Montefibre, eterno ricotto

Montefibre, eterno ricotto Si licenzia per ottenere finanziamenti Montefibre, eterno ricotto Andreotti incontra Medici, in gran segreto, nel pomeriggio di una domenica romana. Andreotti chiede tempo. Medici chiede comprensione e quattrini. Si lasciano, un'ora dopo, soddisfatti. E la farsa continua. C'era una volta Cefis, lo chiamavano «il re di denari», inventò la «razza padrona». Aveva pochi, ma incrollabili prìncipi, uno dei quali era «Dio me l'ha data, guai a chi la tocca», e parlava della poltrona numero uno di Foro Bonaparte, scranno di Eugenio I, imperatore di Montedison. Cefis odiava Montefibre, sorella povera. E l'usava senza scrupoli, come suo costume. L'usava come merce di scambio: di qua mille, duemila, cinquemila licenziati, di là i miliardi dello Stato. Una volta all'anno, dal '70 in poi, i giornali echeggiavano di allarmi: «Montefibre: Ivrea in Cassa integrazione»; «Duemila licenziati a Verbania»; «Si faranno cioccolatini a Chàtillon?»; «Vercelli: chiude la Montefibre?». Poi non succedeva niente: dal governo arrivavano t quattrini, e tutto fermo, fino alla prossima volta. Nell'atrio del palazzo di via Pola, sede milanese della Montefibre, campeggiava un plastico me¬ raviglioso, era il progetto per la nuova «Rhodiatoce» di Mergozzo. Finì in una cantina, insieme con le speranze del Verbano. Merce di scambio. Questa la funzione Montefibre durante tutta la gestione Cefis. Carlo Massimiliano Grittì, presidente della consociata, pagò con l'esilio un tentativo di autonomia. Ora sta in Svizzera ed al suo posto prospera Ma- rio Schimberni. Quando Cefis andò via, fu opinione di molti che la prima a giovarsi d'un cambio della guardia sarebbe stata Montefibre. E invece... Due giorni fa il Consiglio di amministrazione spara a zero: lìcenzieremo seimila, ridurremo il capitale. I giornali son di nuovo pieni di titoli e, di nuovo, il governo si appresta a cedere al ricatto. Pagherà. E, come sempre, i miliardi non andranno a Montefibre. Spariranno nelle pieghe di bilanci ignoti, a finanziare le altre attività del gruppo, a rendere più lucidi i già brillanti «gioielli di famiglia». Fino alla prossima occasione, fino al prossimo ricatto. Sarebbe ora che il governo chiarisse una volta per tutte fino a quando intende avallare questo tipo di conduzione di un'azienda dove la partecipazione pubblica (soldi di tutti) è prioritaria e dove le decisioni pubbliche sono in minoranza. Perché era facile addossare a Cefis, il «prussiano», voglie imperiali e privatistiche. Assai più arduo è fare altrettanto con Giuseppe Medici, presidente politico, ex uomo di governo. A questo punto sorge un dubbio difficile da scacciare: quanto c'è di preordinato nella manovra Montefibre? Andreotti cede, sa che su Montefibre gli può saltare il governo. Ma chi ha creato il ricatto? Chi ha spedito Medici a mettere mine a Palazzo Chigi? Ancora una volta la strategia Montedison si ammanta di equivoci e di giochi oscuri di corridoio. Ancora una volta la «cattedrale della chimica» vede i suoi profeti impegnati in riti dove corrono miliardi non loro, miliardi che lo Stato non ha e che, dopo essere usciti in qualche modo dalle tasche di (quasi) tutti gli italiani, si perdono in canali inondati di nebbia. E Montefibre rimane, e diventa ancor più, azienda fantasma, i cui impianti conoscono in gran parte l'obsolescenza e l'improduttività. Rimane, e diventa ancor più, strumento di pressione disponibile e pronto ad essere utilizzato non appena occorra. Giocando sulla pelle dei suoi lavoratori per salvare quella di chi (e l'ha già ampiamente dimostrato) non sa dirigere un'impresa senza elemosinare (od estorcere) soldi allo Stato.^ Mauro Benedetti

Luoghi citati: Ivrea, Mergozzo, Montefibre, Svizzera, Verbania