Ecco la verità su Marzabotto di Giuseppe Mayda

Ecco la verità su Marzabotto I CRIMINI DI REDER ERGASTOLANO A GAETA Ecco la verità su Marzabotto Fu l'ultimo massacro di quella "marcia della morte" compiuta trentatré anni fa, tra la Toscana e l'Emilia, da un reparto SS - In pochi giorni tremila innocenti furono trucidati - Invano il comandante chiese perdono Questa è la verità su Marzabotto, la verità sulla carriera criminale dell'ex maggiore-SS Walter Reder, fu Rudolf e di Francesca Ludwig, nato il 4 febbraio 1915 a Freiwaldau (Cecoslovacchia) residente a Salisburgo e oggi ergastolano nel carcere militare di Gaeta. Alto, robusto, capelli castani e il braccio sinistro amputato sotto il gomito. Reder — figlio di un industriale fallito — era stato portato in Austria attorno ai 15 anni e lì, avvicinatosi al nazismo, era stato coinvolto nell'attentato conclusosi con la morte di Dolfuss. Entrato nelle SS combattenti, Walter Reder — che sarebbe stato soprannominato « il monco » o il « monchino » — arrivò in Italia nel maggio 1944. Aveva 29 anni, il grado di maggiore delle SS e il comando del 16" battaglione della XVI divisione Panzergrenadier «Reichsfuehrer SS ». Il suo reparto, schierato dapprima sul fronte delle Colline Metallifere, nel Grossetano, seguì la sorte del ripiegamento tedesco da Follonica a Massa Marittima, risalendo verso San Vincenzo - Cecina ■ Suvereto e Guardistallo. La Toscana stava per cadere in mano alleata; l'avanzata anglo-americana, pur lentissima, puntava al baluardo degli Appennini tosco-emiliani sul quale avrebbe sostato per l'ultimo inverno di guerra. 11 25 luglio 1944 Reder raggiunge l'Arno e qui rimane in linea fino all'8 agosto, giorno in cui Firenze insorge contro i nazifascisti. Il 9 «il monco» è a Pietrasanta, a breve distanza dalla zona di Valdicastello-S. Anna di Stazzema e da questo momento luì e il suo battaglione vengono sottratti al combattimento di prima linea e impiegati a proteggere la Wehrmacht di Kesselring che, ritirandosi, deve aprirsi la strada verso il Nord e la Pianura Padana. Comincia di qui la « marcia della morte » che porterà Reder dalla Toscana all'Emilia e lascerà nella propria scia i corpi straziati di tremila italiani innocenti. 12 agosto: Sant'Anna di Stazzema — E' un paesino di mezza montagna, abitato da boscaiolì e contadini, in tutto 300 anime cui si sono aggiunti altrettanti sfollati di Pietrasanta e dì Viareggio. I tedeschi arrivano all'alba dì sabato 12, incendiano le case, radunano uomini, donne e bimbi nelle stalle e poi lanciano dentro bombe a mano, sparano su chi fugge. Nella frazione Franchi 40 civili sono uccisi in una casa dove si erano rifugiati, quindici in un'altra: « Ho visto una bimba di tre anni, Giuliana Perri, avvinghiata al collo della madre che stava correndo verso la piazza della chiesa — narrerà un testimone, Alfredo Graziani —. Un tedesco balzò addosso alla donna, le strappò la piccola e, sotto i suoi occhi terrorizzati, la scaraventò contro un muro. Poi, con la rivoltella, freddò anche la madre ». // massacro dilaga su tutto il territorio di Sant'Anna, dalla frazione Case alla località Colle. Il massacro più orrendo avviene nella borgata del Pero, sulla lunga spianata davanti alla chiesa con al centro un platano frondoso e un cippo annerito dal tempo: « Gli infelici — scriverà Filippo Sacchi — vennero sospinti nel mezzo, fra il platano e il cippo, e da tutto intorno le mitragliatrici aprirono il fuoco (...). Su quel mucchio ancora palpitante e agonizzante furono gettati strame, paglie, benzina e vennero incendiati (...). Mentre già il rogo ardeva, altre SS frugavano le case, trascinavano 11 i pochi scampati, e, in vista di quel carnaio, li finivano a rivoltellate e li buttavano nelle fiamme. Cosi finì il pievano, don Innocenzo Lazzari, mentre tentava di benedire i suoi fedeli... ». 19 agosto: San Terenzo — I tedeschi lasciano Sant'Anna nel primo pomeriggio del 12 e si dirigono a Valdicastello uccidendo tutti coloro che incontrano sui sentieri della montagna. Giunti al paese, lo circondano, rastrellano 801 persone e ripartono con loro riprendendo la marcia verso Nozzano, frazione di Lucca: non tutti gli ostaggi vi giungeranno perché, in località « Mulino rosso », tredici uomini sono chiamati fuori dalle file e uccisi senza motivo, a raffiche di mitra. Cinque giorni dopo, a Bardine di San Terenzo, frazione di Fivizzano (Lucca), i partigiani attaccano un camion tedesco carico di soldati e ne uccidono sedici. Il comandante del reparto, tenente Fischer, dà l'assalto al paese incendiando tutte le case e uccidendo una donna ma la rappresaglia ufficiale, se così si può dire, è condotta da Reder. «Il monco », che dalla zona di Pietrasanta si era spostato su Marina di Carrara, arriva a San Terenzo col suo battaglione la mattina del 19 agosto, portando con sé 53 civili italiani prelevati a Nozzano. Alcuni vengono incatenati ai rottami del camion distrutto dai partigiani e assassinati a rivoltellate, altri strozzati con cappi di filo di ferro, altri ancora legati ai pali della luce e agli alberi e freddati col colpo alla nuca. Una fine orrenda: ognuno vede negli occhi del compagno vicino lo strazio che, dopo pochi istanti, sarà anche il proprio. L'eccidio si svolge in poche ore mentre Reder se ne sta nell'osteria di Mario Olìgeri, a San Terenzo, e mangia salame, minestra di fagioli, pollo arrosto e vino bianco. 19 agosto 1944: Valla — Centosette persone (di cui solo cinque uomini) sono rastrellate qui e assassinate a raffiche di mitragliatrici. L' unica superstite, Clara Cecchini, che allora aveva 8 anni, racconterà: « Ci presero nelle case, ci trasportarono a Valla. (...) Verso le 13 ci misero in fila per uno sotto il pergolato, con la faccia rivolta alle montagne. Improvvisamente sparano con le mitragliatrici che erano nascoste sotto dei teli mimetici. Io ero vicina al babbo, alla mamma e ai miei due fratelli, e caddi con loro, colpita. Ripresi conoscenza proprio mentre un soldato stava passando fra i caduti per vedere se tutti erano morti ma io non mi mossi ». 24 agosto 1944: Vinca — « Il monco » sosta ancora qualche giorno nella zona di Carrara. Gli è stato infatti affidato l'incarico di condurre un'azione antipartigiana nel settore di Vinca, frazione di Fivizzano, lungo la valle del Lucido. Benché in tutto il territorio non vi sia una sola formazione di patrioti, le SS di Reder — accompagnate da brigate nere — rastrellano Gragnola, Monsone, Ponte Santa Lucia e infine Vinca: dovunque, incendi, spari, spose e bimbi massacrati. A Bronza di Cucina, catturate una quarantina di donne, ne uccidono diverse per le strade; le superstiti — 29 in tutto — sono chiuse in un mandrione (il luo¬ go dove i pastori raccolgono le pecore) ma anche queste ultime saranno trovate uccise, alcune con i bimbi ancora in braccio. In totale, le vittime ammontano a duecento. 16-17 settembre 1944: Fosse del Frigido e Bergiola — A metà settembre la XVI divisione-SS, schierata lungo la costa tirrenica, si mette in movimento diretta al Nord e in quei giorni il battaglione di Reder, addentratosi lungo le sponde del Frigido, riprende a fare « terra bruciata »: i cadaveri di 147 civili verranno ritrovati dentro fosse comuni sulla sponda destra del fiume; a Bergiola, settantadue fra donne e bimbi sono uccisi nelle strade e nei campi. Dentro alla scuola elementare, data alle fiamme, saranno rinvenute quaranta salme. 29 settembre-l° ottobre '44: Marzabotto — Dalla Versilia alla Lunigiana, dalla Lunigiana alle colline del Bolognese, la « marcia della morte» del battaglione di Reder si conclude sul Monte Sole dove agisce una formazione partigiana, la brigata « Stella rossa », che, secondo le informazioni dei fascisti, riceve aiuti dalla popolazione. Così, in tre giorni, nei comuni di Marzabotto, Grizzana e Vado di Monzuno, 1830 persone vengono sterminate e fra le vittime 92 sono sotto i sedici anni, 110 sotto i dieci anni, 22 di due anni, 8 di un anno, 15 di meno di un anno. In frazione Casaglia di Marzabotto il parroco, don Ubaldo Marchiani, appena sente salire dalla valle l'eco dei colpi di cannone e delle raffiche di mitragliatrici, raduna la gente del villaggio nella chiesa per recitare il rosario. Le SS irrompono nel tempio, fulminano il sacerdote sull'altare e una donna inginocchiata davanti a lui. Vittoria Nanni. Tutti gli altri vengono incolonnati, portati al cimitero e uccisi a gruppi di cinque e di dieci: i morti di Casaglia saranno 147, fra cui cinquanta bimbi. In località Castellina una donna è assassinata assieme ai sette figli; in borgata Taglìadazza undici donne e otto bambini — ì componenti di quattro famìglie — sono trucidati nelle loro case; nella frazione Caprara di Marzabotto i 108 abitanti, radunati nell'osteria del villaggio, vengono sterminati con lanci di bombe a mano: la famiglia dell'agricoltore Antonio Tinelli, composta da quindici persone compresi dieci bambini, scompare in quest'ultimo eccidio. Come dirà la sentenza del tribunale militare di Bologna, che nel 1951 condannò Reder all'ergastolo (pena poi confermata in appello e in Cassazione) « la morte a Marzabotto venne data con crudeltà» e «non risparmiò nessuno »: neppure Giorgio Benassi, che aveva sei mesi, né Iole Marchi, che ne aveva tre, né Tito Latti, dì 23 giorni, né Walter Cardi, nato due settimane prima della strage. Atta Liberazione Reder fu catturato dagli americani a Salisburgo e consegnato alle autorità militari inglesi poiché era già ricercato, sia dal governo Badoglio che lo accusava di «crimini di guerra», sia dal Comitato di Londra delle Nazioni Unite che gli addebitava la partecipazione allo sterminio degli ebrei europei e l'uccisione indiscriminata di comunisti polacchi e patrioti sovietici combattendo contro i quali aveva perduto il braccio. Il governo inglese, nel 1950, consegnò Reder all'Italia e al processo di Bologna il pubblico ministero, Stellacci, chiese per lui la massima pena detentiva con queste parole: « Il soldato si differenzia dagli assassini perché ha il senso del limite della propria azione. La verità è questa: Reder, come molti suoi simili, appartiene ad una casta militare senza scrupoli e senza morale che ha disonorato la professione delle armi. Questa, infatti, non è guerra; forse nemmeno assassinio: è qualcosa di più che non ha nome ». Invano, dal carcere di Gaeta, Reder, nel 1965 e nel 1976, implorò da Marzabotto quel perdono per i suoi delitti che, se concesso, gli avrebbe aperto la possibilità della grazia: i villaggi inermi che erano stati straziati dal suo stermino gli risposero, giustamente, dì no. Giuseppe Mayda Bologna, 1951. Walter Reder, capo SS, durante il processo