Il fecondo grigiore di Callaghan di Mario Ciriello

Il fecondo grigiore di Callaghan IL PREMIER INGLESE SMENTISCE TUTTI I PRONOSTICI Il fecondo grigiore di Callaghan Nonostante gli attacchi dei conservatori e l'irrequietezza della sinistra laborista, è riuscito a superare gli scogli della crisi " E' un eccellente economista senza preparazione economica " - Uomo senza aneddoti, rassicura con la sua calma paziente (Dal nostro corrispondente) Londra, settembre. Non sarebbe male se i giornalisti e i politici dalla profezia facile, e ancor più le Cassandre con l'apocalisse a comando, si rileggessero di tanto in tanto i loro vaticini. Il 22 marzo '76, ad esempio, Ferdinand Mount, commentatore del Daily Mail, considerava con disperato orrore il probabile ingresso di Callaghan a Downing Street come successore di Wilson, e scriveva: « Con Callaghan al numero 10, sì avvicinerà il giorno in cui la Gran Bretagna diverrà una nazione di terza categoria ». A confronto, aggiungeva, il miopissimo mister Magoo è un prodigio di lungimiranza. Era tutto un coro di campane a martello che si levava, minaccioso, da Westminster e da Fleet Street, la via dei giornali. Callaghan è un « arcimediocre », è un « burocrate senza idee », sarà travolto e schiacciato dalla crisi economica e dalle tensioni laboriste. Ben diverso è il suono delle campane, a diciassette mesi dall'inizio del suo regno. Oggi, Callaghan è elogiato e ammirato, già si parla di lui come uno dei migliori premier degli ultimi trent'anni, certo superiore a Wilson. Ha il rispetto e la stima della stampa, della City, dell'industria, persino di quei capi sindacali con cui ha avuto conflitti durissimi. Il suo magnifico discorso al recente Congresso del Tue, a Blackpool, ha rafforzato le tendenze alla moderazione salariale. Margaret Thatcher. che credeva di abbattere Callaghan senza grandi difficoltà e già si vedeva alla direzione della Gran Bretagna, alla testa di un'amministrazione tory, comincia ad avere dubbi sull'esito della futura battaglia elettorale. Per la prima volta, un leader conservatore, Sir Geoffrey Howe, ha ammesso che i laboristi potreb- bero restare al potere per molti anni. Certo, Callaghan deve non poco del suo successo al petrolio che finalmente avanza, copioso, dal Mare del Nord e che gli permetterà di chiamare il Paese alle urne nella primavera o nell'autunno 78 in un clima economicamente più mite, più solatio: ma è una fortuna che non toglie nulla alla sua straordinaria destrezza di giocatore politico. Dirìge un governo in minoranza che sopravvive soltanto grazie all'accordo con i tredici deputati liberali; deve conciliare l'intenso eu- ropeismo di questi alleati con la diffidenza e l'ostilità contro la Cee, e ancor più contro il futuro euro-parlamento, della sinistra laborista e di almeno cinque ministri; deve combattere l'inflazione senza più le armi di una politica dei redditi, né obbligatoria né volontaria. Ma non è né timoroso né immobile; calca la scena nazionale con un'affabile, paterna gravità che, a poco a poco, ha fatto breccia sugli animi più scettici; attraversa le bufere più minacciose quasi fossero piovaschi primaverili, come se la sua vulnerabilità non fosse che una maldicenza, un malinteso. Gli inglesi, a differenza di altri popoli, escludono la riconoscenza dalle loro considerazioni politiche, e lo dimostrarono nel 1945 quando, con un voto che lasciò il mondo stupefatto, tolsero il potere a Churchill e lo consegnarono al laborista Clement Attlee. Sarebbe pertanto assurdo tentare di prevedere i risultati elettorali del '78: un desiderio di facce nuove e di nuove iniziative potrebbe spingere il pendolo verso i tories: Callaghan che, in ogni caso, avrà allora sessantasei anni, potrebbe essere la prima vittima di una disfatta socialista. Ma la sua opera non sarà dimenticata. James Callaghan è il pilota che, con accorte manovre, con l'esperienza acquisita alla direzione dei tre massimi dicasteri, Tesoro, Interni ed Esteri, sta portando il vascello britannico verso un'epoca più serena e più prospera. Il lunghissimo declino, cominciato non trenta ma cento anni fa, con una lenta ma implacabile sclerosi delle strutture industriali e sociali, è alla fine. Parlare già di un « rinascimento » britannico, come hanno fatto alcuni giornali locali e stranieri, è sciocco e infantile: se un « rinascimento » ci sarà, non sboccerà prima del 1980-'81, quando si sarà trovato il modo (e il dibattito è ancora aperto) di usare la nuova ricchezza dello Stato, le entrate petrolifere per trasformare l'industria. Se però Callaghan dichiara che « il peggio è passato », non è più propaganda politica: per la prima volta dal '45, è la verità. Uno in particolare è il grande merito di Callaghan: la sua visione strategica. Quando sali al potere lo scorso anno, indicò subito la strada da seguire per arrivare al '78 con un'economia risanata e, nonostante la sua fragilità parlamentare, la violenza degli attacchi tory, le irrequietezze della sinistra laborista e l'avvizzirsi del « contratto sociale », non ha deviato dal suo itinerario che di pochissimi gradì. E' una condotta ben diversa da quella dell'imprevedibile Wilson, autore del celebre aforisma: « In politica, una settimana è un periodo lunghissimo ». Non c'era limite alle oscillazioni, alle sterzate, alle virate dell'ex premier, eccellente programmatore ma soltanto sulla carta, e che tale sarebbe rimasto anche se il petrolio avesse già irrorato le finanze nazionali. Con Callaghan, insomma, si sa dove si va, e anche se il percorso è faticoso, se ne sopportano meglio le asprezze. Uno stratega, ma con un senso troppo politico della vita per proiettare il pensiero oltre i due o tre anni, oltre i traguardi raggiungibili. Si parli a Callaghan di futurologia, gli si domandi un pronostico sulla società inglese verso il Duemila, e scuoterà le spalle. Scarso ed effimero è il suo interesse verso i problemi, soprattutto esteri, sui quali non può usare né il suo potere né la sua influenza: così come scarso ed effimero è il suo interesse verso le dispute ideologiche della sinistra o certi interminabili « dialoghi » all'interno del Mercato Comune. Agisce d' intuito, mai precipitosamente: è oratore efficacissimo, ma misura ogni parola: è un solitario, non si circonda, a differenza di Wilson e di altri premiers, né di consiglieri né di cricche, ma non muove un passo senza aver prima ascoltato tutte le voci. Non è uomo facile da descrivere, ha il carisma del non carisma, e ciò spiega perché di tutti i leaders occidentali, Callaghan sia forse il meno conosciuto. Giornalisti c lettori sono purtroppo attratti dal «colore», e Callaghan ne offre poco, meno certo di Carter, di Giscard d'Estaing, dì Trudeau, di Suarez, di Soares, e meno persino di Schmidt. Si parlò di lui qualche mese fa, ma soltanto perché commise un vistoso errore, l'unico forse dei suoi diciassette mesi di regno, la nomina di Peter Jay, capo dei servizi economici del Times e marito di sua figlia, ad ambasciatore di Sua Maestà britannica a Washington, il supremo incarico diplomatico. Callaghan e Labour Party sono quasi sinonimi. Nessun premier laborista e pochi ministri hanno avuto legami tanto stretti, tanto globali, con il partito, legami sentimentali, culturali e politici. Basta un fatto. Callaghan e Ramsay MacDonald sono stati gli unici capi socialisti a conoscere la miseria. Il padre di Léonard James Callaghan era un sottufficiale di marina, un irlandese, e morì nel 1919 lasciando la vedova senza un penny. Subito dopo, la madre e il bambino, che aveva allora sette anni, venivano privati dell'alloggio, vicino a Portsmouth. Per quattro anni, la famigliola sopravvisse grazie alle spossanti fatiche della donna, in una lotta continua con una povertà ogni giorno più tormentosa. Lavorava quando poteva arche il piccolo Jim. I Callaghan furono salvati dai dieci scellini la settimana di pensione donati nel 192.'', dal primo governo laborista, dopo dure battaglie parlamentari. Quella piccola pensione, quell'ancora di salvezza, convertirono madre e figlio al socialismo. Lasciata la scuola a sedici anni, Callaghan diveniva un impiegato del fisco, ma, annoiato, passava all'attività sindacale. Volontario in Marina durante la guerra, serviva nel Pacifico e, al suo rimpatrio nel '45, era subito eletto al parlamento. James Callaghan non ha dunque una educazione universitaria, una lacuna che condivide con un altro premier soltanto, Winston Churchill. Ma ha sempre letto moltissimo, e sbagliano coloro che continuano a sottovalutarne la forza culturale. Quando divenne Can¬ celliere dello Scacchiere, un esperto, un docente di Oxford disse di lui: « E' un caso unico. Un eccellente economista senza preparazione economica ». Non è neppure un ideologo, ma ha sempre capito meglio degli ideologi le ansie e le aspirazioni delle masse, lo spirito e la natura del Labour Party. Nel '71, la sua carriera pareva finita. Si era dimesso da Cancelliere dello Scacchiere dopo la svalutazione della sterlina nel novembre '67 (benché Wilson e non Callaghan fosse responsabile delle perplessità e dei rinvìi che trasformarono l'operazione da una sana chirurgia in una caotica e vana terapia) e la vittoria conservatrice del '70 lo privò, dopo appena due anni, della direzione del Home Office, il ministero degli Interni. A un amico che si recò a trovarlo dopo queste delusioni e sconfitte, disse, depresso: « Che futuro può avere un vecchio rottame come me, con due ulcere e un cancro alla gola? Cerca di venire al mio funerale, se è una bella giornata di sole. Se piove, non disturbarti ». Ma il cancro non c'era; le ulcere furono curate; nel '74 divenne ministro degli Esteri e, quando ormai si reputava troppo anziano per la premiership, ereditava i poteri di Wilson. Quando sarà guarita, l'Inghilterra avrà bisogno di uomini con più fantasia e più audacia di Callaghan, o perlomeno potrà permetterseli. Ma, oggi, mentre naviga ancora tra secche e scogli, mentre il suo governo è debole, mentre i sindacati avanzano rivendicazioni che potrebbero fermare e invertire la discesa dei prezzi, questo statista, che qualcuno ha definito « un monumento al potere », è l'ideale. Il suo grigiore può essere esasperante, ma la sua autorità, la sua competenza, il suo controllo del partito, la sua calma sono rassicuranti. Anche il futuro non desta più in lui ombre e timori. « Ho una brava moglie, quattro figli, uno stuolo di nipoti e una bella casa in campagna. Ho realizzato tutti i miei sogni. Sarò un pensionato felice ». Mario Ciriello Bruxelles, 1976. James Callaghan, poco dopo la nomina a premier, al summit della Comunità europea (Telefoto Ap)

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