La "nazione francese,, nel Canada di Furio Colombo

La "nazione francese,, nel Canada QUEBEC: DIFESA DELLA LINGUA MADRE O SEPARATISMO? La "nazione francese,, nel Canada La legge 101 fa del francese la lingua unica e ufficiale in quasi un terzo del Paese - Pur oggetto di polemiche, osteggiata dal premier Trudeau, potrebbe significare per i francofoni l'autonomia - La comunità italiana l'ha accolta con favore (Dal nostro inviato speciale) Quebec, ottobre. L'illustrazione mostra una mano che mette l'accento sopra la prima « e » della parola Quebec. E' la copertina del libro bianco che il ministro per lo sviluppo culturale Camille Laurin ha tatto pubblicare per chiarire i dubbi e rispondere alle obie- zioni sulla legge 101 propo- sta dal premier della provincia del Quebec, René Levesque, e approvata di recente dall'assemblea nazionale di quella regione. E' la legge che rende il francese lingua unica e ufficiale in quasi un terzo del Canada. Il ministro per lo sviluppo culturale desidera che io abbia questo libro e gentilmente me ne fa avere anche la versione italiana (in un italiano impeccabile, devo dire). La ragione politica e psicologica di questo gesto, che sembra quasi una cerimonia simbolica, e la ragione della mia visita nella provincia del Quebec (la parte storicamente e culturalmente francofona del Canada) risalgono alle reazioni negative che un mio articolo, apparso su La Stampa del 13 agosto, aveva provocato fra gli intellettuali e i polìtici di cultura francese del Canada. Sulla base di fonti che danno affidamento — come sono di solito i grandi giornali americani — avevo espresso un giudizio duro sulla legge 101 e sui politici del Quebec che l'hanno preparata e voluta. La mia opinione era dura perché nella descrizione e nei commenti raccolti la legge mi sembrava repressiva; e ho ritenuto di giudicarla (in compagnia di un coro di commenti negativi sulla stampa di lingua inglese, anche in Canada) più una misura contro coloro che non parlano il francese che un sostegno alla tradizione linguistica e culturale della regione del Quebec. L'immagine di una repressione culturale (o il fantasma di essa, che mi pareva di. avere intravisto) ha fatto scattare la memoria di un passato repressivo: quello di chi era bambino quando in Italia era proibito studiare le lingue straniere. Di qui il mio testo, scritto con 10 stile personale di una «colonna», e il suo tono aggressivo. A parte le reazioni, naturalmente dure, in quei giorni, il governo del Quebec ha fatto sapere che la cosa più utile sarebbe stata un confronto con i fatti sul luogo, cioè qui, cioè con le persone che per questa legge si sono battute e che vedono in essa molto di più che un provvedimento scolastico. Vedono (come mi dicono) l'inizio di una nuova stagione nella vita della provincia, della sua autonomia e forse, in futuro, della sua indipendenza. « Non sono in discussione le opinioni personali », mi è stato spiegato al ministero dello sviluppo culturale. Ciò che vogliamo chiarire con forza è che non si deve pensare a una iniziativa capricciosa in un paese da operetta, ma piuttosto allo sforzo di una vasta regione del Nord America, che reclama dalla storia l'identità che le è stata negata e l'autonomia che è stata soffocata in passato ». Penso alla mano che mette l'accento sulla parola Quebec nell'illustrazione di copertina del libro bianco. Nessun giornale canadese di lingua inglese riserva mai alle parole francesi o ai nomi dei leaders francesi del Quebec 11 riguardo della accentazione corretta. Il francese, benché sia una lingua federale, viene usato poco e male, mi viene detto. E questo costituisce un invito, anzi una vera e propria pressione sugli emigrati, sui nuovi venuti affinché si indirizzino verso la lingua inglese, anche se vivono e lavorano in mezzo a una popolazione « che è culturalmente francese fino all'ottanta, al novanta per cento ». « Potevamo assistere in silenzio alla morte della nostra cultura? ». Chi mi parla è Michel McAndrew, addetto stampa del ministro, più intellettuale che giornalista, preoccupato di chiarire con me quel che la legge significa davvero per il Quebec, piuttosto che di discutere le opinioni che io — sulla base di altre informazioni e altre fonti — avevo espresso l'estate scorsa. McAndrew mi fa notare i paragrafi iniziali del libro bianco, che sono i seguenti e che riassumono il punto di vista di Quebec sul problema che gli anglocanadesi definiscono « francesisazzione »: « Se l'evoluzione demografica del Quebec — sta scritto — no.n cambia, i québecchesi francofoni diventeranno sempre meno numerosi. Gli immigranti dimostrano una forte tendenza a integrarsi nel gruppo di minoranza anglofono. Nelle aziende il francese è in larghissima misura la lingua degli impieghi inferiori e dei redditi bassi. L'inglese è la lingua degli affari. La confederazione canadese mette in condizioni di svantaggio i francofoni, in modo particolare nel Quebec. Molti cittadini del Quebec sono insoddisfatti della qualità della lingua nella loro provincia. I nostri atteggiamenti collettivi sono ambigui. Eppure esiste una volontà di raddrizzamento ». A dimostrazione di questa volontà mi vengono indicati uno per uno i principi ispiratori della legge 101, che fa della lingua francese, in modo ufficiale, la lingua unica della regione canadese francofona. « Primo principio: nel Que| bec la lingua francese non è semplicemente un modo di | espressione, è un ambiente I di vita. Secondo principio: I si devono rispettare le mi| noranze, le loro lingue, le I loro culture. Terzo princi! pio: è importante imparare I altre lingue oltre il franceI se. Quarto principio: lo sta1 tuto della lingua francese ì nel Quebec è una questione ' di giustizia sociale ». Que¬ st'ultimo punto, mi viene fatto notare, è in relazione con una tradizione storica che aveva fatto dell'inglese una lingua alta e del fran- struttura sociale, nella promozione professionale e nelli opportunità della vita dell'intera federazione canadese. Come spiegare allora il caso di Trudeau, il primo ministro canadese, che appartiene alla provincia del Quebec, è nativo di Montreal, usa le due lingue perfettamente e sembra altrettanto a suo agio nella cultura inglese e in quella francese? Pierre Elliot Trudeau non è un sostenitore della legge 101, né un amico del primo ministro e conterraneo René Levesque. E' anzi l'esponente di uno schieramento politico (il partito liberale) che è maggioritario nella federazione, e che è all'opposizione (un'opposizione piuttosto intensa, bisogna dire) nella provincia del Quebec. Mi rispondono facendomi notare che giuridicamente Trudeau ha deciso di non sfidare davanti alla corte suprema la legittimità della legge 101, e che lo stesso Trudeau ha riconosciuto in Levesque un avversario non facile, tanto da esprimere su di lui apprezzamenti che si riservano solo «ad un nemico che ha stile». « Inoltre Trudeau ricorda il caso di quegli intellettuali che appartengono alle minoranze emarginate, riescono ad avere un successo personale, per ragioni (e anche per privilegi) personali, e indicano questo successo come una strada accessibile a tutti. Il successo di Trudeau è una buona cosa. Ma la sua interpretazione è sbagliata ». Questo mi dice alla Université Lavai (il centro culturale di lingua francese più attivo nella provincia) il politologo Louis Baltazar. Dice Baltazar: « Fin dall'i- cese una lingua bassa nella nizio della nostra storia i francesi canadesi sono stati diversi. I francesi condividevano il sogno americano (degli Stati Uniti), di un nuovo mondo. Gli inglesi definivano se stessi North American British. L'ideale del nuovo mondo ha avuto una vittoria negli Stati Uniti e una sconfitta qui, dove ha prevalso a lungo una visione coloniale e un ossessivo legame con la Corona. Ora si dice che la legge 101 è repressiva. Tutte le leggi lo sono, perché prescrivono un comportamento. Ma questa per noi è come una mini-costituzione, una legge che deve essere vista come quegli statuti che hanno cominciato a cambiare, in Italia, l'equilibrio delle forze sociali e culturali nei vari Stati italiani all'inizio del Risorgimento. Dovete pensare a noi come a quei gruppi italiani dell'Ottocento che si stavano svincolando, prima di tutto culturalmente, dalle influenze non italiane per prepararsi a essere anche giuridicamente nazione. La nuova legge dice soprattutto questo. Il Quebec è la nazione dei francesi del Canada». Dietro le parole degli intellettuali e dei politici canadesi del Quebec che ho raccolto a Quebec e a Montreal si intravede l'altro grande problema. Quello che Levesque definisce « sovranità-associazione », e che a Ottawa considerano « una seria minaccia di separatismo ». Il Quebec intende infatti proseguire la sua politica di identità nazionale riorganizzando i suoi rapporti costituzionali con il resto del Canada. Un referendum, nel 1979 chiederà ai cittadini del Quebec se vogliono avere una propria « sovranità » distinta dal resto del paese. Successivamente il governo di Levesque si propone di studiare una forma di « associazione », che è in pratica un'uscita e un ritorno quasi istantaneo della regione nel- l'ambito del Canada. L'inten zione, comunque, è di, ridefinire in modo molto più netto l'identità giuridica del territorio e della cultura che il partito di Levesque già chiama nazione. Su questo punto il dibattito è accanito, in Canada, e le ragioni del primo ministro Trudeau, riportate ogni giorno dalla stampa e dalle televisioni anglofone, sono aspramente contrarie al progetto del «partito del Quebec » (detto anche « pachista», dalle iniziali, PQ del suo nome) e continuano a mostrare una certa opposizione alla legge 101, anche adesso che l'intero sistema scolastico del Quebec ha adottato il francese come lingua ufficiale e unica (come l'inglese a Toronto, spiegano i francofoni). Negli incontri avuti a Montreal con la federazione italo-canadese e con altre organizzazioni che rappresentano i cittadini del Quebec di origine italiana e i gruppi di più recente immigrazione, ho tratto l'impressione che il governo del Quebec da un lato, e la cultura francese dall'altro, siano stati capaci di penetrare in una discreta misura l'opinione italiana, cambiando in parte il tradizionale orientamento della nostra comunità verso la lingua inglese. Molto si deve al fatto che il Quebec, oltre alla omogeneità della cultura francese che avvolge subito i nuovi venuti, rappresenta anche uno spazio molto grande e carico di risorse. Per questa ragione — mi dice per esempio il professor Viero che è « primo vicepresidente della federazione delle associazioni italiane » — non c'è una ostilità italiana alla legge 101, anche se gli italiani cercheranno il più possibile di educare i bambini nelle due lingue. Sono gli italiani a farmi notare che la legge di Levesque si preoccupa di non dividere le famiglie (un punto che sta tradizionalmente molto a cuore agli italiani): « Se uno dei figli ha già studiato in una scuola anglofona, tutti i suoi fratelli potranno iscriversi alla stessa scuola per non dividere culturalmente lo stesso gruppo ». Nel resto del Canada, leggo sui giornali e sento alla televisione, le polemiche sugli orientamenti della regione francese, sulla legge della lingua e sul progetto di « sovranità-separazione » sono tutt'altro che spente, e tutt'altro che morbide. Ma la cosa importante era verificare i fatti. L'ho fatto in questo viaggio in un'atmosfera distesa nella quale proprio coloro che avevo accusato mi hanno messo in grado di confrontare, ascoltare, discutere. Non si tratta di decidere, da lontano, se la legge 101 e il progetto di autonomia siano una cosa buona per il Quebec e per il Canada. Trudeau, come ho detto, si sta opponendo al « rischio », come lui dice, « di una frantumazione dei legami dentro la federazione ». Si può però riconoscere che le democrazie hanno il pregio di rendere possibili le verìfiche, i confronti, l'accesso ai fatti. E dunque finiscono sempre per sciogliere i nodi dei conflitti e anche quelli, meno drammatici, ma più insidiosi, dei blocchi di comunicazione. In questo modo le interpretazioni diverse e lontane si sciolgono nel dialogo. Furio Colombo