Riusciranno i laboristi a "licenziare,, i Lords? di Fabio Galvano

Riusciranno i laboristi a "licenziare,, i Lords? Riusciranno i laboristi a "licenziare,, i Lords? All'annuale congresso svoltosi la scorsa settimana a Brighton, i laboristi inglesi hanno votato quasi all'unanimità l'abolizione della Camera dei Lord, anacronistica assemblea di ermellini e porpore che appartiene a quelle tradizioni centenarie di cui l'Inghilterra va fiera ma di cui, talora, non sa che fare. Il voto di Brighton — alla mozione presentata dal sindacalista Jack Jones si sono invano opposti alcuni «pari» laboristi — significa che il partito introdurrà un progetto di ristrutturazione del sistema parlamentare, e cioè l'eliminazione della Camera dei Lord, nel suo prossimo manifesto elettorale. Se la Camera Alta dovrà poi scomparire, dopo quattro secoli d'esistenza, dipenderà dal dibattito parlamentare. Non sarà una questione di facile soluzione, e si prospetta una serrata battaglia nei goticheggianti saloni di Westminster. Pelle dura I numerosi precedenti indicano chiaramente che i Lord hanno la pelle dura: il primo tentativo di eliminarli dalla scena politica fu fatto nel 1918, e da allora si è assistito a un periodico martellamento che i laboristi hanno fatto proprio negli ultimi vent'anni. Di fatto il potere della Camera Alta inglese è assai limitato. Ed è curioso osservare che il suo declino ebbe inizio, a causa di una legge che ne riduceva le funzioni, alla metà del secolo scorso, pochi anni dopo la costruzione dell'imponente edificio che la ospita. Oggi sono 1139, fra Lord per diritto ereditario e Pari a vita: una fusione fra l'aristocrazia del sangue (ma, ha osservato Jack Jones nel suo infuocato intervento al congresso di Brighton, «essi non devono dimenticare che i loro antenati erano per lo più ladri di bestiame e di terre, o prostitute di corte») e l'aristocrazia del commercio e dell'industria: l'investitura a vita, concessa dalla sovrana su segnalazione del primo ministro, premia in genere una carriera al servizio dello Stato o della comunità (ma ci sono clamorose e polemiche ecce¬ zioni come la recente creazione di Lady Falkenden, il cui unico merito era stato di aver fatto da segretaria, quando la si conosceva soltanto come Marcia Williams, a Harold Wilson). All'assemblea prendono parte anche i cosiddetti «Lord spirituali»: gli arcivescovi di Canterbury e di York, i vescovi di Londra, Durham e Winchester, più i 21 vescovi più anziani della Chiesa anglicana. Le sedute dei Lord, tuttavia, raramente affollano l'aula: il quorum richiesto per legge è di tre presenti, in genere non più di un centinaio prendono parte ai dibattiti: il primato fu di 333, quando nel 1956 si discusse l'abolizione della pena capitale. Le sedute durano quasi mai più di tre ore, e comunque il venerdì è giornata di riposo assoluto, per consentire lunghi weekends a un consesso che comprende alcune decine di ottuagenari e nonagenari. Per i meno anziani la partecipazione si riduce ai ritagli di tempo concessi dalla loro attività professionale: tanto, osservano i critici del sistema, bastano pochi minuti per avere diritto alla diaria. Dà fastidio, ai loro oppositori, soprattutto il fatto che abbiano diritto a votare alcune centinaia di duchi, conti e baroni che possono rivestire l'ermellino non per meriti speciali o per una scelta politica, ma per diritto di nascita, e passa in secondo piano la considerazione che, di fatto, i Lord hanno ben poco da dire lungo l'iter narlamentare di una legge. Possono apportarvi modifiche, sempre che poi i Comuni le approvino, ma dall'inizio del secolo, per l'esattezza dal 1911, non possono più bocciare un progetto di legge, tutt'al più possono tardarne di un anno l'approvazione definitiva. Il colpo di grazia al nobile consesso venne proprio per un colpo di testa nel 1909, quando i Lord respinsero il bilancio statale presentato da Lloyd George, il quale due anni dopo attuò la sua vendetta. Già dal lontano 1712, tuttavia, il peso politico della Camera Alta era stato ridicolizzato: dovendo ottenere l'approvazione del trattato di Utrecht il governo dei «tones», per ovviare alla minoranza fra i Lord, ne creò 12 dall'oggi al domani. Da allora la Camera dei Lord è stata un feudo dei conservatori, e si spiega forse cosi l'acredine con cui i laboristi si battono oggi per la sua eliminazione totale dalla scena parlamentare. Si calcola che quasi il novanta per cento dei Lord per diritto ereditario e oltre la metà dei «pari a vita» siano di fede conservatrice. Sta di fatto che dal 1832 i Lord non hanno più bocciato una mozione di quel partito, mentre anche in tempi recenti hanno ostacolato non poco i progetti di legge laboristi, soprattutto quelli relativi alle nazionalizzazioni. Se oggi i laboristi volessero conquistare una maggioranza anche in questo consesso, il primo ministro dovrebbe creare alcune centinaia di Pari. Molto più facile, quindi, eliminarli del tutto. Saggezza Chi vuole difendere a tutti i costi l'attuale sistema parlamentare osserva che i Lord non hanno un vero potere politico ma hanno la saggezza dell'età, e il loro apporto in fase di emendamento dei progetti di legge è stato sovente prezioso, e significativa è la loro influenza sull'opinione pubblica attraverso le pagine dei giornali, i quali riferiscono dei loro dibattiti quasi con lo stesso rilievo concesso ai deputati. Nel 1963 Lord Mill'ord, il primo comunista nominato Pari d'Inghilterra, impostò il suo discorso inaugurale sulla tesi che la Camera dei Lord dovesse essere abolita. «In questo Paese — gli replicò Lord Attlee — ci sono molte anomalie. La più curiosa è che la voce del partito comunista possa essere sentita soltanto in questa Camera. Ecco un vantaggio del diritto ereditario». E' una frase passata alla storia. Ed è a questa democrazia «a rovescio» che, ancora oggi, si aggrappa chi vuole la sopravvivenza dei Lord. Fabio Galvano

Persone citate: Durham, Harold Wilson, Jack Jones, Lloyd George, Lord Attlee, Marcia Williams, Pari, Pelle

Luoghi citati: Inghilterra, Londra, Utrecht