La condizione degli ebrei in Urss di Lia Wainstein

La condizione degli ebrei in Urss Presentato a Roma un drammatico documento La condizione degli ebrei in Urss Roma, 13 ottobre. Pietro Blayer, presidente dell'Unione delle comunità israelitiche italiane, ha tenuto una conferenza stampa sul tema «La Conferenza di Belgrado e la situazione degli ebrei in Unione Sovietica». In tale occasione è stato distribuito il «Rapporto sugli ebrei nell'Urss», ampia documentazione che, tramite la delegazione italiana e con l'azione concomitante di altre comunità israelitiche, si spera possa costituire un argomento di discussione alla Conferenza di Belgrado ora in corso. Le finalità e l'impostazione del Rapporto, pubblicato a cura del «Convegno sulla situazione degli ebrei nell'Urss», si riallacciano dìrettaimente alla Confereni-o I per la collaborazione e la sicurezza in Europa, svoltasi a Helsinki nell'estate del 1075, in quanto pongono i.i rilievo le palesi divergenze tra gli accordi presi allora dai Paesi partecipanti e i successivi sviluppi nell'Unione Sovietica. Sia Blayer, sia Luciano Tas, estensore del Rapporto, hanno precisato che i principali problemi affrontati si dividono sostanzialmente in due sruppi, il primo connesso con le condizioni in cui vivono gli ebrei sovietici, l'altro concernente quanti vorrebbero emigrare. La libertà religiosa, inclusa nei dieci principi fondamentali che «regolano i rapporti tra gli Stati partecipanti» alla Conferenza di Helsinki, e garantita inoltre dalla Costituzione sovietica precedente (articolo 124), nel caso degli ebrei appare seriamente limi- ì tata. Non vi sono organizzazioni centrali, né bollettini (permessi invece agli ortodossi, agli armeni, ai "Vecchi Credenti" o agli evangelisti cristiani-battisti), non si publicano e non si importano dall'estero né la Bibbia né libri di preghiere, non si fabbricano oggetti rituali e non esistono scuole per rabbini. Le sinagoghe, da 1103 nel 1926, in una trentina d'anni si ridussero a 451. Oggi sono ufficialmente 92, benché ne siano state rintracciate 57 appena, di cui venti in Georgia e nell'Asia Centrale dove risiede solo l'll,2 per cento della popolazione ebraica. Una sinagoga invece a Leningrado (162 mila 587 ebrei), a Kiev (152 mila ebrei), a Odessa (120 mila ebrei) e due a Mosca (25 mila 523 ebrei). Dopo la distruzione sistematica intrapresa da Stalin nel 1948 la cultura nazionale ebraica non è più riuscita a rinascere. Non esistono scuole né istituti culturali e non si insegna lo yiddish nemmeno nel Birobidzan, la Regione autonoma destinata agli ebrei, la stampa in yiddish è ridotta al mensile Sovetis Hejmland (25 mila copie, di cui metà riservate all'estero) e al trisettimanale locale Birobidzaner Stcrn (mille copie). Nello stesso tempo, ignorando l'esplicita condanna formulata a Helsinki contro ogni propaganda che inciti all'odio razziale, «la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sovietici molto spesso non arrivano neanche più a distinguere tra "ebreo" e "sionista", malgrado le affermazioni contrarie». Libri, film, trasmissioni televisive, radio e giornali sovietici presentano di nuovo al pubblico i logori clichés della cospirazione ebraica mondiale. Non per questo le autorità sovietiche agevolano gli ebrei che intendono emigrare. Una scorsa alle cifre citate dal Rapporto rivela come nel dopo-Helsinki si sia verificata una netta diminuzione: 34 mila 700 ebrei poterono espatriare nel 1973, 20 mila 500 l'anno seguente, 7149 nei sei mesi che precedettero la Conferenza di Helsinki e 6060 nei sei mesi successivi, 14 mila 310 nel 1976, novemila nell'anno in corso. Lia Wainstein

Persone citate: Blayer, Libri, Luciano Tas, Pietro Blayer, Stalin