Chi portò le pistole in carcere? di Tito Sansa

Chi portò le pistole in carcere? Chi portò le pistole in carcere? (Dal nostro corrispondente) Bonn, 19 ottobre. « Con sicurezza » ha detto stasera un portavoce del ministero della giustizia di Stoccarda, Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan Cari Raspe si sono tolti la vita da soli. L'opinione dei due periti settori tedeschi che la scorsa notte all'obitorio dell'università di Tubinga hanno eseguito l'autopsia delle tre salme, rilasciate poi alle famiglie per la sepoltura. La necroscopia è avvenuta alla presenza di tre luminari stranieri della medicina legale (un austriauno svizzero, un belga) convocati come « esperti neutrali » per stornare in anticipo i sospetti assai diffusi che in Germania si voglia nascondere qualcosa. La parola «mord» (assassinio) viene infatti sussurrata, e non soltanto negli ambienti di sinistra. Per la tarda serata i periti settori hanno preannunciato un prima relazione sommarla, la quale esclude qualsiasi responsabilità da parte di terzi, almeno per quel che riguarda le cause « immediate » del decesso dei tre capi superstiti della « Frazione armata rossa ». Una certa perplessità avevano suscitato nei medici legali soprattutto la morte di Andreas Baader. La sua testa era perforata da un proiettile calibro 7,65, sparato alia nuca (tre centimetri sopra l'attaccatura dei capelli) da una pistola lunga 18 centimetri e con foro di uscita nel mezzo della fronte. « E' una maniera difficile per togliersi la vita — ha detto uno dei periti — ma possibile ». Secondo il ministro degli Interni Werner Maihofer, che dinanzi alla stampa internazionale ha ricostruito nei dettagli la clamorosa liberazione degli ostaggi di Modagiscio, « si può portare la perfidia così avanti da fare del proprio suicidio una esecuzione». Il ministro della giustizia di Stoccarda, Traugott Bender, ha rivelato che nelle celle dei tre ergastolani defunti sono state trovate lettere contenenti « accuse anticipate di assassinio », nelle quali (i testi non sono noti) Baader, Raspe e la Ensslin avrebbero scritto pressapoco « se ci troverete morti, non credete al suicidio, si tratterà di omicidio ». E' la tesi sostenuta oggi, dinanzi a una affollatissima conferenza stampa, dagli avvocati delle famiglie dei tre morti. Otto Schily, cauto e misurato nella scelta delle parole, ha detto « bisogna avere dubbi, visto che i tre, rinchiusi nelle celle meglio sorvegliate della Repubblica Federale, completamente isolati dall'esterno, erano fuori da ogni controllo, nelle mani del poere dello Stato ». Riallacciandosi a una trasmissione televisiva di lunedì sera (poche ore prima della morte dei tre) nella quale era stato proposto pubblicamente di trattare i prigionieri come ostaggi ed eventualmente di passarli per le armi, l'avvocato del pastore evangelico Helmut Ensslin ha avanzato il sospetto di un intervento di servizi segreti « non inimmaginabile» e ha chiesto per chiarire le circostanze delle tre morti venga nominata una commissione di inchiesta internazionale. Schily ha insistito a diffondere dubbi. Il 6 settembre, un giorno dopo il rapimento di Hanns Martin Schleyer, Baader confidò a un avvocato di Francoforte: «Ho paura che mi uccidano, un secondino mi ha preannunciato che mi faranno fuori»; e ieri l'altro, poche ora prima di mo¬ rire, la Ensslin chiese la visita di due sacerdoti ai quali dopo un colloquio di un'ora e mezzo consegnò tre lettere per il capo della cancelleria di Bonn Manfred Schueler, dicendo di temere di «non poter trasmettere le lettere personalmente». Ai sacerdoti la anarchica non avrebbe dato l'impressione di essere in qualche modo depressa o sfiduciata. Secondo l'avvocato olandese Herman Bakker-Schut, difensore del terrorista Klaus Folkerts, catturato a Utrecht, si tratta «inequivocabilmente di omicidio organizzato» per togliere di mezzo una volta per sempre i detenuti. Il legale ha ricordato le parole di un alto funzionario della «Cia», il quale ha detto che «se serve per la sicurezza dello Stato, tutto è lecito, anche l'omicidio». Schily ha ridimensionato la dichiarazione, parlando di «un sospetto caso criminale» e dicendo che i casi sono due: nella cella di Baader e di Raspe «sono entrate o due pistole o due boia». Il mistero più grande della morte dei tre detenuti a Stammheim, isolati al settimo piano in un «carcere nel carcere» è quello che riguarda le pistola dalle quali sono partiti i colpi mortali. Siccome le celle dei detenuti venivano ogni giorno controllate Tito Sansa (Continua a pagina 2 in quinta colonna)

Luoghi citati: Bonn, Francoforte, Germania, Stoccarda, Utrecht