L'uomo onesto e il suo dilemma di Giovanni Arpino

L'uomo onesto e il suo dilemma A PROPOSITO DI ANARCHIA L'uomo onesto e il suo dilemma La lettera è molto lunga, due fogli dattiloscritti fittissimi. Me la invia Antonio R., sessantenne di origine sarda, abitante a Torino, pensionato con venticinque anni di servizio nella Guardia di Finanza. Anarchico. Un appassionatissimo, commovente idealista che parla a nome dell'anarchia « storica », sia questa legata all'esperienza della guerra civile in Catalogna nel '36 o ài ] ricordo di quello Schirru fucilato come attentatore (mancato) alla vita di Mussolini. Devo dire che capisco i sentimenti degli anarchici « storici ». Posso anche confessare — un po' sul serio e un po' per non morir — che m'è sempre piaciuta la definizione del vecchio Jean Gabin: « Je suis un anarchiste bourgcois ». E' un piccolo « credo » che raccoglie misantropia, pudore, sprezzo delle regole come ripudio delle arroganze, rifiuto delle convenzioni siano classiste o populistiche. La lunga lezione che l'amico Antonio R. vuole affibbiarmi mi trova d'accordo su tutto, tranne che sul valore attuale della parola anarchia, oggi come oggi stravolta, spompata, svenduta ad ogni cantone. Gli anarchici veri, quelli rimasti, sono dei solitari e dei romantici in un mondo che infuria di bombe e distrugge « anche » i loro sogni di pace e società armonica e fratellanza universale. Proprio qui credo che inizino le sciagure dell'uomo onesto, del cittadino che paga dazio e biglietto del tram, proprio qui scaturiscono i traumi dell'intellettuale che rifiuta di pensarla secondo direttive e complicità e torbidi ammicchii. Ogni volta che questo cittadino o questo intellettuale si trovano costretti a difendere lo Stato, erutta in loro un'angoscia enorme, che recenti dichiarazioni di La Malfa (per fare un solo esempio) indicano a chiare lettere. Perché il cittadino con la testa tra gli orecchi e l'intellettuale che ancora si pone come testimone non prezzolato di fronte alla contemporaneità, sanno che difendere l'idea e il corpo stesso dello Stato li coinvolge — ignari, incolpevoli — nella difesa di certi uomini che con la loro immagine hanno contribuito a sgretolare lo Stato. Molta rabbia della gioventù dpsdzcg a ù d'oggi, molti intimi dissidi dipendono da questa situazionescissione prettamente schizoide. Dipendono dalla mancanza di un'identità che lo « specchio » dello Stato non rifrange, dipendono dal non potersi riconoscere senza orrore o spaventi nell'idea di un Paese al di sopra d'ogni inquinamento morale. Sappiamo di dover proteggee rinsaldare la nostra democrazia, sappiamo di dover sgobbare in umiltà e dedizione per far fronte alle crisi economiche (plurime e lunghe), sappiamo di doverci sacrificare per un « ordine » umano e degno. Ma mentre ognuno di noi — cittadino e intellettuale — soffre contraccolpi spaventosi per un attentato, per una manifestazione aberrante, per un delitto politico, per una o mille rivoltellate, e denuncia dolore e indignazione, ecco che questo dolore e questa indignazione « danno una mano » o anche solo un'unghia al ladro di Stato, al governante neghittoso, al mestatore di partito, al « barone amministrativo » colpevole e inamovibile. Questo è il vero dramma che attraversa un uomo onesto, oggi, un italiano d'oggi, proprio mentre fa di tutto per credere e puntellare la « sua » democrazia, proprio mentre cerca di capire e accettare le mosse dei partiti coinvolti in un dialogo che non decifriamo ancora se di crescita o di involuzione. E' evidente che non possia mo ridurre la « nostra » democrazia a un sogno anarchico Non è l'aggettivo « anarchico » che ci spaventa, ma il sostantivo « sogno ». Di vagheggiamenti politici non si vive, non ci si nutre. E se la nostra democrazia s'oscura e paga pedaggi mostruosi, può rischiararsi e può diminuire il carico e il rischio dei pedaggi solo lavando se stessa. Se la parola « repressione » ha un senso, bisogna usarla nei confronti di coloro che hanno minato, ad ogni livello esecutivo e amministrativo, la credibilità dell'esistenza e della sopravvivenza democratica. Se un Crociani avesse « pagato » subito, decine di bombe non sarebbero state costruite in angoli bui: ma questo ragionamento, che è implacabile, che è socratico, che lacera la coscienza del cit¬ tadino mondo di peccati, è anche il più difficile da fare e da mettere in opera. Il nostro dramma civile pretende dunque un contributo continuo, un'attenzione quotidiana, al di là dello spasimo emozionale e del disgusto privato. Può darsi che il germe del « Medioevo prossimo venturo » sia chiuso nel nostro stomaco: ma è un germe che può aiutarci a raggiungere tenebra oppure ragione, a seconda di come verrà coltivato, di come verrà sorretta e corretta la pianta che ne scaturirà. Gli astrologi (seri) prevedono durissimo il debutto degli Anni Ottanta: gli economisti non si sentono di dargli torto, avendo già sbattuto più di una volta la testa (e la previsione cifrata) in muri ritenuti impensabili. Forse il discorso rischia di evaporare in eccessivo « politicismo », una delle nostre più gravi malattie. Ma se non ci salviamo grazie (anche) alla politica, allora dovremmo ampliare questo stesso discorso in un esame dell'eterno Male e dell'eterno Bene. Allora dovremmo ricordare che ogni guerra, antica o moderna, tribale o imperiale, è stata definita un « infanticidio differito »: la società degli Anziani stabiliva il salasso per poter far rispettare la Legge ai giovani troppo smaniosi, troppo numerosi, troppo pericolosi: la costante sociologica — secondo i dotti — corre dai primi clan umani alle Crociate e ai conflitti dei tempi moderni. Attraversiamo un'età in cui la « morte irragionevole » impone prezzi insensati. Ma solo chi sa punire i « traditori » di Stato potrà diminuire le provocazioni e gli assalti dei «sovvertitori» fanatici. Sennò continueremo a tirar avanti (il che non significa vivere) in un'altalena isterica dei due piatti della bilancia. Penso che ogni uomo debba irraggiare da se stesso, all'intorno e per gli altri — persone, cani, alberi, muri cittadini — cerchi di armonia. Ma questo uomo va civilmente aiutato dai suoi governanti. O resterà solo, come un sasso, come un cespuglio. Esposto a tutti i venti e ad un « essere o non essere » che neppure il principe Amleto, perfetto anarchico, accetterebbe più. Giovanni Arpino

Persone citate: Antonio R., Crociani, Jean Gabin, La Malfa, Mussolini, Schirru

Luoghi citati: Catalogna, Torino