È morto il critico Alberto Blandi
È morto il critico Alberto Blandi DUE GRAVI LUTTI NEL, GIORNALISMO TORINESE È morto il critico Alberto Blandi Un improvviso malore ha stroncato ieri alle 18 nell'ospedale Maurizlano il giornalista Alberto Blandi, critico teatrale de «La Stampa». Blandi si trovava nell'ospedale in visita al collega Nino Ferrerò ricoverato dal mese scorso dopo l'attentato. Per un collasso di origine cardiaca, ha perso i sensi ed è spirato pochi minuti dopo. Era nato nel '20 a Milano, dove aveva combattuto tra i partigiani. Si era laureato in lettere. Ha compiuto l'intera sua esperienza giornalistica a Torino dapprima come capo-redattore di «Mondo Nuovo» nel '47, poi nella cronaca e nella redazione di «Stampa Sera» fino al '67, infine come critico a « La Stampa ». / colleghi de «La Stampa», di «Stampa Sera» e «Tuttolibri» esprimono le loro condoglianze ai familiari. Nella cultura con umiltà L'ultimo ricordo di Alberto Blandi è di poche sere fa a teatro. Di lontano vede due amici che fìngono di questionare per una vecchia interpretazione della Guarnieri o della Moriconi e accorre trepido con il sorriso sulle labbra: «Non è il caso» dice prima ancora di sentire le voci incri¬ narsi per il dispetto. Sapeva comunicare, con noi e con il suo pubblico di lettori. Blandi ha percorso felicemente l'intera parabola del giornalismo del dopoguerra. La lotta partigiana, con il ricordo dei lunghi periodi d'isolamento e la consapevolezza che bisognava fare qualcosa anche dopo, gli aveva suggerito la via della discrezione e dell'umiltà. Non amava le redazioni fantascientifiche. Preferiva, nelle conversazioni tra colleghi e attori sotto gli alberi dei viali torinesi, ritornare alle prime esperienze del giornalismo. Allora, per chi aveva sofferto del silenzio imposto dalla dittatura, il rispetto per la notizia veniva prima di tutto. Un dato mancante, un particolare inesatto significavano venire meno in qualche modo all'aspettativa. Così, per portare a tempo in redazione le venti righe d'infortuni dal pronto-soccorso degli ospedali, ci si doveva gettare risoluti nel traffico (in bicicletta). E per andare alla prima della Scala bastava la giacca buona che ci si faceva passare di sera in sera. Cronaca, redazione, critica. Blandi ha conservato in trent'anni di carriera lo stesso atteggiamento umanistico. Anti- conformista, fautore della più bella e dolce forma di anarchia, non si appoggiava a leggi o convenzioni per farsi lar- go e tuttavia riconosceva agli altri la libertà di usarne anche senza sfumature. Perciò era nemico della violenza e, insieme, di quella forma di violenza costituita dalla stroncatura. Ci sono modi più civili per aprire un dibattito culturale. Uomo di sinistra, era stato inviato nel '58 al festival cinematografico di Karlovy Vary per documentarvi l'evoluzione dello spettacolo nel mondo socialista. Le etichette non lo avevano allettato e in poche righe seppe delincare il ritratto d'una società soffermandosi sulle monumentali architetture asburgiche degli alberghi nella vecchia Karlsbad: «Ora ospitano gli operai, ai quali il governo della repubblica cecoslovacca offre, attraverso i sindacati, la suggestione di un periodo di ferie in una grande stazione climatica». Allo stesso modo quando il Living Theatre in una tempestosa notte dell'ottobre del '69 era stato fermato all'Alfieri prima del termine di Paradise now, non aveva esitato a titolare l'articolo: «Recita noiosa ma non oscena». Si era soffermato su un'invocazione di Julian Beck («Voglio la rivoluzione, ma non voglio uccidere nessuno») e la commentava spesso. Ne coglieva l'ingenuità, l'ambiguità magari ma la sentiva profondamente vicina al suo modo di pensare. Quand'era ora, suonava la sveglia per chi dormiva. Prima che lo Stabile di Torino desse finalmente Giorni felici, scriveva che al pari di Ionesco, Beckett era ormai un classico: «Ed è per lo meno singolare (si fa solo un esempio) che nessun Teatro Stabile abbia pensato a presentare a un vasto pubblico, fuori della cerchia dei teatri sperimentali, un capolavoro come Aspettando Godot». Per un altro verso fiancheggiava e precedeva da critico l'attività degli artisti. La definizione di «opera in progresso» e la necessità della colla¬ borazione degli spettatori nel corso delle repliche per le commedie di Dario Fo risale al '67. Fo aveva scritto La signora è da buttare e non pensava forse ancora al circuito proletario. Chi ha visto Alberto Blandi alla partita, al circo, alla filodrammatica, saprà che nulla gli era estraneo dello spettacolo. Immerso nel vivo della comunità ne ha colto ogni sollecitazione ingigantendola. Piero Perona Alberto Blandi
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