Il week-end di trecento ragazzi nel fango tra i sinistrati di Acqui

Il week-end di trecento ragazzi nel fango tra i sinistrati di Acqui Per due giorni hanno aiutato le vittime del nubifragio Il week-end di trecento ragazzi nel fango tra i sinistrati di Acqui (Dal nostro inviato speciale) Acqui Terme, 17 ottobre. Si vedeva soltanto una schiena emergere dal fango, a metà collina, dove la frana aveva travolto ogni cosa. L'uomo in divisa s'inerpicò prima lungo un canalone, seguendo una fila d'arbusti risparmiati dal gigantesco smottamento. Si abbrancava alla vegetazione per muoversi nel fango. Ma per raggiungere quella schiena di ferito (o di morto?) a un certo punto non c'era che lasciare qualsiasi appiglio e inoltrarsi nella massa viscida, in quella infida polenta di terra che lentamente continuava a spostarsi verso valle. Mosse i primi passi decisi e sprofondò fino alla cintola; non sapeva più se stava camminando o tentando di nuotare. Finché raggiunse quel corpo. Con uno strattone ne liberò volto, braccia, busto dal fango. Era un anziano contadino, esanime. Il soccorritore lo trasse fuori dalla terra, lo fece faticosamente rotolare per qualche metro giù dal pendio ed egli stesso strisciando come un verme gli si mise a fianco. Scivolando, scivolando, se lo trascinò per duecento metri verso il sentiero sottostante, alla jeep che attendeva. E poi una corsa all'ospedale, un'inutile corsa, perché l'anziano contadino, Carlo Scazzola, che aveva casa nella devastata regione Martinetto, era ormai senza vita. Il maresciallo Foi comanda l'autonucleo della Croce Eossa di Acqui Terme; ricorda quell'episodio fra i tanti, tragici, vissuti durante la recente alluvione. Era lui che «nuotava nel fango» quella mattina. Ad Acqui lo conoscono tutti, non c'è avvenimento concitato e drammatico che in questi ultimi giorni non l'abbia visto in prima fila, protagonista. Per questo ci sembra importante un suo giudizio — il giudizio d'un uomo abituato a «fare» più fatti che parole — su trecento ragazzi venuti sabato e domenica ad Acqui, per aiutare le po- polazioni alluvionate. «Sono giovani meravigliosi. Io sono nemico della retorica, e se ci metto un superlativo stia sicuro che è al suo posto. Lì ho visti lavorare, ho visitato le varie squadre disseminate attorno ad Acqui, nei comuni vicini, ho visto con quale spirito si muovevano. Non erano venuti qui oer una scampagnata, ci hanno dato dentro in maniera incredibile». Obiettiamo provocatoriamente: «Oggi c'è una tendenza a dir bene dei giovani, purché non siano i "pitrentottisti" o gli scalmanati di certi cortei, quando fanno qualco- sa di semplicemente saggio e utile». «Ma lei scherza? Questi trecento qui intanto non vanno in cerca di pubblicità, non hanno certo chiamato cronisti e fotografi al seguito. In secondo luogo non sono venuti ad Acqui per fare qualcosetta di utile, ma per lavorare sodo con picconi, pale, rastrelli. Ho visto ragazze che rimuovevano pietre da venti chili; giovani che per ore hanno spalato tonnellate di fango da strade, case, cantine, stalle; ragazzi e ragazze che dalla mattina all'imbrunire vendemmiavano fra i vigneti disastrati per salvare il salvabile. Lasci che glielo dica io che me ne intendo e non mi faccio mai prendere dalla voglia di discorsi opportunistici: sono ragazzi meravigliosi, c'è da esser fieri di loro». I trecento «giovani e forti» erano partiti da Torino all'alba. Quasi tutti studenti (c'era una maggioranza del liceo Alfieri, 105 studenti, e sarebbe interessante capire quale particolare vitalità anima quella scuola), durante la settimana si alzano verso le 7 del mattino. Per la spedizione ad Acqui avevano dovuto anticipare di due ore l'abituale sveglia. Il pullman del Comune li avevano condotti nella zona alluvionata, dove la prospettiva non era di un tranquillo weekend. Il cronista ha visitato varie squadre, parlato con ragazzi e contadini, assistito all'assemblea generale della sera di domenica, con il sindaco che ringraziava i giovani prima del loro ritorno a Torino. Una giornata istruttiva, che meriterebbe d'essere analizzata nei dettagli sotto vari profili. La fatica fisica di molti giovani «cittadini», spesso spinta al limite di tolleranza, ha stupito tutti. La loro abilità nell'accettare soltanto lavori sicuramente utili ai più poveri e danneggiati dall'alluvione (rifiutando i «soccorsi» che maliziosamente erano proposti da qualche vignaiolo senza guasti ai propri terreni e da qualche proprietario di villa con un po' di fango davanti al cancello) ha bene impressionato. E' piaciuta la capacità dei giovani di familiarizzare con la gente alla quale per due giorni hanno dato una mano, stabilendo rapporti di amicizia sull'onda d'una eccezionale spontaneità, d'una condizione di spirito senza secondi fini. Persino il sindaco di Acqui, Raffaello Salvatore, nell'affollatissima assemblea prima della partenza dei ragazzi, ha tagliato corto con i discorsi di prammatica e ha «mitragliato» quattro frasi alla buona, assai applaudite dai giovani che non gli avrebbero certo perdonato verbosità e ragionamenti tortuosi. Attorniato da un gruppo di coetanei sfiniti, un ragazzo di sedici anni, non troppo robusto, prima di salire sul pullman per ritornare a casa diceva: «Per noi è stata una giornata importante. L'iniziativa era partita dalla Fgci, ma c'era stato un appello all'unita di tutti i movimenti giovanili in questa occasione e l'abbiamo accolto. Siamo ragazzi di ogni tendenza politica. E' stato mportante passare una giornata fra noi giovani, a fare qualche cosa di veramente concreto e utile; ci ha entusiasmato il contatto con la gente del luogo, ospitalissima e commovente per la simpatia dimostrataci. Ci ha insegnato molte cose l'esperienza diretta sui luoghi della sciagura, faccia a faccia con situazioni e vittime. Una domenica così vai bene un'ernia». f. gii. Orsara Bormida. Studenti torinesi in aiuto ai contadini alluvionati (Foto P. Goletti)

Persone citate: Alfieri, Carlo Scazzola, Goletti, Martinetto, Raffaello Salvatore