Da sempre, Lolita

Da sempre, Lolita NABOKOV LE DIEDE IL NOME Da sempre, Lolita Nel destino di ogni cronista c'è sempre una Lolita, una Lolita di cui scrivere. E' la ragazzina irretita dalla sensualità dell'adulto porcellone, occhio spurgante lubricità, labbro tumido, gola mugolante. Un incontro al parco, magari una fuga di casa, un gioiellino acquistato come esca, una carezza, un bacio, la prima lacrima; poi amore e passione, passione e amore. In finale, l'adulto è diventato il professor Unrath, la Lolita non è altri che Loia-Loia. Ci volle Nabokov per tirar fuori dalle cronache dei giornali la Lolita più vera possibile. Dopo di lui le Lolite stanno ovunque: a Bari, a Mistretta, a Novara da ultimo. Parevano un'invenzione dell'Ottocento; invece no. Cos'è una Lolita? L'inizio, il segno d'una irrefrenabile, indicibile nostalgia per la giovinezza, o la ricerca di più ascose sensazioni? La bambina appena maturata nel sesso, donna e non donna: in lei attirerebbe la memoria dei giochi infantili che possono confondersi con giochi meno casti, attirerebbe la vertigine dell'effrazione, del crimine... Amare una Lolita è una forma speciale di pederastia: Nabokov lo sapeva, e la grazia abbrividentc del suo romanzo nasce proprio da un impalpabile rimescolio di carte, dal ruotare periscopico delle emozioni. Senza contare, poi, che Lolita, diventando donna nelle viscere, scopre la crudeltà come artifizio erotico. Ripeto: non ci vuole niente perché una Lolita si trasformi in Loia-Loia. In quella trasformazione c'è l'esca per un dubbio: è la Lolita a essere attirata nel gorgo nero della sensualità; o è lei ad attirarvi un cauteloso signore, già ingrigito dagli anni, quale non aspetterebbe dalla vita altro che quiete, per godersi pacificato lo spettro umbratile dei colori autunnali? Lo psicologo dice: il senescente soffre nella carne trafitture inconfessabili, volta gli occhi indietro e cerca di nutrire la vecchiaia incipiente con la giovinezza altrui; da questa vuole suggere gli umori più segreti c vitali. E se fosse vero l'inverso? Che la giovinezza, cioè, tentasse di suggere la maturità più estrema dalla carne che infrollisce e dall'epidermide che si fa cartavelinosa per l'età avanzante? Non è facile, né agevole scendere nei sotterranei della psiche, ma la Lolita potrebbe essere anche un fatidico travestimento del cosiddetto demonio, un accidente del caso (sinistro accidente del caso) che piomba fra capo e collo a chi non Io ricerca e neanche se lo augura. Poi, si sa come procedono le cose: in che modo sottrarsi a quell'occhiata quanto mai assassina? Per quale via sfuggire a una lusinga tanto ambigua da parere il candore fatto creatura? Per quale burella più o meno naturale negarsi all'attrattiva di toccare quella carnicina fresca dai pori non ancora pronunciati, tesa e liscia pari all'involucro morbido d'un uovo? Quante attenuanti potremmo rilevare per il nostro meschino professor Unrath « in pectore »! Tante quante ne rileviamo per la nostra Lolitella. Ma se Lolita è « instrumentum diaboli » (ahimè, di quanto « latinorum » vado facendo uso, quasi non bramassi altro che l'accusa assembleare di incallito Azzeccagarbugli), se Lolita è l'arma dolce dell'inferno, su quale mito andremmo a incollare la sua figuretta gentile, la sua risatina agra e inquietante? Tisbe, Ero, Dafne... No, queste ragazzette gentili erano innamorate e riamate da altrettanti gentili ragazzetti. Carne fresca da una parte e dall'altra: non lotta impari: armi pari. Chi si sognerebbe di dire che Giulietta è una Lolita? Neanche quel criticoregista, forsennato per malizia, che preventivasse (ci si arriverà, ci si arriverà) mettere in scena « Romeo and Juliet y> con Frate Lorenzo che se la fa con la ragazzina, mentre Romeo è l'uomo dello schermo. No: se andiamo nel mondo ellenico e derivati, all'inizio non c'era una Lolita, ma c'era Ganimede. Il vecchione, Giove padre addirittura, se la faceva con i bambini, e senza turbarsi troppo. I bambini ci stavano: basta leggere il « Carmide » o il « Lachete » di Platone per informarsi con dovizia su gusti ai giorni nostri spariti dall'esplicito. Il versante apollineo non appartiene a Lolita. Le appartiene forse quello dionisiaco. Per qualcuno Dioniso viene dall'Oriente. Forse Lolita è un mito dell'Oriente. Se sfogliate la Storia Sacra, ci trovate Lolita. Chi è Sa-1 lomè se non una Lolita della | più bell'acqua? Erode non è un vecchione; ma del vecchione ha le bave. Quelle bave 10 incanutiscono: lo incanutisce irrimediabilmente il voler godere con gli occhi tenendosi le mani in tasca (si fa per dire...). Mentre lei, la Salomè, è proprio una bambina; anzi, è « la » bambina. C'è da restare tramortiti a pensare quel che una simile ninfetta (chi è stato lo sconosciuto genio che, nel nostro lessico, ha trovato per Lolita questa incongruo, vizioso sinonimo?): dicevo, c'è da rimanere secchi a pensare quel che imbastisce Salomè con Erode, con la madre, con Giovanni. Tanto è vero che Oscar Wilde si tuffò dentro la vicenda senza un attimo di riflessione. E Richard Strauss anche. Wilde aveva le sue ragioni, ragioni storiche per di più. La « pruderie » e la falsa pietà vittoriane lo autorizzavano. I dormitori dickensiani di bambini erano la pista di lancio al delitto e alla prostituzione. Usavano carte da visita in cui faceva mostra di sé, compunta e stazzonata, una « beggar girl » fotografata. Famose le « beggar girls » di Robert Crawshay. Ma andiamo oltre: esiste una piccola foto anonima, « silverprint », di una prostituta infanta. Sul « verso » si legge: « Mary Simpson, pubblica prostituta di anni 10 o 11 ». Siamo al 1871. La piccola Mary è nuda, ventre diresti idropico, ma la bocca imbronciata, gli occhi avvelenati, i capelli scarruffati dovevano far le delizie di chissà quali Erodi (e, mi sia concesso, di chissà quali Giovanni). Mary Simpson non era la sola, non era la prima. J. T. White, già nel 1850, fotografò bambine, coppie di bambine, bambine e bambini assieme, in tutte le pose (erotiche pose), nudi. E qui fa quasi vergogna dire che anche il caro, delizioso, fantasioso e filosofico Lewis Carroll non fu da meno, con il nugolo di bambine di cui si circondò, Alice P. Liddell in testa: le svestiva, le svestiva anche, senini al vento. Insomma, Alice, calata dal Paese delle Meraviglie, autorizzò Salomè; e viceversa. Quando arrivò Strauss, con la sua orgiastica orchestra, si creò un equivoco: che Salomè, invece di gridi infantili potesse lanciare barriti dallo scuro colore contraltile. Tutto sbagliato: non ho mai sentito una Salomè cantare giusta la sua parte, scaldarsi al lume freddo della luna dietro Io scudiero Narraboth con perspicua intonazione bambinesca. Finché non si è svelata Monserrat Caballé: in disco, certo, solo in disco: ma che Salomè impubere, che Lolita infida e trasognata, che perverso stupore, che deriva stellata il soprano spagnolo sa cantare. Se però Salomè è il mito della perversità infantile, e Alice il discrimine su cui posano innocenza e ambiguità, l'attrazione per la bambina può essere anche una tragedia. Leggiamo i « Demoni » di Dostoevskij, leggiamo le pagine della « confessione » di Stavrogin: là usciamo dal mito, e entriamo in una zona più oscura che percorrere fa male. La schizofrenia spinge Stavrogin al delitto: Stavrogin abusa della bambina, ma la uccide; quindi si lancia verso un'assurda, delirante spirale di espiazioni da cui non uscirà che morto. Lo schema dostoevskiano ci dirotta, però. Nel viso di Carroll sdraiato su prato in mezzo a cinque ragazzine non c'è ombra di rimorso: c'è una disinvolta soddisfazione assai « self-control ». E su quello di Humbert Humbert, « confesso vedovo di razza bianca »? « Luminoso esempio di lebbra morale », come lo gratifica il suo autore, sul viso aveva dipinto « un misto di ferocia e di buffoneria ». « E' un anormale », seguita il suo crudelissimo e ironico autore: « Non è un gentiluomo ». E non è tutto: « La disperata franchezza che pulsa nella sua confessione non lo assolve da peccati la cui scaltrezza è diabolica ». Eppure, come negare che nella querula voce di Humbert Humbert vi sia l'eco melodiosa di un violino che canta tenerezza, dolore e pietà? Ma Nabokov gioca: gioca al sublime gioco dell'immaginazione. Il suo Humbert Humbert è ormai un esempio proverbiale di pietà. Intanto altre Lolite vanno incontro ad altri cronisti, e altre ve ne andranno. Enzo Siciliano

Luoghi citati: Bari, Mistretta, Novara