Così cambia la grande crisi del Sud di Manlio Rossi Doria

Così cambia la grande crisi del Sud DIBATTITO SU "IL MEZZOGIORNO NELL'ECONOMIA ITALIANA 5? Così cambia la grande crisi del Sud Portici, novembre. Non è possibile tirare Manlio Rossi Doria da parte per andarcene a discutere all'infinito sulle terrazze di Palazzo Reale e fra i viali colmi di alberi giganteschi, in mezzo al verde ancora intenso dei prati. La residenza dei Borboni, dove sono ospitati la facoltà di Agraria e il centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno (da lui fondato diciotto anni fa), è colma di voci, di saluti, di festosi abbracci. Ci sono docenti, ricercatori e borsisti, anche stranieri, di economia agraria, di economia generale, di sociologia, di matematica e statistica del centro, coi suoi studenti, e di quasi tutte le università italiane, gli osservatori di istituti specializzati, con le loro sigle più o meno note. Sta per avere inizio il convegno su « Il Mezzogiorno nell'economia e nella società italiana di oggi ». Come cantò Scotella.ro Mi salvano dalla commozione, in procinto di opprimermi, i volti amici che stavano qui, dinanzi a questa quiete, rotta appena dall'incrociarsi delle nostre voci giovanili, dopo il 1950, e si radunavano intorno a Rossi Doria: Michele De Benedictis, ora direttore del centro, Carlo Cupo, Gilberto Marselli. Ci sono i nostri amici Pasquale Saraceno, Vittorio Foa, Francesco Compagna, Augusto Oraziani, Sandro Petriccione, Giulio Leone, Giuseppe Orlando, Gian Già-corno Dell'Angelo, Gabriele Gaetani D'Aragona, Ada Col-lidà, Carlo Donolo, Bruno Jozza. Non sono più fra noi, come allora, Rocco Scotellaro. Renato Giordano, Fedele Ajello, che per un barbaglìo della luce nel giardino a guisa di risucchio interiore, per un momento ho sentito d'attorno. Se dico i primi degli Anni 50 rispunta la riflessione acuta sul 18 aprile del '48, l'anno della « pozzanghera nera » dei contadini meridionali, come cantò Scotellaro j j0" ha' incitato a farsi capire. 1 Analisi storica, analisi po | litica, analisi economico-so1 oiale: Augusto Graziani, l'è- qualche tempo prima della morte (1955). Quella sconfitta, conseguenza della generosa battaglia della sinistra, attestata erroneamente su posizioni frontiste, è stata sempre all'attenzione dei meridionalisti, ed ora anche degli storici, per capire anche cosa è successo dopo. Ed ancora oggi Rossi Doria, nella sua analisi di 30 anni di storia, divisi in tre periodi, dal '43 al '50 (fine del settennio degasperiano), decennio centrista, decennio del centro-sinistra, ha parlato del 18 aprile come dell'investitura che la de ebbe per occupare il potere. Ancora oggi, chiedendosi: dove va il Mezzogiorno? Rossi Doria e i suoi discepoli hanno battuto la « non sempre facile strada della coesistenza interdisciplinare tra formazione e ricerca economico agraria, tra economia generale, statistica, matematica e sociologia », ma anche quella « dell'impegno civile e dell'impegno analitico», come ha detto nell'introduzione ai lavori del convegno De Benedictis, riferendosi al suo maestro e alla metodologia seguita sin dalla sua fondazione al centro. Abbiamo ripercorso oggi tutti, giovani ed anziani, quel metodo, saiveminiano, di studio della realtà e dell'analisi quantitativa, correttamente applicata, indispensabili, per ricercare le soluzioni concrete. E quando qualche giovane ricercatore è apparso distaccarsene, con un « gergo incomprensibile », il vecchio professore conomista meridionalista di spicco che ha presentato una ricerca, sua e di giovani studiosi, su « Investimenti e occupazione indotta nel Mezzogiorno », ha preso le mosse proprio dall'insegnamento di Rossi Doria che negli Anni 30, quando dominavano gli economisti corporativi o paretiani, basò l'economia agraria sulle ricerche sulla struttura della produzione e sulla struttura di classe del settore agricolo. Vittorio Foa, testimone attivo di quarant'anni di storia, ha ricordato un episodio che risale al periodo della formazione del governo Parri, quando a Roma, in una riunione della direzione del partito d'azione, gli esponenti del Nord e del Centro discutevano di patti, di accordi tattici e lui, Rossi Doria, descriveva la situazione dell'agricoltura meridionale e riproponeva come centrale la « questione meridionale ». Bisogna tornare, ha aggiunto Foa, a questo tipo di interpretazione, tanto più che il Sud è cambiato, anche in termini politici e sociali, bisogna partire dalla realtà quale essa è. E un giovane studioso, Enrico Pugliese, ha presentato al convegno un'analisi dell'e voluzione della struttura di classe nel Mezzogiorno, sul sistema dei rapporti economici e sociali, cioè sul blocco di potere che si è creato nel secondo dopoguerra. Questa la sua tesi: alla vecchia borghesia agraria legata alla rendita si è sostituita la borghesia di Stato, la nuova classe dirigente burocratico-amministrativa meridionale, sviluppatasi con l'aumento dei flussi della spesa pubblica, che esercita un ruolo « nazionale», in quanto influisce sulle scelte politiche generali. La riforma agraria Occupazione delle terre, emigrazione non assistita, riforma agraria, ristrutturazione industriale, intervento straordinario, urbanizzazione (il 43% della popolazione meridionale): dall'esame di queste fasi, fra loro intrecciate, della nostra storia, Rossi Doria è arrivato ai nostri giorni con accenti sempre più vivaci e pungenti, entrando nel vivo delle singole esperienze: il contadino po vero è definitivamente scomparso, la classe operaia del Nord dovrà allearsi coi ceti medi agricoli meridionali; abbiamo subito la follia della formazione della piccola proprietà coltivatrice e la pappa dei piani verdi, se corrono i piani zonali intesi co¬ me processi di riorganizzazione; di sola agricoltura non si campa né fatevi illusioni sul recupero delle terre incolte, nelle zone interne vanno insediati impianti industriali di piccola e media dimensione; il corso spontaneo dello sviluppo va contro il Mezzogiorno, non possiamo lasciare ai soli industriali il compito di realizzare il piano agricoloalimentare; la politica di sviluppo va corretta; rivoluzioni non se ne fanno con gli emarginati: non resta che fare politica, partecipare. Buon governo e seria politica riformatrice, ecco quello che ci vuole, ha detto rivolgendosi ai giovani. Sulla relazione di Rossi Doria, preceduta da ricerche sull'emigrazione dalle zone interne (di L. Pieraccini), sugli effetti indotti dai grandi insediamenti industriali nel Mezzogiorno (Buttari, D'Ottavio e Gervasio), sullo sviluppo dell'agricoltura nel secondo dopoguerra (Cosentino, Fanfani e Gorgoni), sulle diverse aree che compongono il Mezzogiorno (Boccella), si è sviluppato un serrato dibattito. Ce ne siamo accorti con la grande crisi — è intervenuto Saraceno — e anche oggi: il padronato italiano è debole, | non può fare di più di quello che ha fatto, dalla creazione dell'Iri ai nostri giorni. Manchiamo della fascia imprenditoriale media di cui ha bisogno il Mezzogiorno.- Abbiamo grandi gruppi che tendono a diventare multinazionali o l'impresa pubblica, che non possono affrontare i temi della creazione della piccola e media industria. Un po' di ottimismo è venuto da Orlando che ha portato l'esempio delle vrtfli marchigiane dove agricoltura e piccola industria di trasforma zione si sono validamente incrociate. Le zone interne pos sono essere recuperate. Donolo e la Collida, oltre a Foa, hanno affrontato il tema del ruolo del sindacato, se debba arroccarsi in difesa degli occupati o coinvolgere gli emarginati, i sottoccupati del lavoro nero. Non cgcdgcf c'è ancora un concreto impegno meridionalista dei sindacati, ha sostenuto Ada Collìda. Oggi la vera partita si gioca sul terreno dei sacrifici che si chiedono alle diverse fasce di occupati con diversi gradi di privilegio: gli impiegati pubblici, gli operai dell'industria e gli occupati in agricoltura, i precari. D'accordo con Rossi Doria, Gilberto Marselli ha chiamato in causa il movimento cooperativo, assente dal Mezzogiorno. In quanto alle zone interne, sono più degradate di quelle dell'Umbria o delle Marche. Stiamo attenti al ritorno del mito ruralistico, al rifugio nell'agricoltura. Spesso abbiamo compiuto l'errore di lavorare fuori del partiti politici e, quali poeti disarmati, non abbiamo potuto impedire la degenerazione del sistema politico. Siamo divisi rispetto ai « padroni del vapore » e i giovani si lasciano prendere dalla nevrosi dell'utopia e dalle astrazioni. Ancora una volta un richiamo alla realtà, un ripudio del formulismo. Vittore Fiore

Luoghi citati: Marche, Roma, Umbria