Il diritto-dovere di non aprire bocca

Il diritto-dovere di non aprire bocca Dibattito sul segreto giornalistico Il diritto-dovere di non aprire bocca Di segreti aventi rilevanza giuridica esistono svariati tipi: ciascuno con la sua storia, le sue giustificazioni, i suoi condizionamenti. Tracciare profili paralleli non è impresa facile, tali c tante sono le differenze che contraddistinguono le rispettive fisionomie. Eppure la tentazione di provarci si fa forte, specie quando i loro destini sembrano divergere in maniera considerevole. Prendiamo i due segreti di cui, ormai da tempo, maggiormente si parla nelle cronache giudiziarie ad alta risonanza: il segreto politico-militare e il segreto professionale del giornalista. Per entrambi le norme che attualmente li riguardano sono state sottoposte al giudizio di legittimità della Corte Costituzionale; per entrambi sono stati pure presentati progetti di legge aventi di mira una regolamentazione più adeguata ai principi e alle esigenze di una società democraticamente impostata. Ebbene, questi incidenti di legittimità costituzionale e questi disegni legislativi non avrebbero potuto avere sorti più controstanti, a seconda che ne fosse oggetto l'una o l'altra figura di segreto. Del segreto politico-militare la Corte Costituzionale si è già occupata in due occasioni: la prima all'udienza dell'I 1 dicembre 1975, con una decisione di scarsa incidenza per le troppo ridotte prospettive di partenza, e la seconda all'udienza del 13 aprile 1977, con due decisioni di larga risonanza anche per la declaratoria di parziale illegittimità di due articoli del codice di procedura penale contenuia in una di esse. Si noti che a provocare quest'ultimo intervento erano state due ordinanze istruttorie datate 5 maggio 1976 e 24 maggio 1976. Sul segreto giornalistico, invece, la Corte Costituzionale non si è mai pronunciata fino ad oggi, pur essendo stata anche qui chiamata in causa più di una volta: per l'esattezza, dal pretore di Cagliari il 24 marzo 1976 e dal pretore di Roma il 5 ottobre 1976. Benché il tempo di attesa che si sta registrando a tale proposito non possa certo dirsi superiore alla normalità nei sempre più pesanti ritmi di lavoro della giurisprudenza costituzionale, non può non saltare all'occhio la circostanza che la prima ordinanza in materia di segreto professionale è stata «scavalcata» dalle due successive ordinanze del maggio 1976 in tema di segreto politicomilitare. Il che significa non solo che la Corte Costituzionale ha dato la precedenza a quest'ultima problematica, ma altresì che la si è ritenuta meritevole, anzi bisognosa, di un pronto esame, quasi sotto forma di una priorità assoluta. Analogo fenomeno è riscontrabile in sede parlamentare. Mentre tutto tace sul fronte del segreto giornalistico, dopo che nella precedente legislatura il disegno di legge governativo che avrebbe voluto equipararlo ad altre ipotesi di segreto professionale era stato bloccato dalla commissione Affari costituzionali della Camera, il Parlamento si accinge a varare il provvedimento che — dedicato anzitutto all'«istituzionc ed ordinamento del Servizio per le informazioni e la sicurezza» (cosiddetta riorganizzazione dei servizi di sicurezza) — contiene la nuova disciplina del segreto di Stato, formula destinata a sostituire quella di segreto politico-militare, a sottolineare la riduzione dei suoi attuali troppo vasti confini. E' ovvio che ad accelerare i tempi di approvazione del provvedimento ora richiamato ha contribuito la stessa recente sentenza della Corte Costituzionale, sia per i vuoti provocati dal dispositivo di parziale illegittimità delle attuali norme sia per i più ampi rilievi sviluppati nella motivazione. Urge, in particolar modo, realizzare il principio che non possono essere coperti dal segreto i fatti eversivi dell'ordinamento costituzionale. Ma ancor più ha contribuito — e se n'è fatto portavoce il ministro dell'Interno nell'intervenire, mercoledì scorso, alla commissione Affari costituzionali del Senato, in sede di parere (risultato poi pienamente favorevole) sul testo già approvato dalla Camera — l'assillo di ridare ai nostri screditati e disgregati servizi di sicurezza un volto ed una consistenza non solo più credibili rispetto al passato ma anche meno effimeri rispetto all'oggi. Certamente, per quanto importante ed urgente, non può considerarsi altrettanto drammatica, al confronto, la soluzione dei problemi che coinvolgono la segretezza delle fonti di informazione e l'esercizio della attività giornalistica, anche perché la legge professionale del 1963 fornisce un appiglio che consente di risolvere almeno i casi più delicati. Cosi è accaduto, non più tardi di tre giorni fa, a Milano, dove quel tribunale ha assolto con formula piena Pietro Radius dall'imputazione di «concorso con ignoti in rivelazione di segreto istruttorio». Accusato di aver immediatamente divulgato una importante circostanza emersa nel corso di un interrogatorio svoltosi in fase istruttoria e, quindi, a porte chiuse, il giornalista si è avvalso del dirilto-dovcre di tacere il nome del suo informatore. Venuta meno in lai modo la possibilità di risalire ad un pubblico ufficiale (giudice, pubblico ministero) o ad un incaricato di pubblico servizio (cancelliere, segretario) come fonte della notizia, è caduta per ciò stesso la configurazione del delitto contestato a Radius: la rivelazione di un segreto d'ufficio non può prescindere dalla partecipazione di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio. L'ignoto si e risolto a tutto favore dell'imputato, non potendo il suo giustificato silenzio ricadérgli a danno. Giovanni Conso

Persone citate: Giovanni Conso, Pietro Radius, Radius

Luoghi citati: Cagliari, Milano, Roma