"Lontano dal pubblico mi prende la tristezza,, di Salvatore AccardoRiccardo VianelloSalvatore Accardo
"Lontano dal pubblico mi prende la tristezza,, Accardo al Conservatorio con Beethoven "Lontano dal pubblico mi prende la tristezza,, "Ascolto musica tutto il giorno" racconta il celebre violinista che a Torino si è esibito come solista e direttore d'orchestra Beethoven più Accardo, un Salvatore Accardo nella doppia veste di solista al suo magico violino e di direttore d'una orchestra di dimensioni cameristiche, è una ricetta ideale per il palato del pubblico; ed intatti ieri pomeriggio il Conservatorio, con molta gente allineata lungo le pareti, s'è rivelato sede inadeguata ad ospitare il concerto dell'Unione Musicale. Ricetta sicura, s'è detto: tuttavia, per un interprete come Accardo, che siamo abituati a considerare come una sorta di reincarnazione paganiniana, ed il cui strumento compie prodigi di agilità tutta illuminata dal sole delle sue origini italiane, Beethoven potrebbe costituire la fonte di qualche insidia di incompatibilità. Non per banali questioni di «quadratura» tedesca contrapposta alla capricciosità italiana, bensì per il problema di trattenere il violino del «Concerto» op. 61 nei più adeguati limiti di brillantezza. Niente di tutto questo: Accardo s'è rivelato anche beethoveniano, e c'è da scommettere che gli è stato di grande aiuto l'ascolto assiduo delle interpretazioni dei suoi colleghi. «Io ascolto musica tutto il giorno», ci ha confessato, «qualche volta anche ì dischi da me incisi: mi interessa verificare come suonano quindici o dieci anni fa e come suono oggi. Ma mi interessa anche ascoltare gli altri interpreti. Perché no? C'è sempre da accertare, da imparare, da mettere in discussione con se stessi». «Quanti anni di attività alle spalle?». «Eh, ormai sojk) più di venti. Ho esordito che avevo quindici anni, un ragazzino che dava il suo primo concerto. Adesso mi sembra incredibile, ma pochi anni dopo facevo musica da camera in America con gente come Isaac Stern». A Torino Accardo è venuto anche in veste di direttore, s'è detto; un'attività connaturata con quella di solista. Tie- ne molto che si sappia che questa esecuzione della «Quarta» beethoveniana è fatta secondo tutti i crismi della epoca. «A quei tempi non c'erano le orchestre d'adesso, con cento e più elementi. Erano trenta, al massimo quaranta. Anche le "Sinfonie" di Beethoven risultavano musica da camera, nel vero senso della parola». Oggi, diciamo noi, resta difficile ascoltarle con questo spirito, se non mantengono una plausibile rotondità e corposità. Per molti questa «Quarta sinfonia», che si esegue ingiustamente di rado, sarà stata senz'altro una piacevole riscoperta: la terra beethoveniana di cui è nutrita ha un humus certamente molto diverso da quello magniloquente della sorella maggiore e non ancora impregnato delle sostanze che daranno drammatica vita a quella minore. Eppure ha un racconto bellissimo, forse leggermente dilatato (ed Accardo ha fatto bene a mantenerne intatte le proporzioni, evitando i pericoli d'una concisione forzata e fuori luogo), che raggiunge le solite alte vette nei due «adagi», quello iniziale che precede il nutrito «allegro vivace» e quello che, assai più sviluppato, lo segue. Un pubblico attentissimo, quello di ieri. Veramente beethoveniano, come ormai si può sempre dire di quello torinese. Ci viene in mente ciò che Accardo afferma del pubblico in generale, dei propri rapporti con esso. «Chi suona, chi affronta il pubblico, ne avverte sempre le vibrazioni, lo stato d'animo, al momento stesso d'entrare in scena. E' una sensazione che non saprei neppure definire esat tamete. Quando poi uno vi ha fatto l'abitudine, è quasi impossibile rinunciarvi. Mi basta stare pochi giorni, quattro o cinque solamente, lontano dal pubblico, per cambiare decisamente d'umore. Devo ricaricarmi al più presto con un concerto». «Ma che cosa pensa del pubblico d'oggi? Ci sono dei veri conoscitori della musica, tra di esso, oppure è una moda, un atteggiamento, qualche cosa, insomma, che con la musica c'entra poco?». «Fino a qualche anno fa penso che la percentuale dei conoscitori fosse senz'altro molto bassa. Adesso è notevolmente aumentata, è arrivata a livelli già alti. Ci sono stati dei segni di risveglio decisivi, che sembrano sempre più in aumento». Nel «Concerto» op. 61, pagina beethoveniana che profuma di cam pestre e s'allarga in vasti respiri di canto, Accardo può imbrecciare lo strumento che lo ha visto, anomalo « scugnizzo» nato a Torino, salire adolescente alle glorie del firmamento concertistico mondane e qui stabilirvisi definitivamente. E ieri il pubblico della sua città natale gli ha decretato una volta di più un giusto trionfo, accomunandolo con l'Orchestra da Camera Italiana, pronta a realizzarne i sobri gesti di oculata direzione. Riccardo Vianello Salvatore Accardo
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