Se non sciupassimo il petrolio di Mario Deaglio

Se non sciupassimo il petrolio PROFEZIE DA PARIGI SULL' ECONOMIA EUROPEA Se non sciupassimo il petrolio Il "comitato McCracken" era ottimista sulla ripresa anche seguendo le vecchie strade - Oggi gli esperti pensano che, contro la crisi di grandi settori industriali, occorrano misure energiche e grossi risparmi (Dal nostro inviato speciale) Parigi, ottobre Entro la fine del mese, i venticinque Paesi dell'Ocse, e cioè i maggiori Paesi industrializzati ad economia di mercato, dovranno presentare, all'organizzazione di cui sono membri, gli obiettivi dettagliati delle proprie politiche economiche per il '78. Prenderà così il via il primo tentativo concreto di mettere a punto, attraverso confronti ed armonizzazioni, una strategia economica per tutto l'Occidente. Si tratta di un tentativo che va incontro a molte difficoltà. L'Ocse si trova a far da cocchiere ad un carro tirato da venticinque cavalli; alcuni di questi, come la Germania e il Giappone, vanno spronati perché si impegnino a « spingere » fino in fondo; altri, come l'Italia e la Gran Bretagna, vanno frenati perché sono ancora convalescenti ed hanno la tendenza a correre più forte delle loro possibilità. Ma il cocchiere non ha né frusta né redini; l'unica vera arma dell'Ocse è la « persuasione », il potere « morale », il fatto di rappresentare, in un certo modo, la coscienza collettiva dell'economia occidentale. Talvolta quest'arma ha funzionato, il che lascia bene sperare. Un esempio è proprio l'Italia. Un anno fa, le previsioni dell'Ocse di uno sviluppo zero nel nostro Paese, pur essendo prive di reale fondamento (ed infatti avremo quest'anno uno sviluppo almeno del 2-3 per cento), fecero profondissima impressione. Ci sentimmo addosso, in un certo senso, la riprovazione dell'intera comunità internazionale. Cittadini, sindacati, partiti accettarono quello che pochi mesi prima pareva assolutamente inaccettabile: abolizioni di festività, blocchi di scala mobile, modifiche alla contingenza, aumenti dell'Iva. L'Ocse tenterà di ripetere questi successi su scala ancora più vasta. Lo farà, come al solito, con la sua grande cautela, con la sua estrema e forse eccessiva diplomazia. « La nostra organizzazione », afferma un funzionario, « dice tutto e il contrario di tutto ». Quando esprime preoccupazioni, lascia la porta aperta alle speranze; quando parla di speranze, mette subito in evidenza ostacoli e preoccupazioni. Per questo i suoi documenti, misurati e calibrati, non si discostano mai da un noiosissimo tono medio. Una simile prudenza non è solo un fatto formale. Nasconde l'estrema incertezza del cocchiere dell'economia occidentale. In questo senso l'Ocse è lo specchio di tutte le indecisioni, le ansie, i turbamenti dell'Occidente. I suoi funzionari ed economisti, come d'altronde quasi tutti i ministri occidentali ed i loro consiglieri, sono cresciuti nell'ambito dell'ortodossia economica, ai tempi in cui le « ricette » funzionavano e ci si doveva preoccupare saltando di calibrare, di sei mesi in sei mesi, la corsa delle economie, che comunque procedeva sicura. Questi stessi funzionari ed economisti si sono trovati di colpo, con la crisi d°.l petrolio, a dover affrontare problemi di struttura per i quali, come quasi tutti in Occidente, non erano preparati; si sono trovati a dover guardar lontano, a rispondere a domande angosciose di sopravvivenza. In questa sede parigina, in sostanza, si vive acutamente il tentativo occidentale di ricostruire un quadro di riferimento entro cui collocare i i problemi, di sostituire una j nuova bussola a quella precedente, spezzatasi sotto gli aumenti del greggio e sotto i colpi dell'inflazione. Nessuno finora, e quindi nemmeno l'Ocse, ci è riuscito. Le contraddizioni che si riscontrano qui a Parigi non sono che un'eco, una sorta di sintesi, dei dibattiti e delle contraddizioni che avvengono in migliaia di sedi di partito, di istituti universitari, di sezioni sindacali, di ministeri, di imprese, da Tokyo a Francoforte, dall'Australia al Canada, dal Belgio alla Turchia. Si oscilla tra la tentazione di rifare tutto come prima e quella di cambiare radicalmente modo di pensare e di gestire l'economia. Il tentativo più importante, e non riuscito, compiuto dall'Ocse per giungere ad una nuova sintesi è il cosiddetto « rapporto McCracken ». Commissionato ad otto esperti indipendenti, presieduti dall'economista americano Paul McCracken, e comprendenti personalità come Guido Carli, questo rapporto ha suscitato fortissimi contrasti. Alcuni dei firmatari, tra i quali Carli, hanno assentito al testo finale molto malvolentieri. « Gli sviluppi recenti », dice il rapporto, « si spiegano essenzialmente con l'eccezionale concomitanza di una serie di avvenimenti disgraziati. Senza dubbio tale concomitanza non si ripeterà nelle medesime dimensioni ». La crisi appare, dunque, come piovuta dal cielo, determinata da una congiunzione, quasi astrale, di effetti negativi. Un ruolo secondario avrebbero gli errori di politica economica. La conclusione è ovvia: continuiamo sulla vecchia strada, cerchiamo semplicemente di migliorare le ricette del passato, speriamo che gli astri siano favorevoli e che non si verifichino più eventi ne- gativi in successione così perversa. Si ha una specie di keynesianesimo aggiornato, che cerca di pareggiare in maniera più efficiente domanda globale ed offerta globale, ma che rifiuta di scendere a maggiori dettagli. Il rapporto raccomanda quindi politiche dei prezzi e dei redditi, regolarmente fallite in passato quasi ogni volta che si è tentato di applicarle, e si augura che « governi, sindacati e industriali concordino sulla necessità di un aumento dei profitti e degli investimenti ». In realtà, il sistema è cambiato, le società occidentali si sono irrigidite e le « regole del gioco » tra gruppi sociali sono mutate. Le politiche tradizionali avevano cominciato a perdere di efficacia molto prima della crisi petrolifera. E' quindi un fatto positivo che al « rapporto McCracken » non sia stata riservata un'accoglienza entusiastica e se ne sia avvertita subito l'insufficienza. Qualcosa sta cambiando, ed anche l'Ocse comincia a riflettere questi cambiamenti. A poca distanza dal rapporto McCracken, che ripropone una filosofia tradizionale, l'Ocse ha pubblicato un rapporto sui consumi energetici che presuppone una filosofia totalmente diversa: non ci si occupa solo qui di grandi cifre di inflazione e disoccupazione, ma di interventi specifici in settori chiave. « Siamo stati costretti a rivedere decisamente in peggio le previsioni energetiche per il 1985 », ha detto il segretario generale dell'Ocse, Emile Van Lennep. « Le importazioni dell'Ocse di petrolio greggio potrebbero risultare superiori del 70 per cento a quanto inizialmente previsto ». Tutto ciò a causa di rinvìi nelle decisioni energetiche, e della scarsissima riduzione dei consumi che ha accompagnato i forti aumenti nel prezzo dell'energìa. Dunque, occorrono interventi specifici. « Il rapporto », dice Ulf Lantzke, il maggior esperto energetico dell'Ocse, « è essenzialmente un invito all'azione sui problemi energetici ». E' quindi necessaria una serie di interventi che incidano direttamente sull'economìa, invece di un suo governo « dal di fuori », come il rapporto McCracken pareva indicare. Oltre che nel settore petrolifero, si profila in questi mesi la necessità di azioni coordinate di politica industriale a livello mondiale anche in altri settori. I governi saranno chiamati a decidere tra di loro su problemi come quelli della siderurgia, dei cantieri navali, dovranno rinnovare l'« accordo multifibre », che rischia di lasciare Europa e Stati Uniti senza più un'industria tessile. I meccanismi per i quali ' si riavvierà o non si riavvìerà lo sviluppo occidentale dij pendono soprattutto da queste decisioni che in passato sono state spesso considerate secondarie rispetto ai grandi obiettivi della politica economica e prese in maniera non coordinata. In questo autunno del 1977 si ha la netta sensazione che, a livello di grandi strategie economiche internazionali, stia per verificarsi un passaggio da obiettivi e politiche generali, sempre meno efficaci, ad azioni specifiche in campo industriale a livello mondiale, piene di incognite. Di questo passaggio le molte e talora contrastanti facce dell'attività dell'Ocse sono un indizio significativo. Si tratta di un passaggio difficile e non indolore, ma indispensabile se dovrà continuare lo sviluppo dell'Occidente. Mario Deaglio i j j L'economista americano Paul McCracken (Team)

Persone citate: Carli, Emile Van Lennep, Guido Carli, Paul Mccracken, Ulf Lantzke