L'astronautica ci rende più ricchi

L'astronautica ci rende più ricchi VENTANNI FA IL PRIMO SPUTNIK APRÌ L'ERA SPAZIALE L'astronautica ci rende più ricchi Si discute sul costo enorme della gara spaziale, se ne teme lo sfruttamento militare • Ma essa ha prodigiosamente accelerato il progresso scientifico e tecnologico - Si attendono vantaggi ancor maggiori nel campo dell'energia come nella lotta al cancro L'«era spaziale» cominciata con l'assordante sorpresa del primo Sputnik il 4 ottobre 1957, ha ormai vent'anni. Chi voglia tracciare un bilancio di questo primo periodo astronautico che ha segnato il timido affacciarsi dell'uomo e dei suoi strumenti fuori della sua patria d'origine nel cosmo, può muovere da diversi punti di osservazione: quello strettamente tecnologico, quello economico, quello conoscitivo. Dal punto di vista strettamente tecnologico, ci si trova ad analizzare i progressi conseguiti non in una sola tecnica particolare, che sarebbe l'arte della propulsione a razzo (unico mezzo a noi noto, anzi l'unico teoricamente concepibile, per muoversi là dove non esiste atmosfera); occorre prendere in esame tutto ciò che è stato realizzato praticamente in quasi tutti i settori della tecnica, perché tutti hanno contribuito al risultato finale. Si devono quindi mettere in conto i passi avanti compiutisi nella chimica dei carburanti; nella metallurgia, che ha fornito leghe sempre più resistenti al calore ed al rapido cambiamento della temperatura e delle pressioni; nella concezione degli apparecchi di rilevamento dati e nella loro miniaturizzazione, indispensabile per non dovere sollevare in orbita pesi troppo elevati; nella biologia ed esobiologla, che hanno permesso di mettere l'uomo in condizioni di affrontare le sollecitazioni della gravità e la vita in assenza di peso, oltre che assicurarne la permanenza in piena salute entro abitacoli disumani e ristretti ai quali bisognava apportare i necessari rifornimenti di ossigeno, acqua e cibo «innaturale». Occorre notare i progressi nella tecnica della guida navigazionale (mirare la Luna è come colpire con una fucilata una monetina da dieci lire alla distanza di venti chilometri; figuriamoci poi «centrare» i pianeti più lontani), con la necessità di effettuare a comando da terra le opportune correzioni di rotta e connessi problemi di telemetria; nella costruzione di computers sempre più affidabili, compatti e «intelligenti» (senza calcolatori elettronici, senza transistor e senza radar non soltanto non avremmo le astronavi, ma nemmeno gli aerei supersonici); nell'elettrotecnica e nell'elaborazione delle fonti d'energia, dalle cellule solari ai minigeneratori di corrente al plutonio, indispensabili questi ultimi per alimentare gli strumenti di bordo anche a distanze così elevate dal Sole che i pannelli solari dispiegati a ventaglio fuori della navicella non sono più sufficienti (e sarebbe per esempio il caso dei Fioneers e dei Voyagers destinati a spingersi sino oltre l'orbita di Saturno). E altri passi avanti sono stati fatti nelle radio e video comunicazioni, che richiedono una potenza sempre maggiore per superare profondi abissi spaziali ed una tecnica sempre più raffinata nella codificazione degli impulsi, oltre ad una complessa rete di centri di ricezione a terra, sparsi in ogni punto del globo. Insomma, la tecnologia astronautica implica praticamente «tutte le tecnologie»; e questo, ovviamente, rende difficile una valutazione selettiva di ciò che è stato ottenuto in campo extra-astronautico da un particolare dipartimento o istituto di ricerca e poi «travasato» nell'industria spaziale e di ciò che è stato invece ottenuto ex professo, direttamente, in campo spaziale, con una commessa ad hoc ed una ricerca finalizzata per quello scopo preciso . Il secondo aspetto, sotto il quale si può valutare l'avventura spaziale, è quello economico. Specialmente da parte americana (da parte russa non possiamo dire nulla, perché certo in Unione Sovietica non verrebbe pubblicato un libro del tipo di II prezzo della Luna di Young, Silcock e Dunn nel quale le critiche agli «sprechi inconsulti» formano il tessuto connettivo) si è molto discusso sull'utilità di certe singole imprese spaziali, ad esempio il progetto Apollo per la discesa di due astronauti sulla Luna. I critici obiettano che la somma complessiva di oltre ventimila miliardi di lire richiesta per l'impresa voluta da Johnson e da Kennedy poteva essere spesa assai meglio. Anziché mettere a punto il gigantesco razzo Saturno 5, pesante come un incrociatore di medio tonnellaggio e costituito da un milione duecentomila pezzi — tutti di altissima tecnologia e da controllare uno per uno — e apprestare i famosi moduli di comando, di servizio e di discesa, e le tute e i cavi di sicurezza e la televisione portatile e tutto l'apparato per la risalita del Lem e il ricongiungimento in orbita, sarebbe stato più semplice fare come hanno proceduto i sovietici, limitare cioè l'esplorazione all'invio di laboratori automatici da terra, appunto sul tipo del Lunochod che se ne andò a spasso sulla superficie del satellite; e ciò perché l'osservazione telescopica e astronautìco-strumentale aveva già stabilito, sia pure senza assoluta certezza, sia la non esistenza di atmosfera e di acqua libera sulla Luna sia la estrema improbabilità di trovarvi esseri viventi anche allo stato di microrganismi. Qualche risparmio Gli strumenti, si diceva, possono fare tutto quello che avrebbe fatto l'uomo. Le somme risparmiate potevano essere destinate per sovvenire ad altre necessità: e qui ritorna in campo l'ipotesi, a nostro avviso piuttosto demagogica, che se si risparmia in un settore, appunto quello astronautico, si spenderà di più in altri settori, come la lotta contro il cancro, contro la povertà e cosi via. In pratica succede, assai spesso, che se non c'è una mobilitazione di intenti, ben precisa, per un certo scopo, se si abbandona una concen¬ trazione degli sforzi, non si fa altro. Gli avversari (che l'hanno avuta vinta) ribadivano che gli strumenti trovano soltanto ciò che sono stati istruiti a cercare, l'uomo non è programmato e in certe circostanze può vedere quello che gli strumenti non si sognano. Non è quindi vero che l'esplorazione strumentale potrebbe garantirci a priori i risultati che sarebbe lecito attendersi. In secondo luogo (questa è sempre la tesi dei «malati di Luna») era necessario dare all'America, il colosso dormiente in preda ad oscuri malesseri (contestazione, negri, Vietnam) una mèta comune verso la quale polarizzare tutti gli ideali e tutte le tensioni nazionali; e aggiungono che l'aavventura Luna» lia trasformato, con benefìci materiali che sarebbe illusorio pretendere dì calcolare, un'intera fascia degli Stati Uniti, la cosiddetta «mezzaluna caraibica» da Houston alla Georgia alla Florida, in un'area sorta exnovo di città e impianti dalle immense potenzialità industriali. In tutti questi discorsi, è doloroso affermarlo, c'è da una parte e dall'altra una certa malafede. L'ansia della ricerca pura, l'assillo di ampliare le nostre conoscenze, l'entusiasmo per la scoperta di qualcosa ben più grande dì un nuovo continente, connessi con il tentativo di aprirci la via verso altri pia¬ neti, sono certamente stati il movente che ha spinto a sognare, a calcolare, a meditare uomini come Konstantin Ziolkowski, che già alla fine dell'Ottocento indicava i modi per fuoruscire dalla Terra; o come l'americano Robert Goddard, sperimentatore maestro che riuscì ad ottenere (e sempre a sue spese, con sovvenzioni ridicole) duecento brevetti su motori, razzi, pompe; o infine come Hermann Oberth, che già nel 1923 dimostrava matematicamente che un razzo può volare nel vuoto e indicava la velocità e la quantità del combustibile necessario a un veicolo spaziale per viaggiare oltre l'atmosfera. Terribili missili Ma già con Wernher von Braun, inizialmente mosso sema alcun dubbio da un puro desiderio pionieristico, le cose cambiarono ben presto, prima ancora dell'avvento di Hitler al potere in Germania. Da Kunersdorf a Peenemuende, gli studi e le sperimentazioni per la V2 furono dettati da fredde considerazione militari. Dai giorni tragici della seconda guerra mondiale, la parola razzi vuol dire astronave, ma vuol dire soprattutto missile con o senza testata atomica. Ed esattamente un mese prima del lancio di Sputnik 1 i sovietici annunciavano, per bocca di Kruscev, di aver sperimentato con successo un missile intercontinentale capace di raggiungere qualsiasi punto del globo. Sputnik e megatoni andavano di pari passo. E' chiaro che da allora distinguere fra spese per ricerche spaziali e spese per il potenziamento militare diventava praticamente impossibile; e Inghilterra e Francia e Cina si ponevano su quella stessa strada. L'umanità sembra non voler progredire se non sotto l'assillo della distruzione. Altro punto di osservazione dal quale metterci per fare un bilancio di questi primi vent'anni di attività spaziale: quello della redditività dell'impresa. Anche questo è un discorso che si può fare soltanto in linea approssimativa; non tanto per la difficoltà già accennata di distinguere tra benefici tecnici ottenuti per realizzare le singole imprese spaziali e benefici conseguiti indirettamente da altre discipline, sia pure sollecitati dalla Nasa e dai governi, guanto perché si tratta essenzialmente di acquisizioni scientifiche pure, cioè staccate dall'utilità contingente. Le nuove conoscenze che abbiamo acquisito sul sistema solare, sulla sua origine e formazione, sullo spazio interplanetario e suoi campi magnetici e radiazioni, sulla struttura e composizione della Luna e sull'assetto e aspetto di Marte e di Venere, sul- la natura dei pianeti esterni, sugli asteroidi e le meteoriti, sulle stelle e sulle galassieìsole (nuove tecniche radiotelescopiche, astronomia degli ultravioletti, dei raggi gamma e X, dell'infrarosso) sono importanti — tanto per fare un esempio — quanto le ricerche di Dalton e di Gay Lussac sui gas e suUa struttura molecolare. La stessa ricerca fisica teorica studia e analizza i dati che ricava dai sempre più potenti acceleratori di particelle ed offre quindi contributi decisivi all'astrofisica stellare; ma ricava altrettanti dati da analizzare, e ne riceve altrettanto conforto, dalle nuove ricerche astronomiche sulle pulsar, sulle quasar, sulle Galassie di Seyfert, sui buchi neri. Osservazioni, queste, che un telescopio sulla Luna o anche soltanto in orbita circumterrestre al di sopra dei disturbi atmosferici ci permetterà di incrementare al di là di ogni nostra speranza. In poche parole l'astronautica ci permette di ampliare talmente le nostre ricerche che è lecito — direi, vista l'esperienza del passato, è tnevitabile — attenderci progressi tali, nella fisica pura, che sarebbe pazzesco non prevedere una conseguenza di scoperte derivate, tecnologiche, di portata per ora non immaginabile. Può darsi (il parere è dello scenziato della Nasa Pickering) che il problema dell'energia, per il quale tanto ci dibattiamo e per il quale aspettiamo come l'arca della salvezza il controllo dell'energia di fusione, che sembra non arrivare mai, venga un giorno risolto proprio da una scoperta di fisica pura «patrocinata» dall'attività astronautica. E così può darsi che la scoperta di microrganismi su Marte o su Venere o su un satellite di Giove, scoperta che non si può assolutamente escludere, ci dia l'avvio alla vittoria contro il cancro più di quanto non promettano le attuali ricerche specifiche negli istituti medici. Come scrisse ancora Pickering: «L'uomo si è costruito le ali. Chi non vuole le imprese spaziali, se le vuole tagliare di nuovo». Umberto Oddone