Pittura totale di Gustave Courbet di Alberto Cavallari

 Pittura totale di Gustave Courbet LA GRANDE MOSTRA PARIGINA A CENT'ANNI DALLA MORTE Pittura totale di Gustave Courbet Rivoluzionario, comunardo, con un forte senso della storia, ha tratto ispirazione anche dalla politica - Ma è lontanissimo dal "realismo socialista" - Artista puro, forte di un'onnivora vitalità alla Verdi, ha aperto nuove strade alla pittura moderna (Dal nostro corrispondente) Parigi, ottobre. La stagione delle grandi mostre di Parigi è cominciata quest'anno con un colpo di tuono: Gustave Courbet. Le sue centotrentaquattro tele esposte al Grand Palaìs sono infatti l'equivalente di uno spettacolo verdiano, con luci da Trovatore, cieli di « attorte folgori », ombre da Masnadieri, furie di mari, misteri di rocce, miserere di funerali, donne dormienti come Violetta e Annina, cori di popolo, nature morte simili a Cabalette, e persino quel gusto « pompier » che (come in Verdi) si affaccia sempre nel sublime. Ogni opera di Courbet, del resto, è davvero « opera ». Si comincia con le trombe «fosche» del famoso « Enterrement à Ornans », si passa per il do ■di petto luminoso delle « Cribleuses de blè », si termina col gran tema musicale delle tormente di neve, suonate con « cupi corni ». Naturalmente la mostra ha dato il via a interminabili discussioni sulla pittura « politica », e su Courbet precursore del « realismo socialista ». Come tutti sanno, Courbet fu pittore impegnato. Nato nel 1819 (sei anni dopo Verdi), morto nel 1877, visse come « fouriériste », e poi come socialista proudhoniano, la seconda restaurazione, la restaurazione orleanista, la Seconda Repubblica, il Secondo Impero, la Comune del '71. Dopo la rivoluzione del '48, seguì una via diversa rispetto a Lamartine, Flaubert, Victor Hugo, e si | mescolò alla « formicolante Bohème » degli « Intellectuels de Gauche » descritta così bene da Lefebvre. Questa intellighentia era schernita dai reazionari, perché formata dai « marginali », dai « porteurs de l'ideologie »: attori, chansonnier, autori di Vaudeville, confusi teorici di origine operaia. Ma la componevano anche veri intellettuali « declassés », avanguardia non integrata alla società borghese, in permanente guerriglia con essa: come Lautréamont (sparito misteriosamente alla vigilia della Comune), Rimbaud, Jules Vallès. Courbet, malgrado la ricchezza, il successo, l'amicizia col moderato Proudhon, scelse i marginali, frequentò i « Club Rouge », i politici rivoluzionari come Grousset, Delescluze, Rigault. Lui stesso incoraggiava la lettura strettamente politica dei suoi quadri, considerati esaltazione del mondo popolare, critica della borghesia del Secondo Impero, con affermazioni teoriche radicali. Malgrado vi s'imparentasse poco, fece proprio il programma realista di Champfieury. Celebre è la sua frase: « Senza la Rivoluzione dì febbraio la mia pittura non sarebbe nata: io ho codificato la rivolta ». la sua leggenda di « révolté » e di pMore politico deve però molto alla Comune, e agli equivoci di cui fu vittima. Nel '71 Courbet fu infatti un coraggioso comunardo. Apparteneva alla minoranza moderata che riuniva riformisti proudhoniani e internazionalisti: quella che in maggio (prima che venisse abbattuta la colonna Venderne) accusò la maggioranza blanquista di « dittatura ». Ma precedentemente era stato delegato alle Belle Arti, e gli venne attribuito il decreto di demolizione della colonna Vendóme. Studi recenti hanno appurato che questo decreto venne emanato il 12 aprile, mentre Courbet era stato eletto il 16. Hanno poi stabilito che Courbet lo rese esecutivo decidendo che la colonna fosse smontata (non distrutta), trasportata in un museo, sostituita da un simbolo della rivoluzione. Infine hanno chiarito che il 16 maggio, giorno delia demolizione, Courbet era dimissionario, e che non si trovava affatto tra la folla a guidare l'assalto. Però nessun tribunale controrivoluzionario tenne conto di queste circostanze. Courbet venne imprigionato a Sainte Pélagie, rovinato dai processi, costretto all'esilio. Vita d'esilio Questa fase della sua vita non gli creò solo la fama di « révolté », e di pittore politico. Gli creò pure la leggenda del pittore « maudit ». Infatti, in vista di un nuovo processo, Courbet raggiunse clandestinamente la Svizzera il 23 luglio 1873. Verso settembre si fissò a Teour de Peillz, presso Vévey, cominciandovi la sua « stagione all'inferno ». Di giorno (testimoniò l'amico Ordinaire) lavorava furiosamente « in due camere miserabili, piene di quadri senza cornici, le tele piene di buchi ». Ma in dicembre « era già come annegato nel vino bianco del Vaud », alla deriva nelle taverne « dove resta fino alle cinque del mattino ». Gonfio d'idropisia, gonfio d'odio per la Francia che lo perseguita, il cervello colpito dall'alcool e dai dispiaceri, Courbet morì presto, cent'anni fa, la mattina del 31 dicembre '77. La sua morte lasciò credere che anche il « sano Courbet » si fosse incamminato sulla strada dell'» evasione » battuta dalla sua generazione che malediva « lo stupido XIX secolo ». Come Rimbaud, che sta partendo per Aden. Come Baudelaire che aveva già scelto la droga. Come Verlaine che presto sceglierà l'alcool. Ma sarà sempre un « maudit » coperto d'insulti: dai simbolisti per il suo « realismo volgare », dagli accademici che lo giudicano un <: operaio della pittura senza genio ». Oltre gli schemi L'importante della mostra di Parigi (la più completa dopo la grande retrospettiva del 1882) è che tutti gli schemi applicati a Courbet (pittore politico « maudit », realista volgare, illustratore della rivoluzione) vengono spazzati attraverso la dimostrazione di una pittura « totale ». Dietro le tele, certamente, c'è il protagonista di una generazione che (come ha scritto Teurnier) « visse sulla metà del secolo XIX le doglie di una rivoluzione industriale dolorosa, tuffandosi nel proprio tempo per protestarlo o per fuggirlo ». Dietro ogni quadro è presente il fragore degli anni più tumultuosi della Francia, delle « tre rivoluzioni inutili, del '30, del '48, del '71 ». Ma il « davanti » di ogni quadro è leggibile nel modo consigliato da Foucault nelle celebri pagine dedicate alle « Menirias » dì Velasquez. Il « davanti » è pittura pura, pura rappresentazione, un « sistema di segni » che copre la realtà. Addirittura un « sistema di segni » senza correlazione tra « le parole e le cose », che distrugge il realismo sociale mentre sta nascendo. Il pregio della mostra è infatti di provocare su Courbet la stessa operazione svolta da Roland Barthes su Michelet. Si dà per scontato che Courbet abbia vissuto la storia del suo tempo da un'ottica socialista, ed abbia voluto « far storia» con personaggi della realtà, della cronaca, senza più ricorrere alle figure del neoclassico. Ma nello stesso tempo sì scoprono nei suoi famosi «tableaux d"histoire» quelle e. strutture » che ricorrono come « ossessioni organiche », come « chimica del genio », e che trasformano la storia (il realismo sociale) in pittura assoluta. Così, come Michelet, Courbet appare soprattutto un pittore che procede per temi, per « costanti interne », per metafore soggettive, per allegorie, del tutto estranee al « reale ». Non è un David del '48, un illustratore di storia. Come Michelet, è un « mangiatore di storia », un « divoratore della realtà », non uno « specchio di realtà ». Il procedere per « temi » è infatti continuo. All'inizio, è il tema di Narciso (l'ossessione dell'autoritratto). Poi viene il tema della notte e del fuoco (dalla famosa « Uscita dei pompieri a Parigi » ai tramonti rossoneri coi cervi feriti). In un terzo tempo, è il tema del sesso (bagnanti, sorelle, coppie saffiche) portato fino all'esasperazione del « sonno lesbico delle Dormienti ». In un quarto tempo, si spalanca il tema del sonno. Inoltre: tema del viaggio (nell'ebreo errante, e nel ritorno); tema delle rocce (capovolgimento dì quello sessuale); tema della neve; tema dell'acqua; tema del pesce; tema dei fiori rossi, delle mele roste, del sangue rosso, del cielo rosso. Infine (nel « Ritorno » e nei « Bracconieri a) :.' toma dei cicli azzurri, magici, di vetro, sfruttati per un « survol » iperrealista. In questa orchestrazione di temi (una polifonia figurativa) esiste senz'altro il pittore sociale di « Les casseurs de pierres », che lo stesso Proudhon leggerà come una metafora della condizione operaia. Ma ciò confirma solo che un altro tema (il tema della fraternità) alimenta il « grande appetito » di Courbet. Tanto più che dietro le « Cribleuses » non c'è affatto Millet, « pittore della fatica contadina ». C'è un Courbet che veste le proprie sorelle «con guito giottesco »: per una delle più grandi composizioni di pura forma, e di pura luce, legato al tema sororale. Né va dimenticato che proprio in prigione Courbet si curva sul tema così poco politico dei fiori e delle mele rosse. Oppure che dipingerà una sintesi della propria vita proprio con l'«Atélier»: immensa tela esoterica, allegorica, protosimbolista, nata dall'altra faccia del suo personaggio: quella di frequentatore dì logge massoniche. Cos'è stato allora Courbet? La prima risposta è che da lui parte una sola vera rivoluzione: quella della pittura moderna; e che un Courbet-vulcano, un Courbet-miniera, anticipa proprio coi suoi temi, con le sue « strutture », la successiva storia dell'arte: rocce per Cézanne, donne per Mone', e Manet, bianco-grigi per Braque, tramonti frantumati per gl'impressio- sti, simboli per i simbolisti, cieli magici per i metafisici. Inoltre, tre sono i nomi che vengono alla mente vedendolo senza schemi. Anzitutto, è certo che Courbet sia per la pittura ciò che in letteratura fu Valles: un « coeur gros cornine ca »; u.i cuore nel senso arcaico di coraggio, di forza della natura, di amore della vita, di tutta la vita. Secondo (come ho già detto) è certamente il Michelet dell'arte, un « prédateur », capace di digestioni potenti, incapace di descrivere il proprio secolo senza ingoiarlo, trasformarlo in colore vuro, in materia pittorica, in « personale cosmogonia », in una « privata storia naturale » nella quale tutto diventa « elemento »: fuoco, aria, acqua, luce, notte. Infine, ma si tratta di un'idea del tutto personale, è una sorta di Verdi della pittura francese. Angolazione realistica. Quarantotto, vr pensiero, sensualità, caverne, cabalette, DormeusesAzucene, formano una ricerca continua della forza del destino, scossa dal tuono romantico e post-romantico. Si può pensare (Ornans come Busset) a due contadini col cuore «gros comme ca», andati in città, discesi nelle « città dolorose » dell'Ottocento. Alberto Cavallari 1 Autoritratto di Courbet in carcere (1872) Autoritratto del 1842 « Jo, la bella irlandese », ritratto del 1866

Luoghi citati: Aden, Comune), Rimbaud, Francia, Parigi, Svizzera