Attentato al Torino-Roma Ergastolo per Rognoni? di Giorgio Bidone

Attentato al Torino-Roma Ergastolo per Rognoni? Le richieste del p.m. al processo d'appello Attentato al Torino-Roma Ergastolo per Rognoni? E' stata proposta la conferma della sentenza di primo grado (Nostro servizio particolare) Genova, 21 ottobre. Ergastolo per Giancarlo Rognoni, conferma della sentenza di primo grado per Nico Azzi, Mauro Marzorati e Francesco De Min (per quest'ultimo, va fatta soltanto una correzione per un errore materiale fatto dalla corte di assise, con una diminuzione della pena da 14 anni a 13 anni e 10 mesi): queste le richieste del sostituto procuratore generale Jommi, stamane, a conclusione della sua requisitoria al processo di appello per l'attentato al direttissimo Torino-Roma del 7 aprile 1974. Coerentemente con i motivi sostenuti nella impugnazione della sentenza di primo grado, fatta direttamente dall'allora procuratore generale Francesco Coco, il rappresentante della pubblica accusa non ha avuto dubbi né esitazioni nel formulare le sue richieste: gli imputati sono colpevoli del reato di strage previsto dall'articolo 285 del codice penale, con mire contro la sicurezza e l'integrità dello Stato, per sovvertirne l'ordinamento democratico. Azzi, Marzorati e De Min hanno ammesso la loro partecipazione a questa impresa criminosa; dopo aver «coperto» Rognoni, lo hanno chiamato in correità, sconfortati per essere stati abbandonati dal loro «capo» al lcro destino. Erano amici di Rognoni, ne frequentavano la casa, partecipavano a riunioni politiche con lui, facevano parte del gruppo eversivo «La Fenice», erano animati dalla identica ideologia polìtica. Alla fine del febbraio 1973, Rognoni cerca, tra i giovani della sua corrente, elementi che diano affidamento: trova Azzi, Marzorati e De Min, che, dopo una certa riluttanza, accettano in tutto e per tutto la sua idea dell'attentato al treno. In occasione della festività di S. Giuseppe, vengono a Genova per un convegno al circolo «Nuova Europa», e acquistano in un grande magazzino la sveglia che servirà poi da timer per l'ordigno esplosivo. 28 marzo: i quattro imputati si trovano in casa di Rognoni per preparare l'ordigno nel suo dispositivo elettrico; Rognoni, che è un esperto, illustra il congegno e assegna i vari compiti esecutivi. 6 aprile: di sera, i quattro si incontrano in una birreria di Milano, e Rognoni consegna ai «camerati» il tritolo. La mattina del 7 aprile, Rognoni porta con la sua macchina Azzi e Marzorati a Pavia; qui i due esecutori prenderanno il treno per Genova. L'alibi invocato da Rognoni («alle 9,30 di quel giorno ero nel negozi di mia moglie, vi sono dei testi»), non è attendibile: il teste in questione, una donna, è vincolata ai Rognoni da amicizia e dalla medesima ideologia. E' una persona di fiducia del capo de «La Fenice», tanto è vero che, prima di fuggire. Rognoni le affiderà lo schedario del gruppo. Il dottor Jommi ha poi ricostruito i momenti decisivi del fallito attentato, che avrebbe potuto provocare una strage: Azzi si chiude nella toilette del quinto vagone del Torino-Roma, per ultimare la preparazione dell'ordigno, ma un sobbalzo del treno gli fa scoppiare un detonatore tra le gambe, per cui resta ferito e viene arrestato a Santa Margherita, mentre Marzorati riesce a ritornare a Milano. Sono tutti elementi, secondo il p.g., che sostanziano il reato di strage previsto dall'articolo 285 del codice penale, un attentato compiuto per giungere al sovvertimento delle istituzioni dello Stato democratico, insieme agli altri che sarebbero seguiti (qualche giorno dopo, infatti, ci furono i tumulti organizzati a Milano dal msi, e culminati con l'uccisione dell'agente Marino), e che dovevano essere attribuiti all'estrema sinistra, per creare sgomento e terrore nell'opinione pubblica. A Rognoni, che dei quattro era il capo, non va riconosciuta alcuna attenuante: non solo era il «capo» spirituale de «La Fenice», ma aveva anche programmato l'attentato. Nessuna attenuante, quindi, come invece gli ha riconosciuto la sentenza di primo grado: Rognoni, anche se giovane, non è giovanissimo come gli altri imputati, aveva un bagaglio di esperienze politiche e di violenza contro persone inermi, aveva idee chiare e determinate; non era quindi, all'epoca dei fatti, un imberbe sprovveduto e lasciato in balìa di se stesso. E la revoca delle attenuanti non può portare ad altro verdetto che non sia quello dell'ergastolo. Per gli altri imputati, conferma della prima sentenza. Fermo nel suo cliché di «duro». Rognoni ha seguito con indifferenza la requisitoria del pubblico accusatore, quando il dottor Jommi ha concluso pronunciando la parola «ergastolo», ha anche sorriso, poi ha commentato con i giornalisti: «La richiesta è nella logica del sistema, avrei preferito la pena di morte, che è 'molto più umana che essere rinchiuso in un carcere per tutta la vita. Mi ritengo un soldato militante rinchiuso in un campo di concentramento». E la moglie, tra il pubblico, ha aggiunto: «Una richiesta eccessiva, assurda. Che pena dovrebbero dare, allora, ai sequestratori di persone?». La parola è quindi passata al primo difensore, l'avvocato Franco Alberini, che difende numerosi neofascisti in processi sparsi in vari tribunali italiani. «La pubblica accusa — ha detto — ha a/fermato che l'attentato al Torino-Roma ricalca quello deH'Italicus, dove pure è stata contestata l'accusa di strage. Ma in quel caso ci furono dodici morti e decine di feriti, qui nemmeno un ferito. L'articolo 285 ha un solo precedente nella giurisprudenza italiana, e riguarda gli attentati compiuti dagli altoatesini, che pure furono condanni a 30 anni, e non all'ergastolo». Giorgio Bidone