Ore di Berlino di Giovanni Arpino

Ore di Berlino BELLA, SOLA E BIZZARRA Ore di Berlino Berlino, ottobre. Un giovane cameriere sorridente, in tenuta nera, depone il vassoio di ostriche sul tavolino all'aperto. Il cliente è un uomo di mezza età, dimentica la fanciulla che gli è seduta nella poltroncina di vimini al fianco, comincia a versare pepe e limone. Sono le undici del mattino, il caffè ristorante ha tutta una gloria di tele rosse e blu, il sole è caldo e ha risvegliato qualche vespa che compie giri storditi. La Kurfurstendamm, il grande « boulevard » berlinese disegnato da Bismarck e subito ricostruito dopo la guerra, ripropone quell'atmosfera « spiritosa, secca, frizzante, pervasa di timore ironico » che Guido Piovene, nel suo ultimo viaggio a Berlino, ritrovava cinque anni fa, rapida consolazione tra i dolori e le ombre e la vanità d'una metropoli-vetrina. Non riesco a non guardare l'uomo che inghiotte lentamente le ostriche. Mi domando dove potrei vedere il suo calco: in nessun caffè italiano, nemmeno a Parigi. Solo questa città, Berlino, consente un simile ghirigoro esistenziale, quasi assurdo e in qualche modo confortante. La gente passeggia e ignora il tipo, semmai lancia uno sguardo alla ragazza che gli tiene compagnia. Berlino fiorisce di ragazze, moltissime con cani al guinzaglio o in braccio. Decido anch'io di mangiare qualcosa, 11 all'aperto, in quel caffè, vincendo un rigurgito di vergogna quasi idiota. Al fondo della Kurfurstendamm il troncone della chiesa bombardata si erge come il tozzo pollice d'un gigante tra i muri chiari dei palazzi: il «memento » della guerra ora serve solo ai turisti per una fotografia e a un suonatore di organino. E' come il « muro » che divide la città: porta molte scritte contorte, la parola più dipinta grida « sozialismus » ma non mancano ilari oscenità. E' un serpente secco, inutile. Le due Berlino — per quel «muro » che poteva significare l'occasione del terzo conflitto mondiale — vanno assomigliandosi anche troppo. ★ * Mi dice un amico, francese d'Algeria, che vive da quattro anni in questa città: la vita costa troppo cara, i tedeschi non amano molto Berlino, i giovani tendono a fuggire, per invogliarli il governo ha stabilito di esentare dall'obbligo militare ogni ragazzo che viva e lavori per cinque anni qui. Solo i vecchi mantengono i loro affetti per una città cosi diversa, ambigua. Gli stimoli e gli orgogli (anche falsi) della « vetrina d'Occidente » esposta all'Est sono abbondantemente sepolti. La carica erotico-mercantile è stinta, serve a un turismo di passo. Ma nei saloni dell'hotel « Kempinski », nei ristoranti aperti tutta la notte, l'esemplificazione superficiale del vivere continua, accanita, con quell'impegno che i tedeschi mettono anche nel divertirsi. E c'è una carica quasi elettrica nelle arterie centrali, un guizzo voglioso di rappresentazione collettiva. Vista sulla mappa di un'Europa tanto contorta, la Berlino « libera » è una briciola scintillante, un lustrino che pensa solo a se stesso. E quasi ci irride. ★ * C'è un piccolo museo che ospita reperti della vita « da muro ». Vi sono cofani di macchine truccati, che ospitarono, non si sa come, intere famiglie in fuga dall'Est. Famiglie di contorsionisti, di acrobati, vien da pensare, oppure di nani. C'è un vaso da fiori: un uomo vi si nascose e passò all'Ovest. C'è una serie di bidoni, di bauletti, che contennero madri e bambini, adulti e giovani. Il visitatore italiano ha motivo di divertirsi: forse è tutto qui il segreto della fuga di Kappler. ★ * Un migliaio di studenti ha manifestato a Berlino Est durante le celebrazioni del ventottesimo anniversario delia Repubblica Democratica Tedesca. V'era anche un festival del jazz, solita occasione per creare ingorghi che sono poi sfociati nell'Alexanderplatz. I giornali dell'Ovest ripetono titoli annosi, indicando quei tumulti ma con parole stracche. Il confronto ideologico tra le due Berlino non interessa più. Semmai preoccupa la crescita della città all'Est, che ha un retroterra campagnolo e industriale importante, mentre la città « libera » è — lei si — un'ostrica abbarbicata solo a se stessa. Davanti ai resti della Porta di Brandeburgo, davanti al Reichstag, al monumento al soldato sovietico, turisti guardano, fotografano, ridono. I militi occidentali o rossi, gli stessi soldati sovieti- | | ci fingono di ignorarli. Quelle che furono le tragiche stimmate della caduta hitleriana funzionano oggi come sfondi di cartolina. ★ ★ Dappertutto, un trionfo di vini, cibi, fiori, caffè. Una cena perpetua, un indaffararsi tra tavoli imbanditi e «dehors» gremitissimi. Il visitatore americano prova addiritura invidia per la vita berlinese, l'europeo respira il clima euforico e spende, trascinato da ritmi che aveva dimenticato negli anni. Vado a ripararmi tra i meandri del grande «Aquarium», visto in anni lontani. L'enorme stanzone dei coccodrilli è soffocante, odori muschiosi si rivoltano l'un l'altro con lentezza, ammorbano l'aria, ti premono in gola. C'è un passaggio vetrato che attraversa lo stanzone, e tu cammini sopra | quella massa inerte di coccodrilli ammucchiati. Sono grigi, crostosi e prigionieri di un letargo innaturale Si alza da quell'immondo groviglio un fetore che diven-1 ta il tuo, quasi fossero i tuoi' stessi viscesi a marcire e inquinarti. Ti senti perduto in una sospensione di morte che non vuol decidersi alla fine, ma dilunga la sua (e tua) opera putrescente. Bisogna scappare, lodando l'aria celeste che ritrovi, provando col tacco, coi ginocchi la mobilità che ancora possiedi. ★ ★ Mi hanno relegato in un vecchissimo alberghetto vicino al « muro ». Non è nemmeno più un albergo, questo «Stuttgarter Hof ». L'ingresso imbiancato a calce pare l'entrata d'una stamberga guatemalteca, non vi è telefono, non vi è gabinetto, il padrone rifiuta anche una bottiglia di acqua minerale, prima di restituirti la chiave della stanza pretende che tu paghi gli spiccioli di una telefonata. Al mattino un giovane dall'aria idiota serve un caffè con una fetta di pane. Di notte il portiere è uno storpio che guata sinistramente, in compagnia d'una moglie dalle labbra viola e con mille anni tra le rughe del volto. Pare di vivere tra le quinte di uno spettacolo demenziale, dai toni così caricati che sfumano nell'inverosimile. I miei compagni di viaggio hanno deciso di accettare questo breve destino con molta allegria e si fotografano l'un l'altro nei cantoni più sinistri della locanda. Poi scappano in vari tabarin per godervi arie diverse. Tornano raccontando di oscenità costose e stupide. In un certo club, ad esempio, bisogna pagare cento marchi: ti daranno la chiave di un armadietto, dove deporrai tutti i tuoi indumenti. Dopodi- che, come socio del club, po- j trai ballare con donne nude ! e assistere a vari spettacolini. ! I miei amici sono fuggiti, ve- ! dendo vecchioni aggirarsi con i le loro nudità cascanti. Altri | invece hanno sopportato solo j pochi minuti d'uno spettacolo di donne-pugili, che si battono con ferocia su un ring e gridano e strabuzzano gli occhi | bistrati. * * C'è un uomo, solo, su un podio colorato, al centro del prato. Lo stadio è ricolmo. ! Dalla campana olimpica del i '36 traspaiono i rilievi delle svastiche: ne hanno « riempito » col bronzo solo una parte, lasciando scoperti due uncini. Adesso l'uomo solo dirige il coro del pubblico in attesa della partita di calcio. Tutti cantano: solo il Glory Alleltija non raccoglie l'unanimità delle voci. Quell'omino in grigio che si sbraccia sul- vato in di pernacchi. Anche gli italia l'erba esprime un accettato po tere. Se si presentasse in uno;stadio nostrano verrebbe solle-1volo da un concerto jni sulle gradinate applaudono' ma molti vengono a dirmi: meno male che di Germanie ve ne sono due, una sola farebbe di nuovo paura. Forse ha ragione il Premio Nobel Heinrich Boell, che in questi giorni scrive: non credo che la parte razionale di noi stia dominando su quella irrazionale. L'egotismo di Berlino non accetta questo dubbio. Giovanni Arpino

Persone citate: Bismarck, Guido Piovene, Heinrich Boell, Kappler