Perché la Francia resta "a sinistra,, di Alfredo Venturi
Perché la Francia resta "a sinistra,, Perché la Francia resta "a sinistra,, Dibattito a Milano sul libro di Cavallari (Nostro servizio particolare) Milano, 18 ottobre. La Francia resta « a sinistra », anche se l'« Union de la gauche » sta attraversando una crisi che del resto non è la prima, nell'alleanza Mitterrand-Marchais-Fabre. La Francia resta a sinistra perché la società francese, o almeno un'abbondante metà della società francese, è insoddisfatta della lunga gestione conservatrice, è afflitta da diseguaglianze più profonde delle italiane, vuole un « cambiamento » ben più sostanziale di quello sventolato nello slogan giscardiano. Con questo indispensabile aggiornamento del tema, Alberto Cavallari ha aperto ieri sera, al circolo milanese di via De Amicis, un dibattito sul suo ultimo libro. La Francia a sinistra (ed. Garzanti). Cavallari dice che sopravvive alla crisi in atto la tesi centrale del suo libro: che ormai, in Francia, la sinistra può essere sconfitta soltanto da se stessa. L'Unione scricchiola certamente, soprattutto per lo squilibrio fra le due forze principali che la compongono, e per il timore dei comunisti di restare in posizione subordinata rispetto al fortissimo ps di Mitterrand (Cavallari esclude invece, senza esitazioni, l'ipotesi della pressione sovietica perché non muti, in Francia, il quadro politico). Ma non si può parlare di fallimento della formula. Perché non ci sono alternative: con chi dovrebbero intendersi i comunisti francesi? Con un movimento gollista afflitto da inarrestabile deolino? Con i giscardiani del finto changementl Si vedrà fra qualche settimana, del resto, se la crisi fra i partiti della sinistra potrà consolidarsi fino a compromettere le brillanti prospettive delle elezio¬ ni di marzo. Fino al punto da realizzare l'ipotesi estrema dell'« autosconfitta »? Paolo Vittorelli, direttore delVAvanti! sostiene che a questo punto, c'è anche da considerare il ruolo attivo degli elettori. I vertici possono litigare fin che vogliono, ma a marzo i cittadini francesi si troveranno alle prese con un sistema maggioritario che imporrà, al secondo turno elettorale, la scelta fra un candidato di sinistra e un candidato di destra. Se è vero, come è vero, che «la Francia è a sinistra», non si vede perché dal voto di marzo non dovrebbe uscire comunque una maggioranza nuova. Il problema resterà quello del governo: e anche qui bisognerebbe stabilire se non è prematuro considerare seppellito il programma comune, o almeno «un» programma comune. Silvio Leonardi, deputato comunista al Parlamento europeo, trova invece che l'Unione della sinistra francese è fallita perché insufficientemente motivata, e non già perché Marchais sarebbe preoccupato da ragioni di egemonia. Troppo «parrocchiale» l'ottica della gauche, dice Leonardi, troppo indifferente di fronte alla necessità di superare i limiti dell'«ambito nazionale» e di elaborare un progetto europeo. Nel dibattito è intervenuto anche Paolo Grassi. Da una parte Togliatti, ricorda il presidente della Rai, dall'altra Thorez: non è sufficiente questo a spiegare le differenze di cultura e di stile fra i due partiti «fratelli»? La rozzezza di Marchais, dunque, e anche questa potrebbe essere una spiegazione. Ma dietro, insiste Cavallari, c'è la società francese, e la società francese vuole cambiare. Alfredo Venturi
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