Parlano i francesi del Québec di Furio Colombo

Parlano i francesi del Québec DIFESA DELLA LINGUA MADRE O SEPARATISMO? Parlano i francesi del Québec E' viva la polemica sul danno che i contrasti linguistici arrecherebbero all'occupazione, alle risorse del Canada e in particolare della regione francofona - Ma a questa dà fiducia una preziosa riserva d'acqua (Dal nostro inviato speciale) Montreal, ottobre. La disoccupazione in Canada ha raggiunto il suo livello più alto dopo la guerra: l'8,3 per cento, con una impennata che tocca quasi l'uno per cento nell'ultimo anno. E nel mese di settembre l'indice dei prezzi ha segnato un aumento dello 0,6 per cento, portando a 8,4 per cento l'indicatore di inflazione degli ultimi dodici mesi. Non sono cifre pau- rose dal punto di vista delle economie industriali in molte parti del mondo; ma qui il governo si era impegnato a un contenimento della disoccupazione e a una riduzione dell'inflazione intorno al 6 per cento. I canadesi chiedono ragione di tutti e due gli insuccessi, tanto più che essi hanno avuto un riflesso immediato sul dollaro canadese che vale in questi giorni 91 centesimi americani, e si trova cioè al suo livello più basso in quarant'anni. Il problema ha le classiche spiegazioni delle economie complesse feribili, esposte al problema del petrolio e al collasso competitivo di alcuni settori (l'abbigliamento, le scarpe per esempio). Ma in un Paese teso fra la progettazione dell'insieme del suo futuro e la richiesta ormai molto forte di identità « nazionale », non possono non esserci riflessi immediati, soprattutto sulla scena che ha per protagonisti il Canada anglofono da una parte e il Quebec dall'altra. Con sospetto In che modo? Giornali di Ottawa e Toronto scrivono che quasi tutto l'aumento della nuova disoccupazione è localizzato nel Quebec, dicono o fanno capire che potrebbe esserci un rapporto fra politica della lingua e la situazione economica che si fa delicata. L'accusa, trasformando frasi e mezze frasi in una sequenza elementare, potrebbe essere questa: « Un'atmosfera di diversificazione liguistica e culturale non incoraggerà nuovi investimenti nella regione, e i riflessi negativi locali si conteranno nelle statistiche nazionali ». E', per esempio, il giudizio espresso dal vice presidente dell'Associazione degli industriali canadesi, la settimana scorsa. Allo stesso modo e con le stesse ragioni, il ministro federale Chretien fa capire che non si può escludere un rapporto fra la politica di Levesque nella sua provincia e certi aspetti della crisi economica canadese. Secondo quest'immagine, il Quebec sarebbe il partner che non cammina e che appesantisce il bagaglio degli altri. Il confronto — dicono a Ottawa — non è affatto fra cultura inglese e cultura francese, fra anglofoni e francofoni. Lo dimostrerebbe il fatto che molti ministri di Trudeau e avversari del partito di Levesque sono canadesi di cultura francese, come lo stesso primo ministro del Canada. Il nodo della tensione, dicono, è tra una visione complessiva dei problemi (quella del governo federale che si basa sulle esigenze unitarie del Paese) e l'angolazione locale che il partito del Quebec « si ostina » a dare alla sua politica, fino a cercare un grado sempre maggiore di indipendenza. Ho parlato di queste e di altre questioni, non facili da penetrare per un non canadese, con i due giornalisti che più si erano occupati in passato (non proprio amichevolmente) del mio articolo del 13 agosto sul Quebec, Louis Lesage, di Radio Canada, e Marc Laurendeau, columnist dei Montreal Matin e commentatore della radio Ckac, sempre a Montreal. Ho trovato due interlocutori attenti, più preoccupati di costruire una strada di comprensione per il loro Paese e la loro regione che di fare un processo alle opinioni. Il loro problema era di fa' capire che II quadro economico, quello costituzionale e quello culturale vanno visti separatamente, non le¬ gati in fretta (« e tendenziosamente », dicono riferendosi ai loro colleghi di lingua inglese) in modo da dimostrare che la politica della lingua porta economicamente sfortuna, o che il progetto di dare identità costituzionale alla « nazione » francofona sia un percorso in discesa quanto agli investimenti. Ma la conversazione più interessante su questo punto l'ho avuta a Quebec, al ministero per lo sviluppo economico, presiedìito da Bernard Landry. « Affrontiamo subito il problema della disoccupazione e del contributo negativo che il Quebec darebbe al carico comune, secondo la visione di Ottawa » mi dice Rheal Bercier, capo di gabinetto di Landry. « Noi stiamo ora attraversando la parte più svantaggiosa di quel tunnel anagrafico che negli Stati Uniti chiamano baby boom. E' una situazione che, come si vede benissimo dal profilo statistico delle nascite, non si ripeterà più nei prossimi cicli economici. Nel 1980, la situazione anagrafica sarà tale che se anche non avessimo alcuno spostamento degli indicatori economici, la disoccupazione nel Quebec si ridurrebbe comunque ». Ma l'argomento che preme di più agli esponenti del governo e del partito del Quebec è quello degli investimenti. « Vogliamo verificare? Vogliamo vedere se il nervo economico si è contratto a causa del riflesso linguistico? Ebbene, gli investimenti dell'ultimo biennio nel Quebec sono i più alti del Canada, dopo la provincia di Alberta ». Vi sono problemi specifici, per esempio la flessione sensibile nel mercato delle scarpe che aveva nella regione francofona un suo vasto spazio di produzione. « Ma allora come spiegare il fatto che dividiamo questo problema con New York? New York ha perduto il 44 per cento del mercato delle scarpe in un anno e non ha avuto nessun Levesque e nessuna legge francofona ». Riprendendo il discorso più in generale, Bercier mi fa notare che in Canada « la spinti è verso l'Est» e questo fatto non può essere alterato dalle scelte culturali del Quebec, « neppure se queste scelte fossero discutibili » (e per il partito di Levesque non lo sono). Quali mercati E' vero che la politica linguistica scoraggia la manodopera qualificata che cerca il più ampio mercato di lingua inglese? Rispondono i collaboratori del ministro per lo sviluppo economico: « Il lavoro è come il capitale, si muove secondo la convenienza. La relazione tra disoccupazione e lingua non esiste, è un argomento politico, e va visto come tale. « Per esempio — conferma con forza Bercier — in Ontario la disoccupazione è più alta che nel Quebec. Inoltre i nostri dati mostrano che noi siamo economicamente in sviluppo, non in regresso ». Dal tavolo di Bercier a quello del ministro Landry sta per passare un elenco di aziende che sono presenti nel Quebec. E' un elenco che comprende una ventina fra le maggiori aziende del mondo. A Bercier si aggiunge l'economista Bedard e insieme fanno questo ragionamento: « La politica monetaria si svolge sopra la nostra testa. La politica economica del Paese viene fatta senza tenere conto di una regione con le dimensioni e le risorse del Quebec. Noi possiamo avere un ufficio di rappresentanza a Milano o a New York, ma non a Roma o a Washington. Dunque, se ci sono risvolti negativi, come possiamo rispondere di essi, quando ci manca la mano per controllare una parte dei nostri rapporti internazionali? ». Come si vede, la polemica interna canadese rimane viva, e le argomentazioni molto diverse. Di certo dà fiducia al Quebec il fatto di disporre di una delle più straordinarie risorse di questa fase storica delle economie industriali: una immen¬ sa riserva d'acqua. Alla Société d'Energìe, che ha sede a Montreal, mi fanno vedere la carta del bacino idraulico più grande del continente e — quanto al grado di sfruttamento industriale — più importante nel mondo. E' la zona detta Baie James, un complesso di fiumi, laghi e cascate che vale ormai più di una rete di miniere d'oro. Alla Baie James, in un paesaggio mezzo di fiaba e mezzo lunare, sono presenti le tecnologie più avanzate del mondo e lavorano alcune aziende internazionali (c'è una grande impresa italiana associata a un gruppo canadese), che fanno di questo centro con risorse quasi illimitate un laboratorio per il futuro dell'energia. La Baie James spiega molto, oltre la cultura, oltre la tradizione politica del Quebec. Forse la definizione di « risveglio nazionalistico » è restrittiva. Forse quando i leaders del partito del Quebec chiedono di essere giudicati « almeno come l'Irlanda » tengono conto di quanto poco si sa nel mondo di questa porzione di continente che potrebbe diventare in futuro un serbatoio d'energia che giunge fino agli Stati Uniti. Nel Quebec fanno vedere quello che hanno, ed è molto. Chiedono di non confondere i due problemi. La loro, dicono, non è l'arroganza di un potere emergente, è il reclamo culturale di diritti maturati in passato. Le ragioni restano discutibili; ma il Quebec non è povero di argomenti. Né di risorse. Furio Colombo Montreal. Una scritta murale inneggia al Quebec libero: le spinte separatiste dei francofoni restano forti (Cerchioli)