Il capo del Sid vanta il diritto di essere interrogato a Roma di Guido Guidi
Il capo del Sid vanta il diritto di essere interrogato a Roma È ammiraglio e non va a Catanzaro Il capo del Sid vanta il diritto di essere interrogato a Roma Lo può fare ma, per il processo di piazza Fontana, nemmeno Andreotti si è valso di tale "privilegio" ■ Giudici, avvocati e imputati in viaggio (Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, 20 ottobre. Ora è scoppiata la grana Casardi: la vita del processo per la strage di Milano diventa sempre più difficile. Il capo del Sid, ammiraglio di squadra navale, non intende, infatti, andare a Catanzaro e vuole, invece, che siano i giudici calabresi a muoversi: li attende a Roma per essere interrogato come testimone. E' un «grande ufficiale dello Stato» e la legge (articolo 356 del codice di procedura penale) gli consente di esercitare questo diritto. Si tratta di una grana che è semplice soltanto in apparenza. Nella realtà, la richiesta dell'ammiraglio Casardi è destinata a sollevare clamorose polemiche e grossi problemi logistici. Innanzitutto, è una prerogativa alla quale altri grandi ufficiali dello Stato hanno quasi sempre rinunciato nell'ultimo ventennio ritenendola anacronistica (l'ultimo esempio è quello del presidente del Consiglio che a metà settembre ha affrontato in aula un interrogatorio prolungatosi per quasi otto ore). La legge, comunque, è dalla parte dell'ammiraglio Casardi. Il codice prevede che quattro categorie di persone hanno diritto ad uno speciale trattamento se vengono interrogati come testimoni: i presidenti del Senato e della Camera, il presidente del Consiglio, i ministri, i vicepresidenti delle due Camere, i sottosegretari, il primo presidente della Cassazione, il procuratore generale, i presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, il capo di stato maggiore della Difesa, i deputati ed i senatori, il segretario generale della presidenza della Repubblica e quelli del Senato e della Camera, gli ambasciatori, il presidente del Tribunale supremo militare ed il procuratore generale militare, i prefetti in sede, il capo della polizia, l'ordinario militare, i generali di corpo d'armata ed i gradi corri¬ spondenti della Marina e dell'Aeronautica. Mario Casardi, capo del Sid dall'estate 1974 (è subentrato al generale Miceli), ha appunto il grado di ammiraglio di squadra navale e di conseguenza rientra nell'ultima di queste quattro categorie per cui può pretendere quello che ha chiesto: essere interrogato «nel luogo da luì indicato». I giudici di Catanzaro non possono opporre nulla ed hanno comunicato all'ammiraglio che sono pronti ad ascoltarlo la mattina del 10 novembre: si tratta di un viaggio faticoso per tutti (sino al giorno prima la Corte d'assise lavora a Catanzaro per ascoltare un testimone importante: il generale Saverio Malizia), ma scddnpgdAlvEmizprMqlr se l'ammiraglio insiste e non cambia parere non c'è nulla da fare. Perché l'ammiraglio Casardi ha preso questa decisione non seguendo, invece, l'esempio del presidente del Consiglio? Non ha molto tempo a disposizione, si dice: neanche Andreotti, a metà settembre, lo aveva ed ha affrontato un viaggio né breve né piacevole. Ed allora? Il capo del Sid è un testimone al quale i giudici, dopo i recenti sviluppi della situazione, annettono molta importanza. Innanzitutto, ha raccolto l'eredità del generale Miceli e potrebbe sapere qualcosa di interessante sull'attività del servizio di sicu-1 rezza. Ma — e questo è forse ; l'aspetto di maggiore rilievo — deve spiegare perché soltanto tre settimane fa il Sid si è deciso ad inviare la bozza della lettera in cui, nel luglio 1973, fu deciso di rifiutare qualsiasi notizia su Giannettini al giudice istruttore di Milano, bozza sulla quale vi è l'annotazione del generale Miceli per ricordare che la decisione era stata avallata dal ministro della Difesa (Tanassi) e la sigla dell'ammiraglio Henke, allora capo di stato maggiore della Difesa. Come mai il Sid non ha consegnato prima questo documento così importante? L'interrogatorio di Casardi alla presenza dei giudici e degli avvocati (ma non dei giornalisti ed è per questo che forse l'ammiraglio preferisce attendere la Corte a Palazzo Barachini) è previsto per la giornata del 10 novembre. Poiché, presumibilmente, si protrarrà anche per il giorno successivo, la Corte ha previsto di trattenersi a Roma anche sabato 11 per passare a Palazzo Chigi ed interrogare nuovamente il presidente del Consiglio. Anche se ad Andreotti questo «speciale» trattamento non interessa affatto. Guido Guidi
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