Così i mafiosi governano Reggio di Francesco Santini

Così i mafiosi governano Reggio TUTTI CONOSCONO I LORO NOMI, I METODI, LE VITTIME Così i mafiosi governano Reggio (Dal nostro inviato speciale) Reggio Calabria, ottobre. Torna in Parlamento il dossier « mafia calabrese » ma il vento, la rassegnazione e la paura dominano la città dello Stretto e la sua provincia malata. Il governo risponde alle interrogazioni allarmate dei politici della zona: seguono le promesse ma Roma appare lontana e ancora questa notte la polizia non è entrata alla periferia di Reggio, nel ghetto del rione « Archi ». Il regno dei Di Stefano resta inviolato. Si avvia la procedura per la discussione della legge che propone l'antimafia ma anche oggi ì carabinieri hanno rinunciato a penetrare l'Aspromonte dove, impuniti, vivono duecento latitanti. Si sono attestati sulle strade asfaltate. Controlli e posti di blocco: nessun risultato. Funzionari attenti e ufficiali esperti descrivono la piccola casbah che è a nord della città; tratteggiano, nei fianchi scosesi e nella vegetazione fitta, le difficoltà della montagna. «Facciamo il possibile », ripetono sconsolati. Incerti, si interrogano sul ruolo della magistratura. A Reggio, con la rassegnazione, domina l'impotenza e il clima romano di vigilia non ricarica entusiasmi spenti da anni. Dalla capitale giunge notizia che il Consiglio superiore della magistratura decide un esame attento sull'operato di alcuni giudici, ma nessun fremito anima i tribunali di Reggio, di Locri e di Palmi: ci sono nell'inchiesta il procuratore della Repubblica Bellinvia e il giudice istruttore Delfino. Una vecchia storia di fascicoli scomparsi, ma nulla muta nel tribunale di Reggio. A Siderno i sindaci della fascia ionica meridionale si riuniscono nella sala consiliare. Nasce, a Siderno, un comitato antimafia ma Saverio Amorini, che in Calabria esamina con l'attenzione del sociologo la piaga della regione, teme un « nuovo rituale vuoto». Ricorda la grande manifestazione dell'estate passata, a Taurianova, quando sul palco eretto contro la mafia comparvero volti noti di assessori e di consiglieri che qui tutti dicono legati alle cosche. Ecco il dramma della città che nessuno nasconde. Qui tutti sanno chi sono i mafiosi, quali le loro zone di influenza, quali le divisioni e le specializzazioni nell'industria del crimine. C'è un giovane pretore, Vincenzo Macrl, che non tenta chiusure corporative e, sconsolato, ammette che la magistratura non è in grado di combattere le cosche perché la mafia è legata al potere. Cita gli appalti, la speculazione edilizia e le collusioni negli enti locali che qui sono note. Non sono più di una dozzina le grandi famiglie che in questa provincia detengono il potere occulto o palese. Per conoscere la geografìa delle cosche non c'è bisogno di rivolgersi a Gerolamo Celona che guida con decisione la Criminalpol di Reggio Calabria. Tutti sanno che il nome dei Piromallo fa paura a Gio¬ ia Tauro e che quello dei Di Stefano domina il centro di Reggio. Pino a qualche tempo fa i rapporti tra le due famiglie erano ottimi. Si sono incrinati quando i Di Stefano sono comparsi nel dossier dell'assassinio di Occorsio e nell'istruttoria del fascista Concutelli. « Ora non vanno più d'accordo, dicono in questura, e questo è un buon segno ». Altro nome, quello dei Nirta. Giorni fa i due fratelli che da San Luca, in Aspromonte, controllano interessi vastissimi sono stati spediti al soggiorno obbligato: il primo ad Ustica, il secondo a Favignana. «Ma nulla cambia, dice un funzionario di polizia; ad amministrare per loro conto è appena rientrato Antonio Nirta, il figli'- trentenne di Francesco, che lia appena concluso il soggiorno a Prosinone ed è ora lui a tenere il potere ;>. Questi i grandi personaggi. Poi gli altri, minori, ma non meno decisi: gli Ursini e i Mazzaferro si disputano il primato per Gioiosa. A .Siderno impongono la propria volontà i Commisso mentre i Cordi comandano a Locri. I Morabito stanno ad Africo e a Bova regnano gli Scriva. Poi ci sono i personaggi minuti: è la nuova mafia, agguerrita e spietata, che terrorizza i centri più piccoli e tenta, con i rapimenti da trenta o da cinquanta milioni, di affermarsi nel quadrilatero che va da Cosoleto a Sinopoli, da Sant'Eufemia a Oppido con il record di venti sequestri in un raggio di otto chilo¬ metri. E' una mafia nuova che imita l'anonima sequestri. Si accontenta di milioni, procede con metodi rozzi nel tentativo di prepararsi ai subappalti dell'autostrada che dovrà collegare la costa ionica al Tirreno. Tutti sanno. Tutti, rassegnati, accettano l'imposizione mafiosa che ora, nella crisi che stringe il Mezzogiorno, torna a colpire settori che pure sembravano dimenticati: la piccola azienda agricola, l'artigianato. A Cosoleto, in casa del dottor Luppino, che ha avuto il figlio mutilato dai rapitori, un giovane possidente di Gioia Tauro, terrorizzato, l'altra sera affermava: « Qui tutti pagano la tangente: a Gioia, anche il barbiere versa diecimila lire ogni settimana e gli stessi operai che lavorano alla costruzione del porto sono costretti a introdurre, ogni giorno, un numero di gettoni già stabilito nelle macchinette del caffè automatico ». Francesco Marra, segretario provinciale della Cisl reggina, afferma con decisione che all'interno delle aziende i lavoratori non avvertono il fenomeno mafioso. Quello dei gettoni del caffè sarà un caso ma il nodo non è questo. Resta che « tutti subiscono l'oppressione in silenzio e che la mafia, in provincia di Reggio, ha una presenza articolata sul territorio ». Saltano i negozi con il tritolo, vanno in aria le auto. Marra si domanda: «Come mai questi negozi riaprono ed hanno, infine, vita tranquilla? Come mai i professio¬ nisti riacquistano le automomili e poi più nessuno le tocca? ». La risposta, a giudizio del sindacalista, è una: « Accettano di pagare, come gli altri, senza più ribellarsi ». La settimana passata Marra e gli altri sindacalisti della provincia sono stati chiamati dal questore della città. « Ci ha detto che era preoccupato, racconta, ma, certo, polizia e carabinieri poco possono fare ». Ritiene che lo Stato non è in grado di intervenire contro la mafia: le forze di polizia, per quanti sforzi facciano, non hanno conoscenze sufficienti né mezzi adeguati. D'altra parte la magistratura, quando non apre spazi alla collusione, non condanna perché non ha le prove dei delitti. « E' un circolo vizioso, dice il sindacalista, che può essere interrotto soltanto con una decisione di indirizzo politico ». Traccia due casi emblematici: tremila dipendenti nell'ospedale civile di Taurianova per trecento posti letto; tre carabinieri a Cosoleto dove già due sono stati i sequei stri. « Ecco le disposizioni, dice, ecco da una parte il parassitismo e dall'altra il disinteresse dello Stato: venga allora il ministro dell'Interno in Calabria, venga Cossiga a vedere: si renderà conto di quanto accade, senza commissioni di inchiesta, senza leggi speciali. Si può fare molto: è necessaria però una volontà politica ferma e decisa. In Calabria non c'è più tempo: che si affrettino». Francesco Santini