Il topolino di Tennessee Williams

Il topolino di Tennessee Williams UNO SCRITTORE SI CONFESSA ATTRAVERSO LE LETTERE Il topolino di Tennessee Williams Ha scritto il drammaturgo americano: "Il successo è un topolino, e bisogna ricordarsi che non è un dio" - Ma troppo spesso gli ha sacrificato con l'insincerità, con la facile sregolatezza - Ora un epistolario mirabile mette a rumore New York II campo letterario di New York è a rumore. Delle Lettere di Tennessee Williams a Donald Windham, 1940-1965 era stata pubblicata recentemente una lussuosa edizione fuori commercio: supervisione di Martino Mardesteig: Stamperia Valdonega, Verona. Venduti in pochi giorni mille esemplari numerati in carta Favini al prezzo di cento dollari ciascuno. Venduti, ciascuno, al prezzo di settecento, altri ventisei in Fabriano azzurra firmati da Tennessee. Un successo di élite. E oggi Holt Rinehart & Winston annunciano per ottobre un'edizione normale a dieci dollari, venticinquemila copie per la prima tiratura. Si dice che i diritti di pubblicazione appartengano, con regolare contratto, a Windham, il vecchio amico al quale Tennessee aveva indirizzato le lettere. Sennonché, dopo l'annuncio dell'edizione popolare, Tennessee, che si trova in Europa, continua a avvertire per cablo Holt & Co. che quei diritti sono « highly questionale »: fortemente contestabili. La controversia e il suo esito legale non avrebbe sufficiente importanza perché ce ne occupiamo. Eccezionale, invece, è il volume stesso: Donald Windham, romanziere ispirato e delicato, ha provvisto a munirlo di una bellissima introduzione, di precise note e di estesi commentari che dividono le lettere in gruppi cronologici e che le ricompongono così, senza artificio, quasi in un romanzo. Ci troviamo davanti alla storia autentica di una lunga amicizia tra due letterati e, insieme, alla biografia di un autore drammatico di fama mondiale com'è stato Tennessee Williams appunto in quei venticinque anni. Di Williams, quando uscirono, avevo letto le Memorie («Memoirs», Doubleday, 1975) e me ne era rimasta un'impressione così poco gradevole che due mesi fa, trovandomi in mano queste Lettere a Donald Windham, esitai a lungo senza decidermi a dare un'occhiata: ma la prima occhiata, adesso, mi ha costretto a leggerle di un flato. L'ovvio confronto con le Memorie ha qualcosa di straordinario: sorprende, illumina, scatena una serie di riflessioni non solo su Tennessee e la sua temperie letteraria — che, a parte il fenomeno della permissività, è molto più simile alla nostra di quanto si dica — ma addirittura sul rapporto tra l'arte e l'artista in tutte le epoche. Il teatro famoso Ho anche riletto, per l'occasione, qualcuno dei drammi più famosi di Tennessee: Un tram chiamato Desiderio, Lo zoo di vetro, Estate e fumo, Improvvisamente l'estate scorsa, ecc. Che cosa dire? Fanno ridere. La spiegazione più semplice che si può dare di questo disastro è che, nel frattempo, ossia negli ultimi venti anni, la morale borghese ha cessato di esistere; e che i feroci apparati drammatici che Tennessee mette disperatamente in moto per affrontarla, combatterla, distruggerla, o almeno dimostrarne la perfidia, evocano una lotta contro un dinosauro di cartapesta. Ma come mai Madame Bovary e, per restare negli Stati Uniti, Ethan Frome, il capolavoro di Edith Wharton, commuovano e incantano oggi noi ancora pia, ancora meglio che i nostri nonni e padri cento e cinquanta anni fa? Questione di stile? Certo. Ma lo stile è soltanto il riflesso automatico di un'ispirazione alta, seria, tragica nel profondo e non solo nella dialettica verbale e nella costruzione meccanica dei personaggi. Nel mestiere (craftmanship) teatrale Tennessee era insuperabile: e ciò spiega il suo successo così come la sua vita, tutta tesa a perfezionare il mestiere. Ma, sotto, non c'è sincerità, non c'è il bisogno di scrutare la realtà fino in fondo; non c'è il tono dei veri interrogativi: mai affiora un « quid haec ad aeternitatem? » seppure sommesso. Le ragioni storiche sociali economiche psicologiche sia del conformismo (il drago borghese e capitalistico) sia dell'anticonformismo (l'eroe o l'eroina bohème che lo sfida a singoiar tenzone) non sono mai approfondite, mai riallacciate ai significati perenni o, come si dice oggi, strutturali. I simboli che Tennessee sceglieva per rappresentare quel drago erano già quasi marci allorché il Tram e le altre pièces trionfavano sulle ribalte di mezzo mondo: pochi anni dopo si disintegrarono, e il pubblico cominciò a ridere. Noi però sappiamo che il drago, irriconoscibile sotto nuove e più terribili spoglie, è tuttora vivo. E vivo tuttora, molto probabilmente, sarebbe anche il teatro di Tennessee, se Tennessee, invece di votarsi alla fabbricazione di drammi perfetti, si fosse abbandonato e perso nello studio di se medesimo. Le Memorie contengono larghi brani tutt'altro che disprezzabili: il secondo capitolo, che rievoca l'adolescenza; la figura di Sally, la prima ultima e unica donna con cui Tennessee ebbe rapporti sessuali; la « giornata» della Magnani; il commosso finale dedicato alla sorella Rose... Ma nel complesso è un libro rimuginato, arrangiato, composito, consumistico: e pieno dì sciatterie e di vanterie, maledettamente infarcito di spiritosaggini da conferenziere d'altri tempi, umorismo d'occasione, bons mots che ancora, forse, nel mondo anglosassone e statunitense, sembrano d'obbligo al toast in riunioni conviviali di azienda o di club. « A Firenze siamo stati ricevuti da quel meraviglioso vecchio esteta, Berenson »: non meno banalmente sono ricordati Visconti, Zeffirellì, Hemingway, e tanti altri personaggi dei quali Tennessee non ha niente da dire e sembra ricordarsi solo perché il fatto di averli frequentati è una controprova della propria celebrità. Non parliamo poi del cattivo gusto che dimostra quando tiene a raccontare come, a Parigi, una volta, ricevesse i giornalisti per una conferenza-stampa immerso nella vasca da bagno o come a Washington, invitato da Kennedy alla Casa Bianca, in occasione di una serata per Malraux, gli abbia stret- r o to la mano dicendogli: « Enchanté, monsieur Maurais ». Ma il vero guaio delle Memorie è l'incredibile, inin- ! terrotta, e a volte atroce se- \ rie di sregolatezze, violenze, guai, malattie di ogni genere che Tennessee e tutti i suoi amici parenti conoscenti attraversano. Non si contano le morti, i suicidi, i cancri, le ubriacature, le scazzottature, gli incidenti di ogni genere, i ricoveri in ospedale, gente che vuole gettarsi dalla finestra e gente che poi si getta davvero dalla finestra, l'uso della droga documentato pressoché ad ogni pagina, e l'insoìinia che tortura, e i litigi con amici carissimi o meno cari, e le avventure amorose più spericolate, e le operazioni chirurgiche e gli éléctrochocs e i viaggi continui, smaniosi, frenetici, in tutte le parti del mondo, alcuni giustificati dalle premières, molti altri no, e perfino un volo a Bangkok per farsi operare dai medico personale del Re del Siam! E' probabile che tutto sia vero: ma anche certo che Tennessee esclude qualsiasi riserva dal racconto, rinuncia a qualsiasi tentativo di limitarsi a suggerire, a accennare, a alludere. In una parola, nelle Memorie Tennessee compone la figura di se stesso che più ama: romantica, torturata, dannata, folle. Non capisce che la formula genio e sregolatezza ha qualche valore solo se cotesto uomo di genio più o meno vero, più o meno presunto, si adopera con ogni sforzo per dominare la sregolatezza. Lui, tutt'al contrario, ci dà dentro! Lieto vagabondo Completamente diversa è l'aria che tira nelle stupende Lettere a Donald Windham. Se le Memorie sono faticosamente graffite su uno strato di plastilina, le Lettere sono incise di furia, su una lastra di metallo. Stile moderno, vivo, di oggi e di sempre. Periodi brevi. Una galleria di personaggi tratteggiati ciascuno in poche righe, con un linguaggio infallibile. E riflessioni acutissime, e momenti di profonda commozione come nel ritratto della nonna, e grande piglio, e grande allure nel racconto delle innumerevoli picaresche avventure omosessuali: un cinismo franco, allegro e duro, totalmente diverso dal cinismo molle e vanaglorioso delle Memorie. Perché il cinismo, a volte, basta a uno scrittore per farne poesia: ma allora è un cinismo umile, che consiste soltanto nel rifiutare ogni ipocrisia verso se stesso. Il cinismo delle Memorie cerca invece di smascherare l'ipocrisia degli altri. Quando, negli Anni Quaranta, l'amicizia di Tennessee e Donald cominciò, e per tutto il primo periodo delle Lettere, i due amici erano poverissimi: alla fame, sovente; e dormivano negli ospizi della Y.M.C.A. Viaggiavano già allora, però, qua e là dall'una all'altra cittadina degli States: dall'East Coast alla Florida, da Saint Louis al Texas, da Providence Town a Key West. Viaggiavano come potevano, in treno, qualche volta con l'autostop, e più sovente in autobus, da autentici miserabili. Ma erano amici, si volevano bene, e non avendo i denari per telefonarsi si scrivevano, e si raccontavano tutto. Mancano purtroppo le lettere di Windham. Figuriamoci se Tennessee, nel suo disordine e nel suo egocentrismo, badava a conservarle! Il suo disordine era tale che mentre scriveva non si curava mai di numerare le pagine, le spargeva tutte intorno nella stanza, e dove¬ va poi faticare e bestemmia- \ re ore per ritrovarle. Genio e sregolatezza secondo lui si equivalevano. Come se, numerando le pagine e mettendole una sopra l'altra, temesse di perdere l'ispirazione. E non capiva che proprio qìiesta paura denunciava una mancanza di ispirazione o piuttosto una deliberata volontà di non essere fedele a quell'ispirazione vera che sopporta sempre di collaborare con un minimo di razionalità. In ogni modo, l'impossibilità di telefonare, e cioè la povertà, fu la prima causa di queste bellissime Lettere. E la seconda, altrettanto importante, fu la sincerità sfrenata e assoluta con cui Tennessee le scrisse, scrivendo una volta tanto non per fare arte ma semplicemente, direttamente, per sfogarsi con il suo amico più caro e più intelligente. « Il successo è un topolino timido » dice Tennessee stesso in una delle prime lettere. «Un topolino timido che non esce mai dal suo buco se si sta a guardare. E bisogna ricordarsi che è soltanto un topolino — non un dio. Che è fortuito e non tutta la cosa ». « Non tutta la cosa », commenta oggi Donald Windham «significa che il successo non è l'arte con VA maiuscola: più esattamente, che al successo col pubblico dei contemporanei non corrisponde sempre il successo col pubblico dei posteri. Ma guardiamo che data porta la lettera del topolino: aprile '43. Dopo di allora, Tennessee ha completamente dimenticato quella verità: una grande verità: che l'arte è un sottoprodotto della vita ». Che cos'è un sottoprodotto? E' un prodotto che otteniamo involontariamente dalla fabbricazione volontaria di un altro prodotto e nella quale ci siamo impegnati con uno scopo preciso, l'unico importante per noi. Può anche darsi che l'artista, in un secondo tempo, o in una serie di secondi tempi, correggendo, ricomponendo, aggiustando, ecc. abbia in mente solo il sottoprodotto, solo l'opera d'arte: ma se ne dimentica sempre mentre è ispirato e mentre concepisce l'opera e mentre ne esegue le parti essenziali. Si dimentica sempre del sottoprodotto anche se cerca strenuamente di non dimenticarsene, e perfino se crede in buona fede di dimenticarsene: in realtà l'opera, per lui, non fa che continuare la vita, appartenere alla vita, esaltarsi o vendicarsi della vita. In caso diverso, cioè quando l'artista pensa solo all'arte, la sua vita diventa falsa, e così diventa falsa anche l'arte. Attenzione! Anche qui. non importa ciò che l'artista crede. Molte volte l'artista crede di pensare esclusivamente all'arte ma in realtà lui vive. La sua grandezza eventuale consiste soltanto nell'incapacità di fare qualcosa di falso oppure — è la stessa cosa — di brutto. Tennessee fa la sua unica vera opera d'arte duratura, fuori e contro la moda, solo in queste Lettere, proprio perché, mentre le scriveva, era lontano mille miglia dall'idea di fare dell'arte. Si spiega appunto co-sì che non abbia esitato a firmare il contratto con cui concedeva al vecchio amico Donald Windham i diritti di pubblicazione: e si spiega così che, a quanto si dice, abbia rifiutato qualsiasi compenso, chiedendogli il solo dollaro necessario perché l'atto avesse valore legale. Naturalmente, all'artista può servire avere bisogno dì guadagnare: a volte, gli serve moltissimo ma a patto che. nel momento in cui. c come diceva Michelangelo, opera, sia incapace di ricordarsi del possibile guadagno, anche se invece crede di ricordarsene. Verdi e Puccini credevano di pensare al gusto del pubblico, certo! In realtà pensavano al proprio gusto: e il loro gusto, senza che loro volessero, coincideva col gusto del pubblico. Le idee sbagliate 71 centro delle Memorie e della vita di Tennessee Williams consiste nell'idea che lui ha di se stesso come artista puro: idea fissa che si identifica con un'altra idea fissa, che l'artista sia un superuomo, diverso da tutti gli altri, e al quale tutto è concesso: idea che sballa la sua vita e sballa, in conseguenza, la sua arte appunto perché è costruita pensando solo all'arte. Rimbaud è per Tennessee la stella polare. Ma i veri Rimbaud assomigliano a Rimbaud: a un certo mo¬ mento piantano la poesia perché, a partire da quel momento, la poesia per loro non è più vita. Decisione senza cui la precedente poesia di Rimbaud non sarebbe stata così formidabile, così spinta a quel massimo spasimo di esperienza esistenziale, oltre cui si va solo verso la morte: sarebbe stata una poesia falsa, finta, creata con lo scopo di fare poesia. Sull'arte, nulla, mai, è stato detto di più contrario a quanto pensa oggi la maggioranza degli artisti, e nulla, mai, di più profondo, come ciò che è stato detto da Thomas Mann a proposito di Tolstoi: « La sua grandezza, per quanto grande, dà l'impressione di derivare da una grandezza ancora più grande ». Per puro caso, dopo aver letto le Lettere a Donald Windham, mi è capitato di incontrare Tennessee nell'ascensore di un albergo. Non lo vedevo dal '49, a .Tloma, quando frequentavamo la stessa trattoria, in via Marche. L'ho riconosciuto subito dallo sguardo, che è identico a quello dì allora: impudente, provocante, beffardo, tuttavia inquieto per una timidezza profonda e forse disperata. Del resto, mi pare molto cambiato. Nella sua piccola statura era liscio, lustro, teso e chiaro come un ovo sodo. Adesso è atticciato, paonazzo, solcato da rughe come certe mele troppo mature. Non senza consapevole crudeltà ma anche con entusiasmo e ammirazione sincerissimi, lo abbordo ex abrupto: « Le lettere a Windham sono un involontario capolavoro!». Scoppiò in una risata convulsa, compressa, gorgogliante: « Very unvolontary! » disse infine, insistendo, rauco e rabbioso, sul very: molto involontario! Evidentemente alludeva con amarezza al valore economico delle Lettere: mais il ne oroyait pas si bien dire, diceva meglio — data la sua florida situazione economica — diceva meglio se avesse alluso con gratitudine al loro fortuito e meno effimero valore letterario. Mario Soldati Venezia, 1972. L'autore di « Zoo di vetro » ospite della Mostra del cinema (Foto Farabola)