Selinunte, il gigante caduto di Lorenzo Mondo

Selinunte, il gigante caduto RISORGERÀ IL COLOSSALE TEMPIO DI ZEUS? Selinunte, il gigante caduto L'edifìcio, ridotto in frantumi, fu tra i monumenti mirabili della Sicilia greca - L'archeologo Giorgio Gullini si dice disposto a un restauro scientifico - Affiorano intanto le testimonianze di un'alta tecnologia L'idea, nata tra pochi spe- i cialisti e studiosi, ha trovato \ eco nei giornali, comincia a interessare gli ambienti ufficiali, va avanti nonostante diffidenze e contrasti. Se ne è fatto divulgatore, tanto autorevole guanto disinteressato, uno storico come Rosario Romeo: è tempo di restaurare il tempio G di Selinunte, il più grande della collina orientale e uno dei più grandi dell'intera architettura greca insieme con il Didimeo di Mileto, l'Artemision di Efeso e l'Eraion di Samo. E' un'occasione per la cultura italiana, troppo a lungo si è indugiato nel restituire alla Magna Grecia una delle sue più ardite e suggestive realizzazioni. A questo discorso, nessuno probabilmente batterebbe ciglio, se il tempio che un giorno dominava con la sua mole superba l'acropoli della città siciliana non fosse oggi ridotto a una enorme frana, con pochi spuntoni di colonne mozze. Subito si addensano, sulla superstite chiarità magnogreca, nubi prosaiche: vengono fuori le preoccupazioni per i costi, finanziari ed estetici, del lavoro; si addita il magro risultato otte- I mito con il restauro del tempio E, messo in piedi nel \ 1956 con l'aiuto del cemento armato e che già mostra la volgarità delle ferree stampelle. Andiamo allora a sentire Giorgio Gullini, indicato come l'uomo della situazione, il possibile realizzatore dell'impresa. Nell'istituto di archeologia, all'ultimo piano dell'università di Torino, coltiva esatte passioni mediterranee posando l'occhio sulle mediocri emergenze della pianta cittadina, la Mole Antonelliana quasi gli entra dai vetri. Studioso di fama internazionale, il professor Gullini dirige in Iraq una missione dell'università di Torino, ha ottenuto che venisse affidato all'istituto italo-iracheno di Bagdad il restauro di Babilonia. E' dal 1970 che I j ! I i studia scientificamente, con \ I \ l suoi allievi, le rovine di Selinunte: « E' merito di Vincenzo Tusa, sovrintendente alle antichità di Palermo, aver dato vita per Selinunte a una grande collaborazione internazionale, impegnando me per l'architettura e il francese Roland Martin per l'urbanistica. Ogni anno si svolge una campagna di studi. La sovrintendenza, poi, ha iniziato in proprio a scavare l'abitato della città arcaica ». Esiste dunque un ambizioso progetto che abbraccia l'intera Selinunte, ipogea e diruta. Gullini spiega tanto interesse rifacendosi alla vita splendida e breve della città, alla sua particolare funzione di avamposto greco tra i cartaginesi e gli elimi, al mistero della sua decadenza e scomparsa. Poche le notizie letterarie che la riguardano, bisogna cercarle nella Guerra del Peloponneso di Tucidide, là dove si narra, con cadenze di grandiosa torturante marcia fuI nebre, la sconfitta del corpo j di spedizione ateniese che a! vrebbe dovuto assoggettare I le città doriche della Sicilia: Siracusa, Selinunte, Camarilla. Nel racconto dello storico, fu proprio Selinunte il pretesto della guerra, fu contro le sue presunte prevaricazioni che Segesta chiese aiuto ad Atene. La città era stata fondata nel 628 avanti Cristo come subcolonia di Megara Iblea: munita di due porti, diventò il grande emporio della Sicilia non greca, il naturale mercato della fertilissima valle del Belice. Nel 480 Gelone di Siracusa riportò sulle rive del fiume Imera una stupefacente vittoria contro i cartaginesi: Selinunte, già filopunica, vide affermarsi entro le sue mura il partito filoellenico che la costrinse all'isolamento. Nel 409, amaro contrappasso, fu distrutta dai cartaginesi, ma risorse, e per tutto il quarto secolo visse in un'orbita greco-cartagi- nese, riscoprendo la sua antica vocazione: con la prima guerra punica, senza che intervenissero fatti traumatici, non ebbe più storia, si spense lentamente. Ci fu lo sconvolgimento della conquista romana, il turbato equilibrio insulare e mediterraneo, ma Gullini paria anche delle possibili cause ecologiche che condannarono alla perdizione e alla dimenticanza, con Selinunte, le fiorenti città greche dell'Italia meridionale e della Sicilia. « Bisognerebbe stabilire — dice — quando arrivò la malaria. La malattia si diffuse per l'Europa al seguito dei soldati di Alessandro Magno ». La stagione dei templi cade a Selinunte nella seconda metà del VI secolo. Le grandi città dell'Occidente, orgogliose della loro potenza e ricchezza, della loro pressoché assoluta autonomia, rivaleggiano con la madrepatria. « Tra l'altro — spiega Gullini — sono edifici in cui la grande cella a doppio ordine di colonne, contenente il sacello, appare scoperta. E' la risposta della Sicilia alla moda dei templi orientali, della Ionia e dell'Asia Minore. Ma essendoci botteghe d'arte assai sperimentate, si arriva ad esiti originalissimi, di valore creativo. Come nel colossale tempio G (8 colonne sulla fronte e sul retro, 17 sui lati lunghi) di stile dorico e dedicato presumibilmente a Zeus, uno degli edifici più affascinanti dell'architettura greca ». Precisa a questo punto che l'anastilosi (il restauro, letteralmente il raddrizzamento delle colonne) così come fu effettuata nel tempio E, costituisce « un deterrente » per analoghe operazioni. Tra l'altro, alla base delle colonne si gettò del calcestruzzo che ha reso più difficoltosa l'esplorazione dei resti preesistenti. Ad esempio, sotto il tempio E si è potuto scoprire l'intero tetto dì un tempio più arcaico; e si è ritrovato, in cinquecento frammenti, uno stupendo cratere, con scene di giocatori che gettano i dadi, con Ettore che saluta Andromaca alle Porte Scee... « La grande pittura greca è quella vascolare, e non soltanto perché l'altra è pressoché scomparsa. Del resto, uguale era la piattezza del colore, analoghi i problemi che la pittura parietale doveva risolvere... ». Ma restando al tempio G, è possibile tecnicamente il restauro? Quali i limiti di un recupero? « L'impresa è fattibile. Certo non basta rimontare i pezzi, bisogna restituirli alla loro giacitura originaria, ricreare attraverso un preliminare rilievo fotogrammetrico quell'insieme di correzioni ottiche introdotte dall'artista nella struttura del tempio per renderne pieno l'apprezzamento. Salvaguardare nel limite del possibile l'ordine matematico al quale i greci, unici in questo, vollero dare tangibile evidenza; attraverso una tensione che rende così drammatica la loro architettura, in apparenza così calma e serena ». Gullini non si nasconde i rischi e gli incerti del lavoro, li ha già soppesati. «Varrebbe la pena anche soltanto risistemare i primi rocchi delle colonne. Hanno un diametro di m. 3,60, sono alti quattro metri (le colonne del porticato interno sono monolitiche) e già basterebbero a creare una grande suggestione spettacolare ». Ha parlato con amici del Politecnico. Ci vogliono uno o più apparecchi di sollevamento che non ledano i rocchi (ciascuno pesa sulle trenta tonnellate), dei tecnici a tempo pieno. Al resto provvederebbero tranquillamente lui e la sua scuola. E' un impegno lungo, rìchìe- | de quattro o cinque anni, ma non un prezzo così mostruoso come è stato detto: « Anche se, per il momento, dire cinque milioni o cinque miliardi è ugualmente avventato ». Oltre il valore scientifico del restauro, non va trascurato il forte richiamo turistico, Selinunte diventerebbe più che mai una tappa obbligata, come Paestum, come la Valle di Agrigento. Sa bene, Gullini, che il suo amico Tusa è perplesso sull'opportunità di rimuovere i ruderi, di modificare un paesaggio cui il tempo ha conferito una irripetibile individualità. « Tusa ama psicologicamente il gigante abbattuto. E' una posizione che capisco ma non condi¬ vido. Sono ideologicamente contrario al culto romantico delle rovine. Una testimonianza umana va letta, chiarita e comunicata agli altri. Qui, poi, non si tratta di ricostruire a tutti i costi. Andiamo a vedere, con la convinzione che quel che si può alzare, si può conservarlo anche meglio. Si tratta di recuperare una godibilità, non di creare un falso». L'area dei templi, debitamente vagliata, offrirà informazioni di prima mano sulla tecnologìa del tempo. Sotto il tempio E si è trovato il crogiuolo in cui i cartaginesi fusero le carpenterie del tetto. Si è accertato qui, per la prima volta nella storia, l'impiego dell'ulivella, lo strumento che serviva ad agganciare dall'interno i blocchi delle colonne per metterli in piedi. Ed esistono ancora, a Cusa, le cave che alimentarono la secolare fabbrica dei templi di Selinunte: che furono undici nel periodo della massima fioritura, tra il 560 e il 450 a.C, un record per tutta la grecità. Gullini, attraverso calcoli e ricalcoli, ha accertato che il tempio E costò l'equivalente di 6 miliardi di lire. Ma cosa si troverà sotto il tempio G? E' possibile che la colata di rocchi e di detriti custodisca qualche tesoro? Gullini sorride e fa un ampio gesto con la mano armata di pipa: « E' difficile, no? Il tempio rimase in piedi a lungo, non officiato, per così dire: fino al terremoto del 728 che lo fece crollare sigillando, da allora, la cella. Chissà, potrebbe trovarsi là sotto qualche testimonianza del sacello. La dimensione gigantesca del tempio ha rappresentato anche la sua residua difesa ». Per un istante, dietro le sollecitazioni profane, sembra velarsi, più che incrinarsi, l'habitus illuministico di Gullini, la speculazione intellettuale cedere al fascino dell'Avventura. Lorenzo Mondo :|.-:>' 'MsSKi nn.» Selinunte. Il tempio F e, in secondo piano, il tempio Ci: si progetta ai restaurano c, aìiueno in parte, rialzarlo