Guerra commerciale e guerra monetaria

Guerra commerciale e guerra monetaria EUROPA - Le tensioni si accumulano e rischiano di esplodere Guerra commerciale e guerra monetaria fU Mmh LA STAMPA THE TIMES DIE&WELT Sembra di nuovo minacciata la calma che, dopo le bufere monetarie d'estate, era ritornata in settembre nei mercati dei cambi. In effetti, negli ultimi tempi il dollaro ha ancora una volta subito una sensibile flessione nei confronti di tutte le altre monete. D'altra parte le Banche centrali hanno acquisito padronanza nel controllare la situazione: non sono forse riuscite, dopo qualche aggiustamento, tra cui quello della moneta giapponese, e acquistando talvolta e forzatamente dollari (come ha fatto la Banca d'Inghilterra) a mantenere tassi relativamente stabili, cioè 226 yen e 2,32 marchi per un dollaro, 1,74 dollari per una sterlina? Tuttavia non sono riuscite a smorzare le tensioni che continuano ad accumulare i loro effetti, fino a provocare da un momento all'altro qualche esplosione. In particolare, continua inesorabilmente la grande altalena cominciata qualche mese fa nei Paesi dell'Occidente tra gli Stati Uniti e i suoi paii-.'jrs. Da un lato questo movimento spinge all'indebolimento del dollaro, nonostante la continua rimonta in Usa dei tassi d'interesse. I quali, per effetto della politica restrittiva della Banca di riserva federale, sono attualmente del 6,5 per i tassi giornalieri, e del 7,5 per il prime rate, mentre con 1*11 per cento il ritmo di crescita della massa monetaria americana rimane sempre largamente superiore all'obbiettivo del 6,5 per cento. In senso inverso le monele europee sono spinte verso l'alto, cosa che permette di conti¬ nuare l'allentamento dei tassi d'interesse. In tale contesto la sterlina rimane sempre molto largamente all'avanguardia, poiché alle cause comuni a tutte le monete, nel suo caso se ne aggiungono altre più specifiche, quali le prospettive delle ricerche petrolifere nel Mare del Nord, e i tassi d'interesse a lungo termine che rimangono alti (il 12 per cento!. Questa evoluzione divergente finisce per provocare risultati sorprendenti: dopo un nuovo ribasso del minimum lending rate al 5 per cento, i tassi inglesi, quanto meno a breve, sono adesso inferiori a quelli americani, sia che tratti del costo giornaliero del denaro (6 contro 6,50), sia del prime rate (7 contro 7,50). E il deporto sui corsi a termine della sterlina si è trasformato in riporto, segno che gli operatori si attendono adesso un rialzo sistematico della moneta britannica. Chi avrebbe creduto, appena dieci mesi orsono, soprattutto al momento della crisi delia sterlina nel dicembre 1976, che si sarebbe arrivati a una situazione del genere? Ma gli eccessi sono imbarazzanti, quale che sia il loro senso. Così in Gran Bretagna rimane sempre la preoccupazione di limitarli canalizzando il flusso un po' artificiale dei capitali, e conservando un tasso di cambio realistico e sopportabile per le esportazioni e l'attività. Purtroppo, e nonostante il basso livello dei tassi, considerando l'inflazione che è ancora del 10 per cento, l'accumulazione delle riserve che, con oltre 17 miliardi di dollari, si avvicinano a quelle dei Icaders Germania e Arabia Saudita, la sterlina e stata ancora una volta spinta più in alto: 1,77 per dollaro. Soltanto un completo controllo del dollaro al di là del¬ l'Atlantico consentirebbe di limitare queste pressioni attenuando l'altalena, se non proprio invertendo lievemente la tendenza. In quale modo? Il problema di fondo rimane senza dubbio quello del deficit della bilancia commerciale americana, che minaccia sempre più la stabilità delle monete e delle economie occidentali. Peraltro, in misura minore per le sue conseguenze dirette, monetarie e finanziarie, perché anche se il disavanzo è considerevole — circa 30 miliardi (valutati Fob-Fob) previsti per il 1977 — rimane comunque percentualmente limitato in rapporto al prodotto nazionale lordo: il 2,4 per cento, all'incirca lo stesso della Francia. D'altra parte, se si tiene conto degli introiti invisibili, esso è nettamente più ridotto, ponendosi in una forcella tra i 16 e i 20 miliardi. Il lato preoccupante è che questo deficit ha la tendenza a gonfiarsi di continuo e inesorabilmente, ciò che induce la Morgan Guaranty Trust a prevedere per il 1978 un disavanso commerciale (35 miliardi) ancora più massiccio. Questi sono dunque gli effetti indiretti, se del caso attraverso l'intervento del governo americano con le sue preoccupazioni di lotta contro la disoccupazione e di difesa dei settori minacciati. E' la guerra commerciale che, per forza di cose, necessariamente si raddoppia anche in una guerra monetaria e in un ribasso del dollaro. Principale accusato, il Giappone. La Germania, malgrado le sue considerevoli eccedenze, non è più presa di mira come lo era in luglio. E' poco probabile che basteranno degli aggiustamenti, come quello dello yen che è passato dal rapporto 266 per dollaro a 255. Sembra necessario un ritorno in fase delle attività occidentali: mentre quella americana rallenta, le altre dovrebbero accelerare, tenuto conto anche del fatto che gli Usa hanno rallentato le importazioni di petrolio. Ma anche in questo modo, forse non sarà sufficiente, se si tien conto della supercompetitività e dell'aggressività giapponesi. Occorrerà allora ripiegare su questa nuova libertà organizzata degli scambi mondiali di cui si discute nelle istanze internazionali. Maurice Bommensath

Persone citate: Maurice Bommensath

Luoghi citati: Arabia Saudita, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti, Usa