Non funziona la controprotesta in Corsica di Paolo Patruno

Non funziona la controprotesta in Corsica INUTILMENTE GISCARD TENTA DI BLOCCARE L'AUTONOMIA Non funziona la controprotesta in Corsica Parigi, settembre. E' stato uno smacco, la «maggioranza silenziosa» è rimasta a casa. Le autorità volevano fare delle celebrazioni per l'anniversario della liberazione dell'isola, una manifestazione di massa « contro l'autonomia e il separatismo », ma ad Ajaccio si sono raccolte intorno agli amministratori locali e ai deputati soltanto millecinquecento persone, e meno ancora sono state radunate a Bastia. A metà agosto, l'annuale raduno degli « autonomisti » aveva fatto affluire a Furiarli almeno quindicimila persone. Parigi aveva impartito precise direttive di mobilitazione, aveva scelto accortamente anche un'occasione celebrativa per dimostrare che la stragrande maggioranza dei corsi sono contrari alle « violenze malsane » degli autonomisti. Ma il risultato è stato ben misero, dalla Corsica proviene un altro « segnale » di malessere, in quest'inquieta estate francese. E' tradizione di questi ultimi anni che in agosto le rivendicazioni autonomistiche o separatistiche raggiungano il diapason, si acuiscano in un fuoco d'artificio di attentati che trovano facile cassa di risonanza nelle decine di migliaia di turisti, francesi « metropolitani » o stranieri. E così è avvenuto anche per l'estate '77, tra luglio e agosto si sono moltiplicati i « botti » degli autonomisti, se ne sono contati ventisette solo in una notte. Gli attentati non hanno fatto vittime, quest'anno, ma hanno comunque raggiunto punte di pericolosità drammatica, il cui limite è segnato dalla distruzione d'una importante installazio¬ ne radio-televisiva presso Bastia, che per settimane ha privato l'isola della tv. Dopo è venuto il « raduno » di Furiani, poi ancora una conferenza stampa clandestina dei maquisard del Pronte di liberazione nazionale, che hanno minacciato una lotta armata contro i « colonialisti ». Le altre "rivolte" Tutti questi avvenimenti hanno obbligato le autorità francesi a riprendere l'iniziativa, agendo su una doppia linea. Da un lato, Giscard d'Estaing è intervenuto ufficialmente nei giorni scorsi sul problema corso chiamando a rapporto i prefetti dell'isola. Il capo dello Stato ha condannato « le azioni inammissibili » commesse ultimamente nell'isola, ha annunciato una sua visita in Corsica al momento adatto «per cercare le soluzioni delle presenti difficoltà». Contemporaneamente sono stati mobilitati i rappresentanti locali, affinché organizzassero manifestazioni di massa « contro la violenza e il separatismo », per dimostrare che i corsi non vogliono porre in discussione la loro appartenenza alla Francia. Ma almeno su questo punto, la « mobilitazione popolare » non è riuscita, perché il malcontento dei corsi verso Parigi è diffuso, sentita la rivendicazione autonomistica. Dopo lo scioglimento dei quattro principali movimenti autonomisti e indipendentisti bretoni, corsi e baschi decretato negli anni di Pompidou in omaggio al centralismo della Francia tradizionale, soltanto la « rivolta » corsa dà ancora quotidiani se¬ gni di vita; a parte qualche frammentario sussulto in Bretagna, dove l'autonomismo si esprime adesso soprattutto attraverso il « rifiuto » ecologico. La cronica ribellione dei corsi è tutt'altro che folkloristica, il fatto che sia proseguita anche negli anni del timido decentramento regionale prospettato da Giscard d'Estaing dimostra quanto il malessere sia diffuso, radicata la protesta nella popolazione. Anche se la maggioranza non condivide le spinte più estremistiche, le velleità secessionistiche di chi predica il distacco dalla Francia « colonizzatrice », magari attraverso la lotta armata. Le radici della spinta autonomistica corsa si ritrovano nella situazione economica e sociale di quest'isola, « invasa » da migliaia di francesi partiti dal Marocco e dall'Algeria con la fine dell'impero coloniale. Avvalendosi degli aiuti e delle provvidenze decise dal governo per facilitare il loro rientro, i pieds-noirs si sono impadroniti delle leve economiche dell'isola, di quella che già non erano nelle mani dei francesi «metropolitani». Hanno aperto uffici commerciali e negozi, creato fattorie, sviluppato l'agricoltura. I corsi si sono sentiti « espropriati » dai nuovi arrivati, ancora una volta « sfruttati » dalla Francia, come se l'isola fosse un possedimento coloniale. Di qui è nata la rivendicazione autonomistica. I fratelli Edmond e Max Simeoni, che sono le figure più rappresentative della ribellione corsa, chiedono a Parigi un governo autonomo, una Camera locale che possa legiferare, una riforma agraria che « restitui¬ sca » quanto è stato sottratto ai locali, un insegnamento bilingue. Le autorità centrali sono decise a impedire qualsiasi « tentativo di dissolvimento dell'autorità nazionale », temono che dietro questa spinta si celi « un pericolo fascista », studiano come spegnere la « fiammata » corsa coagulando le forze di chi è contro gli autonomisti. I Simeoni hanno accusato ultimamente i rappresentanti del governo centrale di favorire una « controguerriglia » animata dagli avversari dell'autonomismo, reclutati naturalmente fra i « metropolitani » e i pieds-noirs. Agli attentati degli indipendenti si contrappongono con sempre maggior frequenza i sabotaggi diretti contro i fautori del distacco da Parigi. I fratelli Simeoni hanno deciso perciò di cercare nuovi appoggi, hanno annunciato che si recheranno prossimamente a Cuba e in Algeria, a Portorico e in Venezuela per propagandare gli obiettivi della lotta contro Parigi. Come in Irlanda? Esiste un pericolo di « internazionalizzazione» della rivolta autonomista? La Corsica rischia di trasformarsi in un'Irlanda del Nord nel Mediterraneo? La Corsica del '77 può essere come l'Algeria del '54? Attentati dinamitardi, isolate sparatorie dimostrative, scritte anti-francesi sui muri non devono ingannare. Edmond Simeoni ha sostenuto che all'estero non andrà per cercare armi o denaro per finanziare la guerriglia, ha ammesso che « l'armata di liberazione, come in Algeria, è impossibile oggi e lo sarà ancor più domani, soprattutto per il rifiuto del popolo a impegnarsi su questa strada ». Ma non tutti sono sulle posizioni di Simeoni: non solo fra i separatisti, ma anche tra gli autonomisti c'è chi non intravede uno sbocco alla « strategia morbida » imposta da Simeoni. Qualcosa potrebbe mutare, e questo spiega la preoccupazione di Parigi. Forse per questo, nel suo discorso, accanto agli accenti severi, Giscard d'Estaing si è rivolto « alla popolazione corsa » (non della Corsica) ammettendo implicitamente la individualità specifica degli abitanti dell'isola. Forse questa innovazione linguistica vuol lasciar trasparire un'apertura, il desiderio di stemperare le asprezze del confronto. In Democrazia francese, Giscard d'Estaing si fa assertore del « principio di decentramento e della sua applicazione coraggiosa » nella visione di una Francia futura. I corsi chiedono una realizzazione ravvicinata di questo principio, insistendo ' più sull'autonomia che sul semplice decentramento amministrativo. Ma fino a che punto Parigi può spingersi nell'accoglimento di certe rivendicazioni autonomistiche in Corsica, senza provocarne di simili in Bretagna, in Occitania, nei Paesi baschi? Bisogna salvaguardare il tradizionale assetto centralista della Francia senza irrigidirsi in un rifiuto. Perché il pericolo potrebbe essere una replica, nel Mediterraneo, del tragico esempio irlandese. Paolo Patruno