I potenti alla sbarra di Luca Giurato

I potenti alla sbarra NON SONO PIÙ INTOCCABILI GLI "UOMINI DI PALAZZO,,? I potenti alla sbarra Qualcosa comincia a cambiare: sia pure tra molte contraddizioni cade quella cortina di furbizie e omertà che divideva il potere dai comuni mortali - Ministri e alte personalità finiscono in aule giudiziarie - Catanzaro, Lockheed e Herbert Kappler Roma, 25 settembre. Tra una foto degli indiani metropolitani che hanno invaso Bologna e un'altra di una avvenentissima «sexy-hostess» arrestata per il «club» compiacente, alcuni giornali hanno pubblicato oggi una immagine davvero remota, che sembra sottratta a un vecchio salotto di una casa della buona bor¬ ghesia romana. E' l'immagine dell'onorevole Alberto Folchi, più volte ministro e sottosegretario, uno dei più popolari esponenti de degli Anni Cinquanta, «uomo — come titola giustamente "Il Tempo" — d'altri tempi». La circostanza che ha provocato il ritorno sui giornali dell'immagine di uno degli uomini che fu più vicino a Gronchi è, purtroppo, tristissima: Folchi è morto ieri a Roma all'età di 80 anni. Era scettico, disincantato, assai simpatico. Amava i cavalli ed il potere. Meglio: pochi come lui erano riusciti ad andar d'accordo con gli uomini che hanno gestito il potere prima del centro-sinistra, sema mai contrastarli, badando bene di rimanere sempre nella loro ombra senza però farsi completamente oscurare, come spesso accade a chi ha scelto il ruolo, così diffuso nel mondo politico romano, di ascoltare, eseguire, scomparire, tacere. Folchi ebbe il suo primo incarico ministeriale nel luglio del '55, come sottosegretario agli Esteri del governo Segni. Rimase alla Farnesina per cinque anni, con i ministeri Fanfani, Zoli e ancora Segni. Tambroni, l'uomo che accettò i voti neo-fascisti e portò l'Italia sull'orlo della guerra civile, lo volle a palazzo Chigi come sottosegretario alla presidenza. Subito dopo la tragica esperienza tambronìana, Fanfani lo promosse ministro dello Spettacolo. Quindi, con il centro-sinistra, cominciò anche il suo lento declino politico. Declinava con lui, più lentamente, e forse con meno stile, anche una certa Italia politica, caratterizzata da personaggi che avevano rivelato un fortissimo gusto del potere, un nepotismo sfacciato, e un affarismo così spregiudicato da provocare a volte forti dilemmi in qualche magistrato o alto ufficiale dei Carabinieri. Non che questi personaggi, ed i bacilli di cui sono portatori, siano oggi scomparsi. Tutt'altro. Alcuni resistono ed operano, in una dedizione così totale all'arroganza del potere da assumerne in pie- I no l'identità. Altri, meno arroganti o forse solo più fortunati e abili, sono riusciti a sfuggire, almeno per ora, ad ogni concreta identificazione. Ma sino a quando? E' questo un interrogativo più che mai d'obbligo a un anno abbondante dal 20 giugno del '76, da quelle elezioni che, bene o male, tra mille contraddizioni e ancora tante «furbizie di palazzo», un'aria nuova l'hanno portata davvero, piaccia o non piaccia a chi rimpiange o addirittura vorrebbe ripristinare, in edizione rivista ed aggiornata, i tempi in cui Folchi camminava discreto e premuroso a volte dietro Gronchi e donna Carla, a volte dietro Zoli o Tambroni. Allora, ed anche molti, troppi anni dopo, gli scandali, le responsabilità, di alcuni polìtici e di alcune personalità intriganti dei corpi separati dello Stato non raggiungevano mai né l'aula di una corte d'assise né quella dell'assemblea di Montecitorio; le eccezioni si contano sulle dita di una mano. Oggi, o comunque da qualche tempo a questa parte, scorrono sotto i nostri occhi fatti a volte drammatici, a volte solo grotteschi e clamorosi, tutti tesi comunque a confermare, in un crescendo continuo, che qualcosa comincia a cambiare anche nel paese degli «omissis», dei processi che durano anni e dei ministri che lasciano per raddoppiare. Facciamo un rapidissimo «excursus». Prima, i fatti di più stretta attualità. Domani, a Catanzaro, il processo per piazza Fontana riprende con la «sfilata dei generali» — dopo quella dei ministri — nel ruolo, per ora, di testimoni. In un'altra parte di questo giornale. Guido Guidi spiega con la consueta chiarezza e competenza i dettagli della vicenda. Noi ci limitiamo a ricordare che, tra le altre, è attesa la deposizione di Vito Miceli, ex capo del «Sid» ed oggi deputato missino, il quale si è già clamorosamente scontrato con Tanassi e ha già anticipato rivelazioni su Andreotti. Saranno inoltre ascoltati: il generale Francesco Terzani, ex vicecapo del Sid; Antonio Alemanno, capo dell'ex ufficio sicurezza; l'ammiraglio Giuseppe Castaldo; l'ex capo di Stato maggiore della Difesa Eugenio Henke; il generar le Saverio Malizia, viceprocuratore generale militare e consulente giuridico del ministro della Difesa. Si accusano Se a Catanzaro si annunciano diverse giornate «clou», non si può dire che quelle appena trascorse siano state di «routine». Prendiamo, tra i tanti, qualche titolo di giornale: «Davanti alla corte d'assise di Catanzaro Andreotti mette Miceli sotto accusa»; «Era intollerabile che il Sid facesse rendere al ministro una dichiarazione falsa in Parlamento» (venerdì 16 settembre). «Drammatica udienza a Catanzaro sulla riunione dei ministri che decise di coprire la spia Giannettini»; «Rumor accusato di falso»; «L'ex presidente del Consiglio sotto inchiesta al processo di Piazza Fontana»; «Il p.m. ha annunciato in aula l'apertura del procedimento penale per falsa testimonianza; troppe le contraddizioni con Andreotti e l'ex ministro della Giustizia Zagari» (sabato 17 settembre). «Tanassi-Miceli, una rissa; oggi la sentenza per Rumor»; «L'ex ministro della Difesa e l'ex capo del servizio segreto si sono dilaniati in un drammatico confronto davanti alla corte d'assise, scambiandosi accuse e contraccuse e smentendosi a vicenda» (domenica 18 settembre). Come si vede, non solo i potenti stanno andando alla sbarra, ma si accusano tra di loro pronunciando «verità» inconciliabili. Tra Tanassi e Miceli, è cerio che uno dei due mente; solo l'immunità parlamentare li salva dall'arresto per falsa testimonianza. Come si vede, con il mito dell'impunità sta a poco a poco venendo meno anche una parte di quell'«apparato» di omertà, di silenzi e solerte efficienza che immunizzava i potenti, finendo per renderli quasi sempre così diversi, di fronte alle difficoltà, dai comuni mortali. E non c'è solo Catanzaro. Troppo fresche, nella memoria di tutti, sono le drammatiche giornate del processo Lockheed (Rumor, Gui, Tanassi) e quelle, finite purtroppo con un compromesso grottesco, del «caso Kappler». Per tanti altri «casi», poi, non resta che attendere, senza facili entusiasmi, ma anche senza abbandonarsi a pessimismi che, per alcuni, sembravano così inevitabili da assumere valori storici. Qualcosa sta cambiando ed uno dei primi ad accorgersene è stato proprio Giulio Andreotti, uno degli uomini politici più abili ed intelligenti dell'Italia repubbli- cana. Ma allora, qual è l'effettivo potere di un presidente del Consiglio? I potenti sono davvero potenti? gli chiese l'agosto scorso Antonio Gambino sugl'Espresso. «Su questo tema si hanno idee molto approssimative — rispose Andreotti — spesso mi sembra ii partecipare ad una corsa automobilistica molto dura avendo a disposizione una macchina non nuova, anzi un po' scassata. E questo deriva in gran parte dal fatto che lo strumento che abbiamo a disposizione, vale a dire lo Stato, è invecchiato e insufficiente». Non sbaglia Fiutando i tempi, forse Andreotti esagera; dì certo non sbaglia. Per non aver fiutato i tempi, e per tante altre ragioni, hanno invece sbagliato tanti suoi colleghi di governo e di sottogoverno, dai tempi remoti del buon Folchi con la sigaretta eternamente tra le labbra a quelli, recentissimi, di chi va davanti ad una corte d'assise ad escludere fatti inevitabili. «Oggi — scriveva due anni or sono Pasolini nel non dimenticato articolo delle lucciole — in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé». Per il grande, sfortunato scrittore, la «spiegazione», come lui stesso disse, «era semplice»; per altri è più complessa; tanto, che è ancora ben lontana da esser tale. Luca Giurato