Sparisce l'«Herald Tribune» da molte edicole di Belgrado di Paolo Garimberti

Sparisce l'«Herald Tribune» da molte edicole di Belgrado Chiusa la parte pubblica della Conferenza Est-Ovest Sparisce l'«Herald Tribune» da molte edicole di Belgrado Per un articolo sulla moglie di Tito (inalata?) - Ieri ha parlato il rappresentante italiano (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, 7 ottobre. Mentre al Sava Centar si discute su come perfezionare l'applicazione degli accordi sottoscritti due anni fa a Helsinki, le autorità jugoslave hanno compiuto oggi un gesto che contraddice uno dei prìncipi fondamentali della «Carta di Helsinki», quello sulla Ubera circolazione delle informazioni. Il quotidiano International Herald Tribune stampato congiuntamente a Parigi dal New York Times e dalla Washington Post, è stato ritirato dalle edicole nelle prime ore del mattino perché recava in prima pagina un articolo sulle voci, che circolano da qualche tempo a Belgrado, sulla moglie di Tito. La signora Jovanka non è stata vista in pubblico da alcuni mesi e, contrariamente alle consuetudini, non ha accompagnato il marito nel recente viaggio in Urss, Cina e Corea del Nord. Questa lunga assenza dalla vita pubblica viene spiegata a Belgrado, dalla maggioranza delle fonti, con ragioni di salute. La signora Jovanka si sarebbe sottoposta a una intensa cura dimagrante che avrebbe debilitato il suo sistema nervoso. Secondo alcune voci, la moglie di Tito sarebbe ora ricoverata in una casa di cura all'estero, in Svizzera o in Inghilterra. Altre fonti, più fantasiose, parlano invece di una cospirazione politica nella quale sarebbe stata coinvolta la «prima donna» di Jugoslavia. Ma sembra assai improbabile che Jovanka, da tanti anni seconda compagna di Josif Broz, abbia tentato improvvisamente di imitare la moglie di Mao. Nell'articolo, pubblicato nell'edizione di ieri del quotidiano (i giornali stranieri arrivano a Belgrado con un giorno di ritardo), Z'International Herald Tribune riferiva tutte queste voci. Il provvedimento censorio, attuato con maggiore sollecitudine nelle edicole frequentate dai diplomatici e giornalisti accreditati alla conferenza, è scattato stamane, quando le copie dei giornali erano già nelle edicole. Sono stati gli stessi edicolanti ad informare con molto candore gli acquirenti che Z'Herald Tribune era stato ritirato «perché aveva un articolo che non è piaciuto». La vicenda è diventata l'argomento del giorno nei corridoi della Conferenza, proprio perché tocca uno dei prìncipi della «Carta di Helsinki» il cui stato di applicazione è il tema della conferenza belgradese, e ha vivacizzato una giornata piuttosto fiacca nel corso della quale si sono esauriti gli interventi programmati. Il sorteggio in base al quale era stato stabilito, sin dalla riunione preliminare di luglio, l'ordine degli interventi, aveva messo ieri, gli uni dopo gli altri, sovietici e americani. Oggi è toccato, tra gli altri ai rappresentanti del Vaticano, monsignor Silvestrini, e dell'Italia, il sottosegretario agli Esteri Luciano Radi. Nei due anni trascorsi tra Helsinki e Belgrado, ha detto Silvestrini, vi è stato, rispetto al passato, maggiore facilità nel movimento dei religiosi tra i Paesi europei, e nell'invio di testi religiosi e liturgici «a comunità cattoliche, che nshccldmnpcvr non potevano finora né farli stampare né importarli». Ma, ha aggiunto l'inviato del Vaticano, «più arduo, delicato e complesso è un discorso sulla libertà religiosa all'interno degli stati: gli appelli, le testimonianze, le richieste continuano a moltiplicarsi, talora pressanti e angosciose, perché la situazione in varie regioni è ancora lontana da una vita normale di sufficiente libertà». Il discorso dell'Italia si è uniformato alla linea degli altri Paesi della Comunità europea, evitando però gli spunti polemici sulla questione dei diritti civili presenti nell'intervento degli olandesi o dei francesi. Radi si è limitato a dire che «alcuni progressi si sono registrati nei contatti fra gli individui, ma vasto rimane ancora il terreno in cui una azione più aperta ed efficace potrà essere esplicata da tutti gli Stati partecipanti per eliminare gli ostacoli e le barriere purtroppo ancora esistenti». Definendo gli obiettivi che la. delegazione italiana si propone qui a Belgrado, RcccnlprièvlmzcdNCfddgpavs Radi ha detto: «Non siamo chiamati a riscrivere un secondo Atto Finale; siamo chiamati invece a confermarne la validità e ad agevolarne la futura applicazione (...) perché le lacune che ancora riscontriamo e le ombre che è dato intravedere non derivano dalla formulazione dell'Atto Finale bensì dalla sua mancata o incompleta attuazione». Con la seduta odierna si è conclusa la parte pubblica della Conferenza di Belgrado. Nelle prossime settimane (la Conferenza dovrebbe durare fino a Natale) i lavori, sia dell'assemblea plenaria che delle commissioni, si svolgeranno a porte chiuse. La segretezza dei dibattiti renderà più franca, forse anche più aspra, la discussione, soprattutto sulla questione delle violazioni dei diritti civili nei paesi dell'Est. Come ha detto stasera Arthur Goldberg, capo della delegazione americana: «Questo non è un tribunale, nessuno è sotto processo (...) ma noi non staremo zitti. Paolo Garimberti

Persone citate: Arthur Goldberg, Broz, Luciano Radi, Mao, Silvestrini