Volgograd, una città, una lotta che si chiamarono Stalingrado

Volgograd, una città, una lotta che si chiamarono Stalingrado Un'area urbana in convulsa espansione Volgograd, una città, una lotta che si chiamarono Stalingrado (Dal nostro inviato speciale) Volgograd, 26 ottobre. Il termometro segna meno dieci gradi. Un vento gelido spazza la città raggomitolata a semicerchio sulla riva destra del Volga, dove il grande fiume si contorce in una ansa lunga decine di chilometri. E' giorno di matrimoni. Nello scarso traffico del centro, sullo spazioso viale Lenin, si susseguono grigie «Moskvich» con il simbolo delle nozze appena celebrate nella sede del Comitato cittadino, due nastri bianchi di seta legati sul tetto dell'auto. La tappa è obbligata, méta di piazza Pavshich Bortsov. Qui i migliori allievi delle scuole medie fanno la guardia d'onore, in turni di mezz'ora, al monumento per i caduti nella battaglia dei 200 giorni. In questo giardinetto morì in combattimento anche il figlio ventiduenne della Pasionaria spagnola, Ruben Ibarruri. Due ragazzine sui tredici anni, minigonna e calzamaglia, imbracciano il mitra rimanendo immobili, gli occhi si muovono appena davanti alle macchine fotografiche. Ad una ad una le spose si avvicinano e depositano un fiore. Immagini della Stalingrado di oggi, 35 anni dopo l'epopea che cambiò il corso della seconda guerra mondiale. Dalla scalinata che conduce giù alla stazione fluviale si scorgono veri battelli in partenza. Sono molti gli striscioni e le scritte inneggianti al 60° Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Dall'alto della collina di Mamaev troneggia l'imponente statua della Madre Patria, vicino al sacrario per i due milioni di morti della città-eroe. Innumerevoli persone salgono la scalinata lentamente, in religioso silenzio. Russi, siberiani, polacchi, francesi, italiani. Ci sono anche 24 partigiani piemontesi e un centinaio di turisti venuti con la delegazione municipale per rinsaldare i vincoli del «gemellaggio» fra Torino e Volgograd, nell'ambito della Settimana dell'amicizia. Nella città completamente distrutta da un milione di bombe tra la seconda metà del '42 e il febbraio '43, a ricordare il tragico passato sono rimasti solo alcuni ruderi e i monumenti. C'è la carcassa del vecchio mulino sulla via Gagarin, simbolo perenne degli orrori della guerra. Ci sono le case di Pavlov, dal nome del leggendario sergente che con un pugno di uomini vi resistette per 58 giorni, quando la fascia di terra tra le truppe hitleriane e il Volga si era ridotta a poche centinaia di metri. Volgograd, la sua gente, la Russia non possono dimenticare. E' per questo che accanto allo scheletro dei Mulino sta sorgendo un museo panoramico, simile a quello che a Mosca ricorda la battaglia napoleonica di Borodino. E' per questo che nel Planetarium donato alla città dalla Repubblica Democratica tedesca si proietta in continuazione il film documentario della battaglia, con le sue tremende, ossessive, martellanti immagini di morte. Non posso non tener conto di tutto questo quando incontro il vice sindaco Iuri Kurin in municipio. «Qui nel '43 non esisteva veramente più nulla, neppure un vano abitabile. C'è voluto un grande coraggio per ricominciare ». Il primo vice presidente del comitato esecutivo cittadino elenca dati su dati, le cifre del disastro e della ricostruzione: « Avevamo prima della guerra 380 mila abitanti, oggi siamo a 870 mila e contiamo di arrivare al milione nell'80. Ci assillano gravi problemi da risolvere, le case, l'acqua, l'ecologia, i trasporti, gli impianti sportivi, le scuole». Al primo posto le case. Il dramma della coabitazione, anche se le risposte al riguardo sono piuttosto vaghe, è tuttora pressante. Ogni anno, mi dice Kurin, si costruiscono 72 palazzi, ognuno per 140 appartamenti, all'incirca 450 mila metri quadrati (ed esistono case di abitazione ancora inadeguate per oltre due milioni di mq). Riprendo più tardi il discorso con il vice architetto capo della città, Feodor Lysov, nella casa degli architetti, una delle poche rimaste precariamente in piedi nel '43. Parte dalle origini, nel sedicesimo secolo, quando sorse la Fortezza di Tsaritzin, sull'isolotto al centro del Volga. Una località strategica, nel punto di minor distanza fra Volga e Don, appena novanta chilometri. Nel '18-'19 la città fu teatro per due anni della guerra contro i « bianchi ». Lenin vi mandò appositamente Stalin e i Soviet vinsero sulla « Porta d'Oriente », impadronendosi di un nodo ferroviario, industriale e commerciale di primaria importanza. Nel '25 il centro sul Volga assunse il nome di Stalingrado, che mantenne fino ell'epoca krusceviana e alla destalinizzazione. « La ricostruzione cominciò subito nel '43 » ricorda Lysov. Problemi di clima (escursione termica da meno 45 gradi a più 45 in estate) la scarsa pioggia (appena 300 millime- tri di acqua in un anno), imposero la ricerca di soluzioni nuove. Nel dopoguerra le condizioni ambientali sono state mutate con la costruzione di una grande diga sul Volga (il bacino è largo dieci chilometri e si estende per oltre 500 fino a Saratov) e di un'altra, enorme, sul Don. Grazie anche al canale navigabile Volga-Don (collegamento con 5 mari) il tasso di umidità è salito dai 10 gradi ai 40 minimi di oggi. Su tali basi « diverse » l'istituto deg>li architetti varò il primo piano di ricostruzione. Tuttavia dopo vari piani quinquennali e di pianificazione, né tecnici né cittadini sono soddisfatti. La teoria degli « aggregati lineari » degli Anni 50 ha impresso l'attuale volto alla città, che conta adesso 8 rioni, autosufficienti per i servizi e collegati fra loro. La realizzazione urbanistica ha tutti gli aspetti del colossale, ma i ritardi appaiono gravi, pur tenendo conto della difficoltà dell'impresa. Anche i progetti sul futuro, sui nuovi « microquartieri », sulla costruzione di un sistema sotterraneo e di superficie di « tranvia rapida », primo stadio di quello che diventerà il « metrò >; nel Duemila, quando la città prevede di avere 1 milione e 300 mila abitanti, tutte queste « indicazioni di piano » sono segnate dal burocratismo e da macroscopiche lentezze. Nell'anno 60° dalla Rivoluzione d'Ottobre ogni cittadino di Volgograd ha appena 9 metri quadrati di superficie abitabile a disposizione. E migliaia sono ancora le «casette» provvisoria sorte nel dopoguerra. « Volgograd — afferma il vice sindaco Kurin — guarda al futuro e alla possibilità di sfruttare altre risorse ». Se ora non si possono costruire più case perché manca la manodopera. per un altro verso la municipalità è molto fiera di poter dire: « Abbiamo 1000 taxi, 750 autobus, 220 tram, 180 filobus, una vita culturale viva, con cinque teatri, una vasta rete di case della cultura rionali e di fabbrica, impianti sportivi sufficienti ». Però 1' assillo principale rimane l'obiettivo dei 20 metri quadrati prò capite di vani abitabili, ancora molto lontano, nonostante che la nuova Costituzione, appena entrata in vigore, all'art. 45 riporti la garanzia secondo cui « ogni cittadino ha diritto a ottenere un appartamento ». Antonio De Vito Volgograd. Due giovani appena sposati, a passeggio in una via del centro della città

Persone citate: Antonio De Vito Volgograd, Feodor Lysov, Iuri Kurin, Lenin, Pavlov, Ruben Ibarruri, Stalin

Luoghi citati: Mosca, Repubblica Democratica Tedesca, Russia, Saratov, Stalingrado, Torino