Il decennio della Tigre alla Scala di Alfredo Venturi

Il decennio della Tigre alla Scala RIMPIANTO A MILANO PER LE STAGIONI DEGLI ANNI 50 Il decennio della Tigre alla Scala Milano, 16 settembre. I I titoli dei quotidiani del pomeriggio annunciano che la Callas è morta, e non è difficile incontrare dalle parti della Scala il vecchio musicofilo che vuole raccontarti tutto. Aneddoti, prime leggendarie, «quella sera che fu chiamata a sostituire nell'Aida il soprano indisposto: era il '51, io c'ero, fu una rivelazione». La tre ottave sulle quali si estendeva quella voce indimenticabile, la drammatica presenza in scena della gran dama greca, le liti furibonde del personaggio mondano, i capricci e le gelosie della diva. La Scala e la Callas, quasi un anagramma, e per una decina dei duecento anni che questo teatro si appresta a celebrare, un binomio di eccezionale richiamo emotivo. Erano gli Anni Cinquanta, per tanti aspetti la preistoria dell'Italia di oggi. Gli anni, per li Scala, delle inaugurazioni rutilanti, della mondanità esclusiva, del «visti in sala»: erano ancora lontani, eppure a ben pensare già nell'aria, i tempi delle uova di Capanna e delle molotov «autonome». Le presenze di Maria Callas alla Scala hanno coperto per intero quel decennio, fra il 1951 e il '62, fra Aida e Medea. Il cartellone scaligero ospita per la prima volta il nome d'arte di Anna Maria Kalogeropulos nella stagione '51-'52, dopo che qualche mese prima la Callas aveva già cantato in sostituzione della titolare. Stavolta è la duchessa Elena dei Vespri Siciliani, canta col tenore Eugene Conley. Poi ancora, nella stessa stagione, sarà Costanza nel Ratto dal serraglio di Mozart. L'anno dopo, ecco la prima delle grandi serate inaugurali con la Callas, indimenticabile lady Macbeth; e più tardi, nei primi mesi del '53, ecco la cantante greca nel panni di Leonora nel Trovatore. E' già un personaggio. Nel 52 ha cantato al Covent Garden di Londra, presto calcherà le scene del Metropolitan di New York, la città dov'è nata nel '23. In Italia è approdata nel '47: ha cantato la Gioconda all'Arena di Verona, quindi il Tristano e Isotta alla Fenice di Venezia. E dal '51, la Scala. «Nella stagione '53-'54, ricorda il vecchio loggionista scaligero, tre opere in cartellone portavano il suo nome: la Lucia di Lammermoor (una platea letteralmente esplosa dopo la scena della pazzia). Poi la Medea di Cherubini, con direttore Bernstein, quindi il Don Carlos di Verdi». Ormai il binomio marcia a pieno regime, il pubblico della Scala segue con appassionato interesse la vicenda di questa cantante che porta sulle scene liriche una voce rivoluzionaria, dai molti registri, e una interpretazione da gran tragica greca. Nasce il mito della «tigre», consacrata dalle cronache non più soltanto per i successi di scena, ma anche per le esplosioni di un carattere che è violentemente drammatico anche nella vita. Sette dicembre del '54, nuo¬ va «prima» di Sant'Ambrogio con la Callas: stavolta è Giulia nella vestale di Spontini, accanto a lei Franco Corelli. Un anno più tardi s'inaugura invece con la Norma, e col binomio Callas-Del Mjnaco, e, ancora, con un pubblico entusiasta. Lo stesso anno il soprano greco sarà Violetta nella Traviata, come già nella stagione precedente, e canterà anche nella Fedora di Giordano, 1956: la Callas è Anna Bolena nell'opera di Donizetti, poi darà la sua personalissima dimensione alla Sonnambula di Bellini. Stagione '57-'58: Amelia nel Ballo in maschera, stavolta accanto a Giuseppe Di Stefano, poi ancora Anna Bolena, quindi Imogene nel Pirata di Bellini. Il pubblico milanese della Callas deve attendere due anni prima di ascoltarla ancora, e l'ascolterà il 7 dicembre del '60 nel Polìuto di Donizetti. La stagione successiva sarà l'ultima del decennio Scala-Callas: la seconda opera nel cartellone '61-'62 è la Medea di Cherubini, con la Callas canta Giulietta Simionato. Si spezza, dopo questa recita, il binomio che ha caratterizzato gli anni Cinquanta nella lirica italiana. La strada di Maria Callas si separa da quella della Scala. E adesso, la «tigre» non ci sarà, alle feste bicentenarie del teatro milanese. «Una cosa è certa, dice il vecchio frequentatore di loggioni con l'occhio incollato al funereo titolo a nove: nessuno mai più canterà co- sì" Alfredo Venturi

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