Il pci condanna Praga di Paolo Garimberti

Il pci condanna Praga Duro documento sul processo ai dissidenti di Carta 77 Il pci condanna Praga Con un documento durissimo, ma «sofferto», la cui elaborazione ha richiesto un'intera giornata di consultazioni tra le massime gerarchie del partito, il pei ha negato la legalità giuridica e il fondamento politico della condanna dei quattro intellettuali cecoslovacchi — Ornest, Lederer, Havel e Pavlicek — processati nei giorni scorsi a Praga. Contestando le affermazioni del pubblico ministero — secondo il quale i quattro sono stati giudicati per le loro «attività sovversive criminose» e non per reati d'opinione —, il partito comunista, il cui documento viene pubblicato oggi dall'Unità, sostiene che quello di Praga è stato «un processo politico» vero e proprio, «che sembra ormai divenuto una regola in Cecoslovacchia, dove si continuano, sulla scia degli avvenimenti del 1968, a sostituire, alla indispensabile discussione e al dibattito politico, le misure amministrative». Secondo i comunisti italiani, i motivi in base ai quali Ornest, Lederer, Havel e Pavlicek (dei quattro, soltanto Ornest non figura tra i firmatari della «Carta 77») sono stati rinviati a giudizio sono «giuridicamente inesistenti in base alla stessa legislazione cecoslovacca». Ma se le motivazioni giuridiche del processo sono infondate, quelle politiche della sentenza sono, per il pei, «da respingere con la più netta avversione in quanto pretendono di dare al dissenso (...) il significato di un tradimento». La dissonanza tra il commento dell'Unità e quelli dedicati dalla stampa cecoslovacca al processo è stridente. Secondo il Rude Pravo, organo del pc cecoslovacco, e la Pravda di Bratislava, i quattro intellettuali condannati (Ornest a tre anni e mezzo, Lederer a tre anni, Pavlicek e Havel rispettivamente a 17 e 14 mesi con la condizionale) sono, invece, traditori perché mantenevano «legami regolari» con «agenti della Cia» e con emigrati cecoslovacchi, quali Pavel Tigrid e Jiri Pelikan, che, stando ai commenti ufficiali di Praga, lavorano per centri sovversivi e antirivoluzionari. Con questo commento, dunque l'Unità si pone, secondo l'ottica delle autorità cecoslovacche, sullo stesso piano di quei giornali occidentali che si immischiano « negli affari interni cecoslovacchi », « cìngendo d'aureola » i dissidenti e manifestando « sempre il proprio interesse non appena qualcuno disonora la Cecoslovacchia, sia che si tratti di pirati dell'aria, di assassini o di altri elementi criminali ». Dal confronto tra le reazioni della stampa ufficiale di Praga e il commento dell'organo del pei si trae l'impressione di una frattura pressoché insanabile tra i due partiti. L'Unità d'altra parte afferma che i metodi seguiti dalle autorità cecoslovacche per reprimere le manifestazioni di opposizione, se « condannabili e da respingere in qualsiasi Stato di diritto », « a maggior ragione suscitano ripulsa in un Paese che si richiama ai principi di una società socialista ». Questa frattura tra i due partiti, non nuova e già manifestatasi clamorosamente in passato (il pei non inviò che un osservatore all'ultimo congresso del pc cecoslovacco), ha la sua radice nel fatto che il pei non riconosce la legittimità politica dell'attuale regime di Praga, come l'Unità sottolinea nuovamente nel commento odierno. « Dopo i dolorosi avvenimenti del 1968 — scrive il giornale del pei — in Cecoslovacchia si è ancora lontani dal superamento dei problemi di fondo, che furono posti sul tappeto dal partito, allora diretto da Dubcek e dagli uomini della Primavera di Praga, per dare nuovi sbocchi più democratici alle strutture della società socialista cecoslovacca ». Nonostante i precedenti, il duro commento dei comunisti italiani al processo di Praga suscita una certa sorpresa perché, negli ultimi tempi, la stampa comunista aveva dato l'impres¬ sione di voler attenuare la polemica con il regime cecoslovacco nel quadro di una prudenza di fondo sul tema del dissenso all'Est (l'Unità, ad esempio, aveva ignorato un precedente processo contro altri due firmatari della « Carta 77 »). Questa impressione di reticenza si era consolidata ieri, nel corso di una giornata trascorsa invano alla ricerca di un commento ufficiale del pei alle condanne dei quattro intellettuali. Una conversazione con un responsabile del partito, fissata per il pomeriggio, era stata cancellata all'ultimo momento senza dare al cronista una spiegazione convincente. L'onorevole Gian Carlo Pajetta, che dirige la politica estera del partito, da noi interpellato successivamente, ci aveva risposto che la posizione del pei sulla Cecoslovacchia « è già nota » e che il partito non può « fare un in¬ tervento particolare ad ogni processo » (in realtà, il processo di Praga, per l'importanza degli imputati e per l'apparato propagandistico che l'aveva preceduto, non può essere considerato un «qualunque processo»). Probabilmente, a stimolare l'aspra presa di posizione del pei è intervenuto il commento pubblicato ieri mattina dall'Hitmanité, l'organo del pc francese, che aveva tentato invano di inviare un giornalista a Praga per il processo (le autorità cecoslovacche gli avevano negato il visto d'ingresso nel Paese). 11 processo, aveva scritto l'Humanité, è « una negazione della giustizia », e, aveva aggiunto il giornale, « nessuna ragione di Stato o di partito, nessuna falsa concezione della solidarietà internazionale ci farà accettare una tale caricatura di giustizia, che sfigura l'immagine del socialismo ». Ribattendo alle accuse formulate dal pubblico ministero contro i quattro imputati, l'Humanité aveva concluso: « Se ci si obietta che gli accusati hanno violato la legge diffondendo all'estero manifesti giudicati sovversivi a Praga, risponderemo che è veramente urgente cambiare la legge. In ogni caso — proseguiva l'Humanité — non contino su di noi per avallare, non fosse che con il nostro silenzio, ciò che appare chiaramente ai nostri occhi come una negazione della giustizia, quali che siano le posizioni politiche prese dai condannati e anche se noi non le condividiamo. Ancorché le intenzioni proclamate nella "Carta 77" non ci sembrino assolutamente di natura tale da mettere in pericolo il socialismo ». Le prese di posizione del pei e del pcf sul dissenso, tuttavia, non possono restare circoscritte alla Cecoslovacchia. 11 processo di Praga e stato avallato dai sovietici, come dimostrano le dichiarazioni rese a Belgrado, nel quadro della conferenza europea, dal delegato russo Vorontsov. A questo punto, per i comunisti occidentali diventa imperativo definire con chiarezza il loro atteggiamento di fondo verso tutti quei Paesi socialisti, che considerano una prassi normale e legittima la repressione poliziesca e giudiziaria delle opposizioni. Si dice che Berlinguer intenda recarsi a Mosca per le celebrazioni del sessantesimo della Rivoluzione d'ottobre. Ma questo viaggio non avrebbe il sapore di un avallo implicito di quelle « misure amministrative » contro i dissidenti, che l'Unità oggi condanna così duramente? O la condanna vale soltanto per la Cecoslovacchia? Paolo Garimberti

Persone citate: Berlinguer, Dubcek, Gian Carlo Pajetta, Havel, Jiri Pelikan, Pavel Tigrid, Vorontsov