Gli atenei alla deriva un appello da Firenze di Benedetto Marzullo

Gli atenei alla deriva un appello da Firenze Superato il livello delle inagibilità Gli atenei alla deriva un appello da Firenze Dall'università energico appello di Firenze, del Senato accademico. L'imminente anno si annuncia con «disagi e inquietudini» più gravi di quelli che hanno finora «tormentato» studenti, docenti, non docenti: non si può «continuare a sostenere e amministrare situazioni di latto eccezionali». La mozione, unanime, invita le altre università ad associarsi nella protesta contro i sistematici ritardi e le inadempienze della classe politica. I problemi dell'università vengono ridotti a «questione di ordine pubblico». Si risolvono, nel migliore dei casi, con provvedimenti disciplinari. «Ormai è stato superato il livello di guardia delle inagibilità». Nulla di concreto, si contesta, 6 avvenuto in sede legislativa: in particolare, la discussione dei progetti di riforma va avanti con estrema lentezza, anche le misure di programmazione previste nell'accordo dei sei partiti sono state completamente disattese. Più che vero: lo stesso incontro dei sindacati con il comitato senatoriale della Pubblica Istruzione non ha ricevuto, giorni fa, che generiche promesse. Né risulta modificato il progetto di legge governativo, che solitariamente istituisce nuove sedi universitarie, al di fuori di ogni progetto globale, malgrado il difetto di copertura finanziaria. Il potere sembra procedere imperterrito, moltiplicare il caos, invece di arginarlo. E' generalmente sfuggito tuttavia, sia alla stampa sia alla pubblica opinione, che la competente Commissione del Senato ha approvato, lo scorso settembre, non irrilevanti misure «nel settore della istruzione universitaria». La Camera si è affrettata a ratificarle: troppe scadenze incombono col prossimo 31 ottobre. Si dispone infatti un radicale decentramento amministrativo, che autorizza un'autogestione pressoché integrale di ciascun ateneo. Salvo alcune fondate prerogative, riservate al ministro: organici, ruoli, concorsi, trasferimenti, aspettative del personale docente e non docente. Le «partite di spesa fissa», per gli uni e per gli altri, sono invece devolute alle direzioni provinciali del Tesoro: non dovrebbe più accadere, come oggi è la norma, che un vincitore di concorso non venga pagato prima di un paio d'anni. I rischi di disparità qualitative, o di dispettose arroganze per cui già si distinguono i poteri locali, sono innegabili. Ma costituiscono esiguo prezzo, nei confronti di un drastico rinnovamento funzionale. La vicenda del personale non docente, che negli ultimi tempi ha rabbiosamente bloccato le maggiori università, viene contestualmente e integralmente conclusa: anche se il complesso dei provvedimenti adottati ha un allarmante sentore corporativo, se non giustizialista. Tutto il personale in servizio alla data del 1" gennaio 1977 viene immesso nei rispettivi ruoli, «ope legis». Altrettale godimento viene riservato a chi «abbia prestato servizio, anche non continuativo, non inferiore a diciotto mesi nell'ultimo triennio». Non viene precisato il numero dei beneficiari. Certo strabocchevole, se è riuscito a «garantirsi» simile privilegio: analogo disegno di legge ha varato il governo venerdì, «garantendo» il ruolo a 200 mila precari, fra insegnanti e personale della scuola primaria e secondaria. Perfino al personale docente, provvede il magnanimo calderone senatoriale. Una leggina del febbraio scorso si era già preoccupata di aumentare in varia misura (dal 30 al 50 per cento) il miserabile soldo dei giovani precari, i cosiddetti borsisti, assegnisti, contrattisti. Con un paio di articoletti aggiuntivi, il provvedimento approvato, li nomina, evidentemente sul campo (in realtà nel titolo della legge), «personale docente». La sollecita provvidenza assicura a questa e affini categorie (ivi compreso il ruolo degli assistenti, già decretato ad esaurimento) una ulteriore ed indiscriminata proroga contrattuale, fino al 31 ottobre 1978. Una estrosa sentenza del pretore di Pisa qual¬ che giorno fa li ha riconosciuti «dipendenti statali», gli assicura contingenza e assegni familiari: al Tar toscano l'ardua e definitiva sentenza. I quindicimila giovanotti e giovanotte (più spesso signore), ogni altro interessato, tireranno un sospiro di sollievo. La istituzionalizzazione del precariato scientifico (in realtà un generoso apprendistato) procede: con la forza delle leggi, non per sforzo di opere o di ingegno. La meta del «docente unico», esente da qualificate verifiche, tecni¬ che e sociali, è sostanzialmente raggiunta. Non importa che l'università ne risulti ibernata, che incontrollati privilegi ancora una volta si perpetuino. Non importa che nuove leve di giovanissimi studiosi, ma anche di valenti operatori, non tempestivamente né opportunisticamente integrati, continuino ad essere esclusi dall'università. Il grido di dolore dell'ateneo fiorentino teme giustamente il domani, sembra all'oscuro delle odierne trame. Benedetto Marzullo

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