L'America di Barzini di Furio Colombo

L'America di Barzini UN RACCONTO E UNA CONFESSIONE L'America di Barzini New York, novembre. Due celebri e rispettabili nomi salutano il nuovo libro di Luigi Barzini sulla controcopertina del suo nuovo O America. Leggo le loro parole gentili e capisco (come deve avere capito Barzini nel ritiro della sua solitudine finto mondana, che è invece un isolamento profondo) che i due amici colti e desiderosi di fare un elogio non sanno nulla di quello che in realtà raccontano il libro e Barzini. E' bella la parte introduttiva del libro (la storia del giovane e del vecchio che scrivono insieme la storia) perché contiene la spiegazione di tutto. Contiene la spiegazione di un personaggio, del lavoro di uno scrittore non secondario, di una vita. Per i suoi coetanei e connazionali Barzini è un mistero. Ma siccome è un mistero elegante (finto mondano, come ho detto), e siccome ha avuto successo {altrove dicono in fretta gli amici), la naturale reazione italiana è stata di accantonarlo. E poiché in Italia i prodotti non vanno in magazzino senza etichetta (niente è più detestato di ciò che è misterioso, nella storia italiana del dopo-Borgia), Barzini è « di destra », e la sua storia è archiviata. Si dà il caso che Luigi Barzini abbia una vitalità superiore alla media, un bel modo di scrivere e una voglia solitaria e appassionata di raccontare. I libri poi hanno questa strana forza: camminano da soli. E quelli di Barzini si sono piantati in mezzo alla strada degli italiani colti che viaggiano, come una maledizione: dovunque te ne parlano, deviandoti regolarmente dal discorso che ti eri preparato, con tutti i pezzi e gli alberi genealogicoletterari in ordine. Così accade, nelle classi delle Università americane, che più di un visìting professor di impeccabile militanza anti-Barzini lo citi e lo usi — tra gli indige ni —, tanto per farsi capire e per stabilire un contatto. * * A un nomade come me interessa il fenomeno Barzini. E devo confessare che questo suo ultimo libro, O America, mi interessa più degli altri (di cui ho sempre ammirato e invidiato la straordinaria scrittura) perché ci sono le ragioni della sua solitudine e della sua estraneità letteraria. Ci sono anche le ragioni di quel suo essere definito « di destra », che lo hanno spesso proposto agli italiani con la faccia di uno specchio deformante. Mi permetta il lettore di fare un passo indietro, come nei romanzi di appendice. Che cosa stabilisce, con la durezza di una sentenza, la condizione di estraneo per uno scrittore, in Italia? Non la civetteria di auto-proclamarsi estranei, che anzi è tecnica ben collaudata per segnalare di essere più che mai al centro della scena. La vita culturale italiana risponde con rigore alle leggi scoperte fra gli animali da Konrad Lorenz. Lo spazio è piccolo e lungo i pochi passaggi la vigilanza è continua. Mai parlare di una cosa nuova finché se ne può fare a meno. La vita culturale italiana inoltre è passata tutta d'un fiato da una intolleranza all'altra, dal bene borghese al sano fascista al buono democristiano all'avanzato marxista. E schiaccia, se può, chi si lascia sorprendere senza biglietto fra un vagone e l'altro. Infine dominano, come indiani stanchi sulle colline, il critico e il redattore di casa editrice. Il critico è un maltusiano. Trema all'idea delle nascite, è un ufficiale di stato civile che registra i nuovi nati circa vent'anni dopo. Il redattore — non per sua colpa — vive una vita d'inferno fra le leggi del capitalismo (fare libri per guadagnare) e il desiderio di fare i libri che piacciono a lui e al gruppo con cui fa cultura. E' una contraddizione che procura esperienze dolorose. Tutta insieme, questa grande tribù fittamente divisa, ha sempre bisogno di un vero estraneo. S'intende che deve essere uno abbastanza bravo (talento, successo) per meritare, per essere un « target ». Barzini ha funzionato bene. La comunità culturale italiana un po' lo ha escluso perché «giornalista», un po' perché «americano», un po' perché « di destra ». Ora facciamo una piccola considerazione. La prima e la terza qualifica non hanno mai veramente danneggiato nessuno. Montanelli, per esempio, rappresenta una bella sfida alla prima e alla terza definizione e sotto banco gli avversari lo complimentano volentieri, di qualcuno si dice persino « è un Montanelli di sinistra », e l'espressione viene presa come una specie di complimento. Giornalisti diventati scrittori hanno vinto i loro brl'emedi roessozinrifldosutrmciesitafrBnosuchmil grbnqprisoBfatescpvcuvmvailliaczvmcm(ctBc«ftsqdtcIcsqiaurder o a i bravi Strega c Campiello. E l'estraneità — spesso amabilmente definita «reazionaria» — di personaggi come Guido Ceronetti non gli impedisce di essere presi sul serio come assolutamente meritano. Questo nuovo libro di Barzini, O America, mi serve per riflettere su questo scrittore, domandarmi se lo squilibrio di successo fra « fuori » e « dentro » (fra Italia e il resto del mondo) sia un fatto di provincialismo alla rovescia; se la sua estraneità al mondo letterario italiano sia più che altro il frutto di un suo snobismo, se Barzini si sia costruito intorno un muro da solo, con quel suo essere « di destra ». Perché continuo a discutere l'uomo e non il libro? Ma perché il libro è teneramente autobiografico e perché in questo libro per la prima volta Barzini abbassa la guardia e con quel suo inglese che non si può considerare un sorriso turistico (lo trovano bello i più sofisticati critici americani) Barzini, come mai prima ha fatto, si confessa, sorprendentemente indifeso. Cioè si lascia vedere per la prima volta, più americano che italiano. E qui, forse, mi riesce di venire al punto. Barzini dedica questo libro in apparenza a una autobiografia della sua giovinezza e di una « Giovane America » che gli ha fatto da avventura e da sfondo. In realtà analizza il se stesso italiano e il se stesso americano. L'italiano si è difeso duramente, ha attaccato quando e come ha creduto, si è fatto il suo spazio e ha tenuto i suoi « privilegi » (si dice cosi). E ha mantenuto — del nostro antico Paese — i due antichissimi strumenti della maschera (la sua scelta: cinismo, distacco, freddezza) e della sospettosità. O America ci svela che il Barzini giornalista, scrittore, commentatore, editorialista (e « uomo di destra » italiano) difendeva un suo gemello infinitamente più delicato e indifeso che era « l'americano ». In questo libro Barzini colloca i due personaggi nella prospettiva degli anni: un giovane candido, un mattatore maturo. Io propongo di rileggere in chiave di continua e delicatissima coesistenza la storia di questo scrittore che la cultura italiana ha cercato di tenere a distanza. Barzini proteggeva un segreto. Viene fuori, contro la barriera di una difesa che lui credeva impenetrabile, compatta, elegante, questa diversa natura di americano. Ci credono gli intellettuali italiani, se vengono a sapere che esattamente la sdttqsVxaCg e a , i a stessa gente, gli stessi uomini di cultura che sono considerati punto di riferimento e ponte sicuro fra i due continenti, quelli, per intenderci, con cui si è divisa l'opposizione sul Vietnam o la stagione anti-Nixon, sono — in America — amici antichi di Barzini come lo sono stati di Salvemini e di Chiaromonte, sono la stessa gente che adora il grande cinema italiano che ha tradotto Gadda con amore? Sarà che noi da lontano sembriamo un po' tutti uguali come i cinesi? O sarà invece che, allentati i nervi delle piccole tensioni di gruppo, la misura del talento diventa un fatto più semplice, meno nevrotico? Ma se il viaggio di andata (dall'Italia all'America) è riuscito completamente a Barzini, che si è fatto amare, seguire e capire, fino al punto (perdonatelo) da essere diventato un classico (ma per la Sontag, per Mary Me Carthy, mica per Kissinger), il viaggio di ritorno (dall'America all'Italia) gli è riuscito meno bene, nonostante il grado notevole di successo professionale. ★ ★ Barzini — e questo libro aperto e indifeso finalmente ce lo dimostra — non ha più saputo truccarsi abbastanza bene. Si è tradito. Ha lasciato capire di essere stato contaminato da qualcosa di americano. Orgogliosamente non si è camuffato abbastanza, ed è lungo questo percorso che la parola « liberal » con cui viene qualificato fra New York Revietv of Books e la generazione kennediana in America, diventa « destra » in Italia. «Destra» è una parola semplice per dire « estraneo ». Barzini è rimasto lontano dall'Italia pur essendo « così italiano » (O America ci spiega quanto) e l'Italia è restata a distanza da Barzini, pur avendogli dato spazio e occasioni professionali di rutti i generi. A lui resta da capire (e accettare) il fatto che non sono accettati estranei nella tradizione culturale italiana (nessuno, in ogni caso che possa incassare accettazione e successo in tempo reale). Ai lettori spero venga il desiderio di leggere il primo libro — fra i tanti di Barzini — in cui l'autore smette la sua raffinata recitazione e con candore ci dà un racconto molto bello. Che il vero protagonista di questo racconto sia vero o inventato, sia un prodotto di fiction o quel Luigi Barzini « di destra » che gli italiani credono di conoscere, non conta. O America è una bella storia d'amore e così va letta. Furio Colombo