorprendente — e al tempo stesso quello di cui ufficialmente parlano meno volentieri — è il cosiddetto « compromesso » dei prigionieri. La Ddr porta ai posti di frontiera con la Germania di Bonn prigionieri politici, responsabili di azioni o propaganda contro il regime e il jKirl.ito, colpevoli di aver tentato di organizzare una fuga: gente « infida », insomma, per il regime comunista. Alla frontiera i prigionieri sono ricevuti da funzionari del governo federale che, in cambio — secondo tariffe stabilite —, consegnano agrumi, caffè, burro, certi prodotti chimici, zucchero. Tutto si svolge nell'ombra, ma non troppo di nascosto: i giornali della Germania di Bonn hanno scritto recentemente senza essere smentiti che in dodici anni il governo federale ha « riscattato » con questo sistema 2600 persone che erano in carcere all'Est, versando una contropartita in natura del valore di 14 miliardi di lire circa. Come dire che un prigioniero politico nella Germania Est è valutato più o meno cinque milioni di lire. Il mercato di uomini non è il solo modo a disposizione della polizia comunista per sbarazzarsi di personaggi scomodi e mandarli in Occidente. Il caso più clamoroso e recente è quello capitato al cantante Wolf Biermann. Nato ad Amburgo, negli Anni Cinquanta, quando ancora non c'era il muro, e migliaia di tedeschi abitanti all'Est si trasferivano più o meno clandestinamente all'Ovest per sfuggire all'occupazione russa e al nascente Stato comunista, Biermann aveva scelto di andare controcorrente e aveva chiesto cittadinanza a Berlino Est. « Vado nella parte migliore della Germania », rispondeva a chi gli domandava perché lasciava la società dei consumi per andare nel Paese del sacrificio e della dittatura. Biermann è cantante, ebbe naturalmente subito molto successo con le sue canzoni di protesta e di accusa contro gli americani, i capitalisti, eccetera. Si iscrisse al partito comunista, diventò una «stella». Poi cadde in disgrazia. Dal 1965 in poi non ha potuto che esibirsi due volte in pubblico. I ragazzi continuavano a cantare le sue canzoni di rivolta, di protesta per una società più giusta: ma nel frattempo la rivolta era verso il comunismo, la protesta contro la società socialista. Un mattino del novembre scorso, inaspettatamente, Biermann si vedeva recapitare nel suo minuscolo appartamento di Berlino Est un visto per l'Occidente: l'aveva chiesto tanti anni prima, glielo avevano sempre negato, adesso glelo portavano a casa senza che lo avesse più sollecitato. Una valigia, la chitarra, e Biermann si trovò senza difficoltà alcuna al di là del muro, nella Germania che aveva fuggito vent'anni fa. Pochi giorni dopo apprese che la Ddr gli aveva tolto il diritto di cittadinanza: non può più tornare all'Est. Oggi, a chi lo vuole ascoltare, Biermann parla della Germania comunista come di un paese di schiavi, dove la polizia segreta è possente e dappertutto, dove chi osa pensare in modo diverso finisce in prigione. Tutte le testimonianze, del resto, dicono che anche Bertolt Brecht, dopo essere stato il csstldvntplclWtudvgsinnscvvdMsvandeGssg cantore del comunismo tedesco, negli ultimi anni della sua vita era in aperto contrasto con il regime di Berlino Est. Ho scritto che il « muro » di Berlino è invalicabile. E' vero, salvo per pochi stranieri che hanno ottenuto faticosamente il visto, salvo per i prigionieri politici dell'Est che vengono scambiati con le arance, salvo per quelli che vengono cacciati come Wolf Biermann. Ma c'è un'altra eccezione, che dimostra un'altra delle contraddizioni della società socialista: i vecchi. I vecchi dell'Est, raggiunta l'età della pensione, sono liberi di attraversare il « muro » e di andarsene nell'Occidente: naturalmente non riceveranno più la pensione, dovranno avere qualcuno che li mantiene. Perché lasciate partire i vecchi e non i giovani che vogliono andarsene? domando al mio accompagnatore Max Friedemann. Ecco la risposta, testuale, di questo vecchio signore che dopo aver sofferto, perché comunista, la galera di Hitler, è diventato uno dei maggiori esponenti governativi della Germania Est: «I vecchi non servono più. La Ddr ha bisogno di braccia valide: ogni giovane che se ne va significa una perdita grave per lo Stato che gli ha pagato gli studi e la formazione, che ne ha sovvenzionato il vitto e l'alloggio. I vecchi non hanno più nulla da dare, ma i giovani devono partecipare alla costruzione del socialismo ». C'è infine un'altra eccezione all'impenetrabilità del « muro », ed è importante. Si tratta dei tedeschi dell'Ovest che hanno parenti nell'Est, soprattutto a Berlino: sono liberi di attraversare quante volte vogliono la frontiera e venire a trovare i loro congiunti. Una sola condizione: devono depositare alla frontiera 5,50 marchi e impegnarsi — dandone dimostrazione — a spendere ogni giorno almeno 6,50 marchi. Marchi di Bonn, naturalmente. E' un altro sistema per far entrare valuta pregiata. Naturalmente le autorità comuniste non permettono ai loro cittadini di andare eventualmente a trovare parenti residenti all'Ovest. Chi non è vecchio, chi non è in prigione e non ha la fortuna di essere valutato in quintali di arance o in sacchi di caffè per il cambio, resta al di là del muro: c'è chi è convìnto che quella continua a essere la «parte migliore» della Germania; c'è chi sogna invece un mondo senza frontiere invalicabili. Ma per ora, con poche speranze che si realizzi. Sandro Doglio