Nella città "fantasma,, di Giggiga mentre al Nord infuria la guerra di Francesco Fornari

Nella città "fantasma,, di Giggiga mentre al Nord infuria la guerra ll nostro inviato tra i guerriglieri irredentisti somali dell'Ogaden Nella città "fantasma,, di Giggiga mentre al Nord infuria la guerra (Dal nostro inviato speciale) Giggiga, 3 novembre. Il sordo rombo delle cannonate scandisce le notti insonni di Giggiga, liberata circa due mesi fa dai guerriglieri del Fiso (Fronte di libe razione della Somalia occidentale). Si combatte a meno di quaranta chilometri dalla città: nel buio sono chiaramente visibili nel cielo le vampate delle esplosioni. Giggiga sembra una città fantasma: gli etiopici prima di ritirarsi hanno saccheggiato i negozi, distrutto molte case, ucciso parecchi abitanti. Quando cala la sera la gente si chiude nelle abitazioni, misere capanne di paglia e fango, tutti raccolti intorno al fuoco per difendersi dal freddo pungente. Giggiga è a mil letrecento metri d'altezza, le notti sono gelide, specialmente in questo periodo, il der, la seconda stagione delle piogge. Le strade sono buie, dalle finestre non filtra neppure un barlume di luce: si vive nel terrore dei bombardamenti, l'aviazione etiopica è a Dire Dauci, a meno dì 140 chilometri, una distanza irrisoria per i veloci F104 che sono già venuti a bombardare la città un paio di volte. « La seconda volta hanno colpito l'ospedale — dice Ibrahim Mohamed comandante della polizia — era pieno di feriti, abbiamo dovuto eva¬ cuarli, molti erano stati travolti dalle macerie. Non si può credere che sia stato un errore: fino a due mesi fa qui c'erano loro, conoscono beniss'mo la città, sapevano che quello era l'ospedale, hanno voluto bombardarlo apposta ». Uno dei tanti episodi dì questa guerra feroce che si protrae ormai da oltre cinque mesi: le perdite in vite umane sono elevatissime da entrambe le parti. Secondo Abdullahì Hasan Mohamud, segretario generale del Fiso, gli etiopici hanno perso finora « almeno 15.000 soldati ». Non si conoscono le cifre ufficiali Sci morti fra i guerriglieri, ma devono essere tanti. Nell'ospedale di Giggiga installato in un vecchio albergo, soni ricoverati in media 150-200 feriti. Ogni giorno arrivano dal fronte camion carichi di feriti: i più gravi vengono fatti proseguire per gli ospedali di Berbera, Hargeisa e Mogadiscio, gli altri rice^iono qui le prime cure. «Facciamo tutto il possibile — mi dice il dottor Ali Homar — ma la situazione è molto critica. Abbiamo bisogno di medicine e strumentazione chirurgica: finora abbiamo ricevuto soltanto qualche piccolo aiuto dalla Cri, dalla Somalia e dai Paesi arabi, ma non sono sufficienti ». / feriti sono ammassati nei corridoi, sotto il porticato. nel giardino. I più gravi hanno un letto, gli altri sono sdraiati sul pavimento. I più fortunati hanno una coperta. Con l'aiuto di quattro infermiere, il dottor Ali Homar fa tutto quello che può per cercare di alleviare le loro sofferenze. Quando l'ho incontrato stava medicando un partigiano appena arrivato dal fronte. Aveva una gamba crivellata dalle schegge di una granata; senza anestesia («non abbiamo più neppure dei calmanti»), il medico stava estraendo uno dopo i l'altro i frammenti di metal¬ lo conficcati nella carne. Il polpaccio era sbrindellato, si intravedeva l'osso della tibia: il guerrigliero, un ragazzo di vent'anni, la fronte madida di sudore, stringeva i denti per non gridare. Una delle infermiere gli teneva la mano e gli sussurrava delle parole dì incoraggiamento. Alla fine dell'operazione gli hanno dato una tazza di eia! (tè) bollente e l'hanno sistemato per terra, in un angolo del corridoio. Giggiga è collegata ad Hargeisa, l'ultima città somala prima del confine con la con¬ tesa provincia etiopica dell'Ogaden, con una pista lunga 160 chilometri. I camion che trasportano viveri, materiali, carburante, viaggiano soltanto di notte, per non correre il rischio di essere attaccati dall'aviazione nemica. Un viaggio infernale, che le piogge di questi giorni rendono ancora più difficile. La pista è trasformata in un pantano, nel quale le ruote degli autocarri affondano fino al mozzo. Ho impiegato dieci ore per arrivare a Giggiga a bordo di una Land-Rover del Fiso: ci siamo impantanati almeno quattro o cinque volte, altrettante abbiamo dovuto fermarci per aiutare camion in difficoltà. I feriti gravi che vengono trasportati negli ospedali somali devono affrontare questo viaggio terribile: per molti di loro si tratta di un viaggio senza ritorno, non sopravvivono alla fatica disumana. A Giggiga c'è bisogno di tutto: la popolazione, a cui si sono aggiunte parecchie migliaia di persone fuggite dai villaggi vicini per sottrarsi alla furia dei combattimenti, si nutre con latte di cammello, carne di pecora e quando c'è pane. Non c'è frutta, manca la verdura, zucchero e Francesco Fornari (Continua a pagina 2 in terza colonna)

Persone citate: Abdullahì Hasan Mohamud, Ali Homar, Land