Aveva colpita la mafia il colonnello u di Vincenzo Tessandori

Aveva colpita la mafia il colonnello u Corleone - Fulminato con un colpo alla nuca Aveva colpita la mafia il colonnello u I tre killers hanno agito a viso scoperto fra decine di passanti - Sotto i colpi muore anche l'amico dell'ufficiale - La seconda vittima, maestro, aveva già ricevuto un avvertimento - Un'ipotesi : l'obbiettivo del commando non era il colonnello Russo (Dal nostro inviato speciale) Palermo, 21 agosto. E' stato assassinato un colonnello dei carabinieri e forse non si saprà mai il perché. Delitto di mafia si dice qui a Palermo, e significa tutto e niente. Prima dei responsabili occorre trovare un movente. Ma sembra impossibile, perché di moventi non paiono esservene o ce ne sono troppi. Di certo si sa che è stata una esecuzione feroce e fredda, condotta da killers spietati, esperti, che hanno agito con calma. L'ufficiale aveva a fianco un vicino di casa, non lo hanno risparmiato. Uccisi sono il colonnello Giuseppe Russo, 49 anni; viveva a Palermo con la moglie Mercedes, una bella signora bionda, e la figlia Odette, di 9 anni. Con lui hanno abbattuto Filippo Casta, £0 anni, insegnante non di ruolo alle scuole elementari di Misilmeri, anch'egli sposato e padre di tre maschietti. L'agguato è avvenuto al Bosco della Ficuzza, una splendida località a una quindicina di chilometri da Corleone, ieri alle 22,20. E' il cuore pulsante della mafia: a Corleone è nato Luciano Leggio, detto «Liggio». Di Corleone era il medico mafioso Michele Navarra che proprio Liggio spazzò brutalmente dalla sua strada. C'era tregua ieri sera in questo tormentato angolo di Sicilia. Come sempre, Russo è uscito da casa per prendere il fresco. Parlava con Costa, stava per andare al caffè e in mano stringeva una sigaretta. Sono arrivati in macchina, una «128». L'auto compie quattro giri intorno alla radura circondata da alberi secolari. Sembra una delle tante macchine di turisti. Quando si ferma, nessuno gli presta attenzione. Neanche il colonnello che pure ripeteva di stare sempre in guardia. Gli piombano alle spalle, un colpo alla nuca un altro al torace; gli sparano in tre, sembra, e sotto l'uragano di piombo cade anche Costa. Gli assassini risalgono sull'auto. Li vede un testimone sulla cui identità si mantiene geloso silenzio: si teme per lui. Indisturbati i tre killers e l'autista si allontanano verso Palermo. L'auto, rubata, è trovata sul ciglio della strada alcuni chilometri dopo, ormai divorata dalle fiamme. L'ufficiale dal 1969 al 1976 aveva comandato il nucleo investigativo di Palermo: abile, capace, brillante, aveva fatto decine di inchieste e alcune lo avevano portato a contatto, con gli esponenti più illustri della nuova mafia. Quando a Palermo la Legione era comandata dal colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, l'allora maggiore Russo aveva condotto le indagini sull'omicidio del procuratore generale Pietro Scaglione, un altro delitto di mafia, un altro mistero insoluto. L'inchiesta più tardi venne diretta da Francesco Coco, procuratore generale di Genova. Nell'estate del 1971 l'ufficiale scrisse un voluminoso rapporto che inviò alla procura della Repubblica: una specie di radiografia della Palermo violenta degli ultimi 5 anni, contenente nomi di mafiosi riconosciuti o presunti, sospettati dei maggiori misfatti. Da quel documento si sviluppò una istruttoria che si concluse con il rinvio a giudizio di 114 persone. Erano secondo l'accusa, gli esponenti della « nuova mafia ». Molti al processo vennero assolti con la comoda formula del dubbio. Russo si era poi trovato ad affrontare altri insolubili enigmi: la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro; gli sporchi traffici della « cosca » che faceva capo a Luciano Liggio con i legami fra i mafiosi trapiantati al Nord, nel ricco triangolo industriale, e i sequestri di Luigi Rossi di Montelera a Torino e Luciano Cassina a Palermo. E c'è l'altra vittima di questa truce storia: l'insegnante Filippo Costa. Per dare una ragione dell'agguato si fruga anche nei risvolti del suo passato. E alcune cose lasciano perplessi gli inquirenti. Nel pomeriggio il maggiore dei carabinieri Antonio Subranni, che ha sostituito Russo al comando del nucleo investigativo, diceva: «Costa non era un pregiudicato, ma certo era un "controindicato" e la sua presenza in questa vicenda può indurci a chiederci se l'azione sia stata rivolta contro di lui e non contro il colonnello Russo. Ma purtroppo fino a prova contraria dobbiamo credere che l'azione sia stata fatta contro Russo». E un altro ufficiale in mattinata aveva commentato: «Il colonnello Russo aveva diecimila nemici». Alludeva agli arrestati, a coloro che sono stati proposti per l'invio a domicilio coatto, alle centinaia di indagini che avevano fatto saltare sporchi traffici. Ma accanto all'ufficiale torna ad affacciarsi ambigua e sconcertante la figura dell'insegnante. Aveva avuto legami con esponenti dell'«onorata società». Si risale indietro negli anni, soprattutto la polizia segue questa pista improbabile forse ma non impossibile. Diciassette anni or sono un suo amico, Salvatore Patinella, pregiudicato, venne abbattuto a colpi di lupara; l'anno successivo al maestrino fu dato un avvertimento esplicito: il 30 maggio gli bruciarono la «600». Inoltre nel 1964, dicono ancora gli inquirenti, «venne coinvolto nelle indagini per il favoreggiamento del mafioso Giusto Bonanno di Misilmeri». E' una inchiesta frenetica. E' coordinata dal generale Carlo Casarico. C'è stato un vertice a palazzo di giustizia: vi hanno partecipato il procuratore aggiunto dottor Gaetano Martorana, l'avvocato generale Ugo Viola e ufficiali dei carabinieri. Vincenzo Tessandori Il col. Giuseppe Russo