Dietro il culto dell'ordine di Tito Sansa

Dietro il culto dell'ordine LA GERMANIA SCOSSA DALL'ONDATA DI TERRORISMO Dietro il culto dell'ordine Per vent'anni milioni di tedeschi hanno considerato la loro patria come un esempio di democrazia parlamentare dove dominano disciplina e un alto tenore di vita - Ma il massacro di Colonia è stato un brusco risveglio - Il dilemma di Bonn (Dal nostro corrispondente) Bonn, 11 settembre. «Ordnung muss sein» (Ci deve essere ordine) è una delle massime che i tedeschi imparano fino dall'asilo infantile, facendone un culto che li accompagna per tutta la vita. Ordine significa per loro senso dello Stato, obbedienza, disciplina e ammirazione per tutto ciò che garantisce quest'ordine. I poliziotti, per esempio, in Germania si chiamano «Freunde und Helfer» (amici e soccorritori J; il bravo cittadino è felice di collaborare con loro, è per lui un vanto e un onore l'avere denunciato il «disordine» di altri, che hanno violato uno dei mille «Verboten» che limitano la libertà. Omertà è una parola sconosciuta nel vocabolario tedesco, la delazione è all'ordine del giorno, anche per infrazioni di minima importanza, purché l'ordine sia garantito. Per vent'anni milioni di tedeschi — e milioni dì persone all'estero, piene di ammirazione — hanno creduto che la Germania fosse la patria dell'ordine, il Paese da prendere ad esempio come democrazia parlamentare nella quale sono stati disciplinali i conflitti sociali (perfino lo sciopero è ordinato, viene proclamato soltanto dopo un referendum degli interessati), dove regna un tenore di vita alto e in continua espansione, basato sulla laboriosità e la disciplina dei cittadini, sordi ai richiami dei partiti di estrema, con un solido piedestallo parlamentare di democristiani, socialdemocratici e liberali, e dalla Germania so- no state impartite negli ul- \ timi anni lezioni e moniti ai Paesi «disordinati», Italia, Gran Bretagna, Francia in primo luogo, dove i lavoratori scioperano, le sinistre avanzano, i terroristi fanno scoppiare bombe, i banditi rapinano le banche o seque- strano persone Ora — di colpo — i tedeschi hanno scoperto che la Germania non è diversa, non è meglio degli altri Paesi verso i quali veniva alzato il dito ammonitore. Il massacro di lunedì scorso a Colonia, dove quattro agenti di scorta al «boss dei boss» Hanns Martin Schleyer sono stati crivellati per strada da più di trecento proiettili, è stato per milioni di tedeschi un brusco risveglio. Nel ricostruire la strage, la Welt am Sonntag intitola oggi «Le tre ore che hanno cambiato la Repubblica ». Qualcosa invero è cambiato, con le raffiche di Colonia, nel volto della Germania federale, in preda a uno sde- i gno impotente e paralizzata ! aalla paura. ! i lWIoiw» naeonta ! ITlaDO pcSalllc I Anziché esaminare le cau- ; oo „~nf„-j„ „ T . , ! se Profonde e remote del di | sordine portato nel Paese da ; un manipolo di fanatici as j sassini, i tedeschi preferisco no pensare ai mezzi con cui ristabilire l'ordine. Come i . 1 medici tedeschi sono in tutto \i il mondo i più propensi ad amputare le gambe dei fumatori incalliti (ne vengono sacrificate in media diecimila l'anno) anziché curare ì disturbi circolatori con medicamenti, così la gran parte dei cittadini vuole amputare il bubbone dell'estremi- 1 smo politico. Due cittadini su tre sono favorevoli al ripristino della pena di mor- \ te, tre su quattro vogliono | il varo di leggi speciali, per emarginare gli estremisti, non soltanto quelli assassini, ma anche quelli che la pensano diversamente. Leditto sui radicali, che dal 1972 vieta l'accesso ai servizi pubblici agli appartenenti a partiti di estrema, viene ritenuto insufficiente, alle autorità viene rimproverata «troppa tolleranza». Eppure facendo un riesame storico degli avvenimenti dell'ultimo decennio si scopre che sono state proprio le leggi restrittive che hanno portato all'isolamento di co- \ loro che volevano esprimere liberamente le proprie opinioni. L'intolleranza ufficiale (dovuta a motivi elettorali, per compiacere alle masse) ha avuto sui giovani intellettuali due effetti: la maggioranza ha chinato il capo, tace o sussurra («con le finestre chiuse» mi dice una giovane bibliotecaria) si adatta per il quieto vivere, una minoranza rifiuta di assoggettarsi, protesta e si ribella nelle università, affrontando la diffidenza dei vicini, i controlli della polizia e anche la disoccupazione. «Siamo come il nocciolo di una ciliegia tenuta tradue dita — mi spiega un organizzatore di studenti dell'Università di Bonn, pregandomi di non fare assolutamente il suo nome perché potrebbe perdere il posto — . \ s*^cciaU^1.,n0C"O,1° a a o r e u o l e a i schizza via». Quelli della banda di Andreas Baader, chiamata «Frazione armita rossa» (Raf) e quelli del «Movimento 2 giugno» sono « schizzati via». Anziché cercare di mutare l'ordine con mezzi democratici, con la discussione, con la propaganda, hanno sc2lto la via senza speranza delle armi e del terrore. In preda alla frustrazione, pervasi dal nichilismo, giovani di buona famiglia non hanno trovato altra via che quella della furia distruttrice e assassina, senza ideali, per combattere una società che non ha altri ideali che quelli del benessere materiale (la casetta, l'automobile, le ferie) da difendere con l'ordine, a spese del silenzio. Il terrorismo tedesco — a differenza di quello palestinese o irlandese o anche forse italiano che hanno obiettivi precisi —, è una vuota manifestazione di follia sanguinaria, il polo opposto del culto dell'ordine, l'altra faccia — si potrebbe dire — dell'anima tedesca, che non conosce compromessi. Tedeschi al cento per cento sono anche i giovani uomini e donne della Raf e del Movimento 2 giugno, perfetti nell'organizzazione, spietati nell'esecuzione. Anche tra loro, nemici dell'ordine, è sempre regnato l'ordine. Prima che si lasciassero catturare (in mutande, con le mani alzate, anziché morire in combattimento) quelli della banda di Baader avevano organizzato un parco macchine di 120 vetture e una rete di oltre 200 appartamenti in tutto il Paese, officine per falsificare documenti, costruire armi e bombe. «Ordnung muss sein» anche nel crimine, neppure Bonnie e Clyde, neppure levittime della strage dì SanValentino furono crivellatida tanti colpi andati a segno come i quattro poveri agentidi Colonia. Ammirazione peri terroristi vi fu anche nel febbraio di due anni fa quando sequestrarono il capo dei democristiani berlinesi Peter Lorenz, riuscendo in cambio della sua vita a ottenere la liberazione di cinque loro compagni. Benché odiati, i rapitori piacquero perché dimostrarono una straordinaria efficienza, perché riuscirono senza spargimento di sangue a raggiungere l'obiettivo che si erano prefisso. Vi fu anzi perfino un sospiro di sollievo che un gruppo di pericolosi estremisti fosse stato allontanato dal Paese. E un certo compiacimento che il «duro» Helmut Schmidt avesse ceduto, dimostrando all'estero che la vita del singolo ha la precedenza sulla ragion di Stato, sull'ordine a tutti i costi. Il ritratto del «brutto tedesco» inflessibile e non disposto ai compromessi era stato ritoccato. Il massacro (forse inutile) dei terroristi palestinesi del villaggio olimpico di Monaco, il 5 settembre 1972 all'aeroporto di Fuerstenfeldbruck, aveva confermato agli occhi del mondo che il tedesco non conosce mezze misure. E i tedeschi ne avevano sofferto ». Ora la situazione è di nuovo mutata: la polizia è impotente, il manipolo di terroristi è diventato battaglione (secondo il ministro degli Interni Maihofer gli «attivi», disposti a tutto, sarebbero circa 1200), l'ordine è di nuovo minacciato. Il tedesco medio ha l'impressione che lo Stato stesso sia in pericolo, sui giornali si legge che «stiamo per avere una situazione sudamericana». Fanno paura Tre stragi da parte di fanatici politici (il Procuratore generale Buback e i suoi accompagnatori, il banchiere Ponto, i quattro agenti di Colonia) fanno più paura degli otto omicidi che ogni ventiquattr'ore (circa 2S00 l'anno) vengono compiuti da rapinatori, stupratori, ubriachi sul territorio della Repubblica federale di Germania. Quelli (i 2800 assassini) sono normali, per il 97 per cento vengono acciuffati, questi (i «gangsters' invasati da fanatismo poiltico) sono «contro l'ordine». Un uomo politico propone che «gli anarchici rinchiusi in carcere vengano fucilati uno ogni mezz'ora fino a quando Hanns Martin Schleyer non sarà stato rimesso in libertà ». L'ordine soprattutto. La massima vale anche per i delinquenti comuni. Quelli rinchiusi nel carcere di Stammheim vicino alle celle dì ■ Andreas Baader, Gudrun Ensslin e compagni hanno gridato «hurrà, i delinquenti se ne vanno» quando hanno saputo che forse gli anarchici sarebbero partiti per l'estero in cambio della vtia di Schleyer. Tra questi due estremi — da una parte un popolo che vuole ad ogni costo la mano forte per ristabilire l'ordine, dall'altra parte un battaglione di intellettuali fanatici e assassini — gli uomini politici di Bonn si dibattono in un dilemma insolubile. Cedere alla volontà popolare significa condannare a morte il prigioniero, cedere ai terroristi significa perdere la faccia, e dare nuovo impulso al crimine politico. Che cosa fa allora il governo per non scalfire ulteriormente all'interno e all'est.ero,ytrr*.tratto della Germania «Paese degl'ordine»? Ordina una «cortina del silenzio» totale su tutte le notizie che riguardano il caso Schleyer. Non soltanto giornali e stazioni radio tedeschi sono stati «invitati» a tacere, «preghiere» analoghe sono state rivolte attraverso i canali diplomatici anche ai governi di alcuni Paesi amici. Diceva il cristiano sociale Franz Josef Strauss in gennaio, quando Andreotti venne a Bonn: «Guai se da noi dovessero accadere disordini come in Italia. Voi sapete arrangiarvi, avete sempre saputo continuare a vivere. Ma per i tedeschi sarebbe una catastrofe». E la Deutsche Zeitung scrive: «L'Italia e l'Irlanda del Nord dimostrano che i gangster possono aumentare di molto il loro terrorismo, senza riuscire a rompere veramente il ritmo di vita di una società». E conclude: «Speriamo che l'attentato (di Colonia) sia stato il culmine della nostra impotenza morale». Speriamolo davvero, perché una Germania isterica, che si considera «in stato di guerra», che non riesce a curare i suoi mali, a rompere il cerchio infernale della violenza con metodi democratici, senza leggi speciali liberticide, senza caccia alle streghe, sarebbe un pericolo per tutti. Tito Sansa