I soliti "mali,, italiani anche con gli Asburgo di Alfredo Venturi

I soliti "mali,, italiani anche con gli Asburgo Raccomandazioni, giungla retributiva e frodi I soliti "mali,, italiani anche con gli Asburgo (Dal nostro inviato speciale) Pavia, 15 ottobre. Il fatto di giungla retributiva, nemmeno negli ordinalissimi stati asburgici si scherzava. Ecco qua, nero su bianco. Mantova, 1741, gli stipendi dei pubblici dipendenti vanno dai quattromila fiorini del presidente del tribunale ai centoventi del «salariato di fattoria». Cinquantanni più tardi, a Milano, la situazione è un po' migliorata: il presidente del «magistrato politico camerale» guadagna 17 mila lire, l'inserviente 3200. Né si fermano qui, le analogie con la più stretta attualità. 1723, lo stato di Milano è afflitto dalla crisi economica; grido d'allarme del governatore, conte Colloredo, che sollecita Vienna a provvedere in qualche modo. C'è anche, in pieno Settecento lombardo, il problema dell'ordine pubblico: ecco un piano, datato 1796, per «tutelare la pubblica sicurezza nelle città e nelle campagne». Siamo alla vigilia di uno storico cambio della guardia, con le armi di Napoleone la rivoluzione francese sta per invadere la pianura padana, e le autorità asburgiche sono preoccupatissime per «gli oziosi e vagabondi di campagna, tanto nazionali che esteri...». Già da qualche anno, del resto, i residenti francesi sono accuratamente schedati: eccole, le schede, con tanto di svolazzi calligrafici. Per toccare con mano questa documentazione, occorreva fino a ieri prendere il treno di Vienna, immergersi nelle carte delloHaus-Hof-Und Staatsarchiv, l'archivio di stato e di corte, fondo Lombardi. Ora non più, basta andare a Pavia, nell'antica università, Istituto di Storia Moderna. La regione Lombardia s'è infatti preoccupata di mettere a disposizione degli studiosi, senza bisogno di costosi soggiorni all'estero, tutti i materiali degli archivi esteri che riguardano il milanese. E' noto che questa regione, a differenza dal Piemonte con la sua tradizione di autonomia politica, ha subito per più di trecento anni della sua storia moderna tre distinte dominazioni straniere. Gli spagnoli fra il 1533 e il 1706, gli austriaci dal 1706 al 1796, e ancora dal 1814 al 1859, i francesi dal 1796 al 1814. La storia lombarda di questi periodi è quindi prevalentemente racchiusa negli archivi di Simancas, Vienna e Parigi. L'idea di riportare in patria quei materiali è nata, nella primavera del '75, in un convegno di storici organizzato dalla regione a Brescia. Giulio Guderzo, dell'università di Pavia, espose in quell'occasione il suo piano. Non si trattava, ovviamente, di pretendere la restituzione delle carte: bastava andarsele a fotografare sistematicamente, e ricostituire in patria i vari «fondi» sotto forma di microfilm. In questo modo, dice Guderzo, «si popolarizza il privilegio, a si compie non soltanto un'opera di valore scientifico, ma anche di democratizzazione dell'accesso alle fonti storiche. La Regione ha raccolto l'invito, ed ecco la prima parte dell'operazione portata a termine. Il fondo lombardo dello Staatsarchiv di Vienna è già riprodotto, i preziosi microfilm sono a Pavia, a disposizione della nostra curiosità. Anche Parigi, archivio di stato e biblioteca nazionale, ha già visto al lavoro i nostri archivisti per il periodo della Repubblica Cisalpina e del Regno d'Italia; ed entro l'anno si comincerà a lavorare a Simancas, dalle parti di Valladolid, dove dormono le carte milanesi del Cinquecento e del Seicento. Ieri, a Pavia, l'iniziativa è stata presentata al mondo della cultura. C'erano l'assessore regionale Renato Garibaldi, il rettore Alberto Gigli Berzolari, il direttore generale degli archivi austriaci Richard Blaas, il direttore dell'archivio generale di Simancas, Amando Represa, numerosi storici. Contemporaneamente è stata aperta una mostra: riproduzioni fotografiche di alcune centinaia di documenti, che non sono che l'uno per mille del materiale microfilmato a Viennt. L'iniziativa, per l'Italia, è nuova. Già avevano fatto qualcosa del genere gli americani, che alla fine della seconda guerra generale fotografarono gli archivi tedeschi e italiani. Inutile soffermarsi sull'importanza dell'avvenimento per la nostra organizzazione culturale. Se l'iniziativa è essenziale per gli addetti ai lavori, è anche di straordinario interesse per chiunque abbia un minimo di curiosità intellettuale. Basta aggirarsi nel salone della moitra, per constatarlo. I documenti esposti, alcuni li abbiamo citati più sopra, si riferiscono tutti al Settecento lom¬ bardo. Il secolo dei lumi, ma non soltanto dei lumi. Ecco il lamento degli ebrei di Mantova, chiedono alle lontane autorità viennesi nient'altro che di «essere trattati al pari de' cristiani ne' loro contratti di acquisto o affittanza di fondi stabili». Ecco la raccomandazione (altra consuetudine italiana di antiche radici, come si vede) di uno studente milanese che va a Vienna a studiar medicina: ;<... Io prego Vostra Altezza — scrive il conte Firmian al cancelliere Kaunitz — a volerlo far raccomandare in nome suo a cotesti professori, e a proteggerlo...». Ecco la disavventura di un certo Ambrogio Conti, macellaio a Milano, che nel 1788 è stato condannato a tre mesi di casa di lavoro per aver venduto carni vietate, e che la polizia dovrà portare a spasso per la città, con un cartello al collo che racconti il misfatto. Ci sono anche le note caratteristiche dei senatori lombardi nel 1744: a Vienna dovevano essere ben compiaciuti del presidente, conte Carlo Pertusati, descritto come «uomo, quantunque avanzalo in età, di una grande mente, in ogni mutazione di governo è sempre stato fedelissimo suddito austriaco». Alfredo Venturi