Ciaikovski "malinconico,, col grande violino di Stern di Massimo Mila

Ciaikovski "malinconico,, col grande violino di Stern Il concerto alla Scala diretto da Abbado Ciaikovski "malinconico,, col grande violino di Stern (Dal nostro inviato speciale) Milano, 3 novembre. Si viene alla Scala con l'intenzione, più o meno dichiarata, di sorvolare magari sulla prima parte del programma — il Concerto per violino di Ciaicovski suonato da Isaac Stern — e soffermarsi soprattutto sulle novità della seconda, ma poi come si fa? Un virtuoso sbalorditivo fino alle soglie della stregoneria, c nello stesso tempo per nulla sopraffattore nei riguardi del testo, anzi, al contrario, evidentemente innamorato di questo fin troppo melodioso Concerto: si cala nelle sue frasi con l'accento giusto, lo accarezza con affetto, teneramente, ne mette in luce le oasi di malinconia cechoviana, sottolinea con gusto il piglio un po' rustico e sornione del Trio nella Canzonetta, e nel Finale — un po' meno bello — affronta spavaldamente il duello di botte e risposte del violino solo contro l'orchestra tutta. E questa orchestra è quella magnifica della Scala, che la direzione di Abbado porta a risultati raramente uguagliati con altri direttori. Infine, se i virtuosi son questi, ben vengano i virtuosi: questo è sciupìicernente il piacere di suonare, anzi, l'entusiasmante piacere collettivo di suonare bene, di sentirsi uniti nel fuoco di un'esecuzione concorde, al di là di ogni problema tecnico, nella leggerezza che viene dalla bravura e dallo studio. Un applauso irrefrenabile prorompe già dopo il primo «Allegro moderato», e non c'è nessun saccente che si metta a zittire perché lui sa che il Concerto non è finito: quanno ce vo' ce vo e un applauso fuori posto talvolta è sacrosanto, specialmente in opere come queste di Ciaicovski, più brillanti che solenni, governate da un senso voluttuoso del piacere musicale. Nella seconda parte del programma vengono le novità. Re lative novità, e tali per Milano che — per esempio — la Berceuse variata di Sciarrino chiama così non perché sia in forma di variazioni, ma semplicemente perché l'autore l'ha un poco ritoccata in confronto alla versione eseguita a Venezia ot to anni or sono in compagnia del Rara Requiem di Bussotti, al quale il lavoro è dedicato. Era allora una delle prime volte, o forse la prima, in cui accadeva di ascoltare in un'occasione importante quel tipo di composizione relativamente aleatoria e insistentemente ripetitiva che il giovane compositore sac siciliano (aveva allora ventidue anni) ha poi molto perfezionato portandola a una caleidoscopica continuità di sospensione atmosferica del pulviscolo strumentale in una specie di centrifugazione infaticabile della galassia sonora. Qui le scansioni delle quattro «strofe», le cui entrate si possono accostare in una quantità quasi inesauribile di combinazioni, sono fortemente marcate. Lo prescrive il compositore: «E' importante che di norma le strofe non si congiungano l'una all'altra». Gli abbonati scaligeri hanno mostrato di non gradire l'avvicendamento calibratissimo di queste sezioni staccate ed iterative, e hanno manifestato il loro malcontento con un'epidemia di tosse durante l'esecuzione, decretando poi un'accoglienza allegramente clamorosa all'autore, uscito a ringraziare l'orchestra e il direttore al terzo giro d'applausi che avevano giustamente riscosso. Il pubblico ha poi rispettato tre episodi delle Elegias a la muerte de tres poetas espanoles di Christóbal Halffter (che l'autore stesso aveva recentemente diretto a Torino): tre quadri cupi e angosciosi di oppressione nella tirannia; un saggio di espressionismo musicale dove all'inconfondibile matrice viennese (più berghiana che schoenberghiana) si associa la componente spagnola di una tensione livida e allucinata, da pittura del Greco. Con entusiasmo, invece, il pubblico ha poi inghiottito il panettone ambrosiano di quella Sinfonia dell'Aida che Verdi aveva composto nel 1871 per la prossima esecuzione milanese dell'opera. Se l'era fatta segrc tamente eseguire dall'orchestra della Scala, diretta da Franco Faccio, e l'aveva inesorabilmente bocciata, seppellendola negli archivi di Sant'Agata, dove è tuttora rigorosamente custodita. Purtroppo, però, ne fu consentito un paio di evasioni nel 1940, cedendo una volta all'autorità di Toscanini, che la eseguì a New York il 13 marzo, e un'altra volta all'autorità dell'Accademia d'Italia che la fece eseguire in presenza del duce nei giardini delia Farnesina con l'orchestra di Santa Cecilia sotto la direzione di Bernardino Molinari. Dell'esecuzione toscaniniana sono rimaste registrazioni, da cui il maestro Pietro Spada ha dedotto, con esercizio di dettato musicale, la partitura ora eseguita alla Scala contravvenendo alla volontà dell'autore. L'inevi- tabile confronto con la Sinfonia della Forza del destino rende pienamente ragione alla chiaroveggenza della sua condanna. La chiara contrapposizione di blocchi sinfonici che conferisce tanta evidenza a quel capolavoro orchestrale di Verdi, qui è sostituita da un affannoso alternarsi di numerosi temi brevi sfuggenti: quello scivolante di Aida, che fa le spese della maggior parte della composizione e viene assoggettato nella chiusa a una stretta quasi carnevalesca, quello della gelosia di Amneris (l'unico che avrebbe la quadratura adatta a farne materiale sinfonico), quello dei Sacerdoti, il «Numi, pietà» di Ai da. Sono accenti lirici o drammatici, non sono «mattoni» da co struzione sinfonica, perciò non riescono a coagulare dialettica mente. Verdi si riprometteva di raggiungere questo risultato con la sovrapposizione di tre di essi in un culmine centrale di polifonia drammatica, «quando — egli scrisse — Tromboni e Contrabbassi urlano il Canto dei Sacerdoti, Violini ed istromenti a fiato gridano la gelosia di Amneris, vi è il canto di Aida fatto fortissimo dalle trombe». E aggiungeva: «Quello squarcio o è un pasticcio o è un effetto». Questo volle controllare in una esecuzione segreta, non fu soddisfatto, non c'è che dargli ragione: ci sono i temi bellissimi dell'opera, ripetuti insistentemente senza chiara ragione; la Sinfonia non c'è. Massimo Mila

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