Rischiare in Usa

Rischiare in Usa GLI INVESTIMENTI EUROPEI Rischiare in Usa 0 ai monti e per il soggiorno di qualche settimana nei villaggi turistici. Presi d'assalto i campings. Ma il barometro del turismo italiano segnerà « bello stabile », grazie soprattutto al consueto massiccio afflusso degli stranieri, quest'anno più numerosi che mai, attratti dal clima, dal cambio vantaggioso e dalla vasta rete ricettiva (l'Italia con i suoi 4 milioni di posti letto è al primo posto in Europa e al secondo nel mondo dopo gli Stati Uniti). Di conseguenza, la bilancia valutaria italiana riceverà una forte spinta dal turismo, con introiti vicini ai 2000 miliardi di lire, una cifra record. L'industria del sole, insomma, sosterrà anche quest'anno il ruolo della salvatrice della Patria: e non è un modo di dire, perché, dal 1950 ad oggi, il turismo è riuscito a coprire mediamente il 45 per cento del deficit della bilancia commerciale italiana. In Francia e in Germania, l'andamento turistico non presenta sostanziali differenze da quello del 1976. Circa 20 milioni di francesi andranno quest'anno in vacanza, preferendo soggiorni organizzati, in località o della Francia o di vicini paesi europei e africani (nell'ordine, Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco, Algeria, Inghilterra e Italia). In leggero ribasso i grandi viaggi internazionali (soprattutto Mauritius e Seychelles), anche se i prezzi si mantengono su livelli « abbordabili ». La bilancia turistica francese dovrebbe comunque chiudersi con un saldo attivo superiore ai 1000 milioni di franchi. Salvo ristrette categorie, i tedeschi continuano a preferire vacanze individuali non troppo costose. Più della metà dei circa 25 milioni di tedeschi che godranno delle vacanze andranno all'estero. Molti di essi trascorreranno il loro periodo di riposo sulla riviera adriatica, dove un giorno di pensione completa costa ancora sulle 6-7 mila lire. Altre mete, la Jugoslavia, la Grecia e la Spagna. Gli operatori del settore parlano di una buona stagione « ma non come lo scorso anno ». Per la bilancia turistica tedesca si prevede un saldo negativo oscillante tra i 10 e i 15 miliardi di marchi. In definitiva, il turismo in Europa «tira» ancora, ma incomincia a mostrare chiari segni di affanno. Di qui la necessità di aprire un discorso nuovo per il settore che miri ad una maggiore cooperazione fra i Paesi europei. L'argomento è stato al centro di una recente riunione a Bruxelles. In quella sede, 1 ministri del Turismo della Comunità europea hanno convenuto sull'opportunità di approfondire questi temi: 1) intensificazione dei rapporti culturali; 2) turismo sociale e scaglionamento delle ferie; 3) studio dettagliato dell'offerta turistica dell'Europa, soprattutto per i suoi valori culturali, storici c artistici, nelle aree di attuale e futuro sviluppo turistico, dove si sono manifestati e si preannunciano grossi movimenti di cittadini alla ricerca di informazione, di conoscenza e di contatto con il resto del mondo. In particolare, nei confronti di tali strati l'Europa potrebbe organizzare « pools » di offerte, con il duplice risultato di introiti valutari compensativi degli acquisti di materie prime e di un utile confronto culturale ed umano. Emilio Pucci Il costruttore di macchine fotografiche Rollei di Braunschweig, da poco in possesso di una filiale a Singapore, ha deciso di rilevare la sezione fotoproduzione del gruppo americano Honeywell. Nixdorf, costruttore di impianti di calcolo di media dimensione, acquista una azienda americana produttrice di apparecchi per l'elaborazione di dati da computer. Due notizie recenti che hanno qualcosa in comune: aziende di medie dimensioni rischiano la propria produzione negli Stati Uniti, mercato che finora era stato solo terra di conquista per le esportazioni. Seguono insomma le orme dei complessi maggiori come Siemens, Bayer, Bosch e, ultimo caso clamoroso, Volkswagen. Prima tuttavia di affermare l'imporsi di una nuova tendenza è necessario attendere i risultati. In ogni caso risulta evidente la propensione ad aumentare gli investimenti diretti europei negli Stati Uniti in percentuale maggiore di quelli americani in Europa. Il rapporto degli investimenti tra i due blocchi rimane però alla fine del 1975, non esistendo dati più recenti, di 1 a 3. Gli investimenti Cee negli Stati Uniti assommano a 13,6 miliardi di dollari, gli investimenti americani nella Cee sono di 39,1 miliardi. Le cause che determinano la crescita del numero delle aziende minori interessate al mercato americano sono molto diverse. Accanto agli aspetti finanziari, che restano predominanti gioca un ruolo importante il desiderio di non perdere il passo con lo sviluppo tecnologico d'oltre oceano. E' l'esempio di Nixdorf e l'offerta di rilevamento fatta della Siemens agli azionisti di Litronix, produttore di elementi costruttivi sull'orlo della bancarotta. Si impone quindi il concetto che la maggior parte del mercato occidentale a lunga scadenza non poteva continuare ad accontentarsi di una posizione di secondo piano rispetto alla produzione statunitense. E' chiaro che il motivo che ha indotto molte altre società tedesche ad investire all'estero, soprattutto in Paesi a basso reddito, va ricercato nel livello relativamente alto del costo del lavoro nella Repubblica Federale. L'economia tedesca è balzata infatti per la prima volta nel '76 in testa ai sei « maggiori » Paesi occidentali industrializzati. Gli Stati Uniti per anni primi in classifica, sono scivolati al secondo posto facendo cadere la quasi tradizionale barriera psicologica per gli investimenti negli Stati Uniti. Il colpo di grazia è stato dato infine dagli alti costi aggiunti del personale come situazione generalizzata in tutta Europa e, facendo i rapporti in base al marco tedesco, dai cambi monetari sfavorevoli. Bisogna pertanto assegnare la dovuta responsabilità alla debolezza della sterlina se la Gran Bretagna sia scivolata all'ultimo posto della graduatoria dei « grandi » mentre, con un importo quasi triplo, la Svezia è da sola al primo posto della lista comprendente anche i Paesi industrializzati « minori ». La situazione è più complessa dal punto di vista delle pure retribuzioni. Sotto questo aspetto l'America detiene senz'altro il primato tra i « grandi » e globalmente per il '75, si trova al terzo posto dietro Danimarca e Svezia. La Germania è quinta, la Gran Bretagna ottava, la Francia nona e l'Italia è undicesima. In tali confronti è necessario comunque notare che, per effetto dell'esame in un momento unico dei corsi dei cambi, è possibile che si verifichino alcune deviazioni anche se per i Paesi più esportatori il valore esterno della loro moneta riveste effetti diretti sulla capacità concorrenziale: il tipo di procedimento adottato per i rapporti non dovrebbe discostarsi dalla realtà. Se per la scelta della sede di un'impresa fosse solo determinante il costo del lavoro, senz'altro Irlanda e Inghilterra sembrerebbero i Paesi ideali tra quelli in esame. Si sa però che non lo sono. Perché insieme al costo del lavoro ha notevole importanza la produttività e parimenti il contesto economico e sociale, la stabilità e la sicurezza politica. Alcuni Stati europei offrono attrattive « artificiali » d'investimento sotto forma di facilitazioni fiscali o altre sovvenzioni anche solo regionali, dunque occorre molta cautela. Una inchiesta dell'Università di Cambridge tra imprese internazionali ha dimostrato che nel '76 la produttività americana è stata del 50 per cento superiore a quella inglese, quella tedesca del 27 e quella francese del 15 per cento superiore. Rispetto agli americani gli europei sono handicappati da uno svantaggio considerevole: servono piccoli mercati e non possono quindi produrre in grande serie e per grandi quantitativi lo stesso prodotto come possono invece fare le industrie nordamericane e giapponesi. Inoltre la produttività è anche influenzata da altri fattori come gli scioperi, le differenze di guadagno, la disponibilità produttiva dei collaboratori. Quanto siano notevoli le differenze viene evidenziato da uno studio del Central Policy Review-Staff inglese sulla produttività degli addetti all'industria automobilistica. Nel '75 un lavoratore della British Leyland ha prodotto automobili per un controvalore di 6 mila 539 sterline, uno della Volkswagen per 11.087, alla General Motors per 17.495 sterline e un operaio della Ford perfino per 19.905, cioè più di tre volte il suo collega della Leyland. Però, stranamente, emerge dall'inchiesta che l'operaio delle officine inglesi della Ford con 11.397 sterline produce addirittura di più di quello della catena di montaggio di Wolfsburg della Volkswagen. E' un dato sconcertante: il divario Europa-Usa sarebbe incolmabile? Joachim Weber

Persone citate: Bayer, Braunschweig, Emilio Pucci, Joachim Weber