Quel mostro che non sospetti

Quel mostro che non sospetti Tutti «innocui», dallo strangolatore di Boston al «figlio di Sani» Quel mostro che non sospetti L'ultimo stadio del terrore è quando un poliziotto punta la pistola alla nuca di un ragazzino negro che viene da un'altra città e non ha un lavoro stabile. Gli dice: « Firma». La canna di una pistola calibro 44 è pesante e provoca la stessa sensazione di quando, cinquecento anni prima, il boia appoggiava la mannaia sulla nuca del condannato per prendere le misure per il fendente fatale. Leroy Brown firma e i titoli sui giornali di Boston il giorno dopo fanno: «Lo strangolatore ha confessato». Inevitabilmente lo salva una stupenda studentessa di colore, Daniela Sauners, violentata e poi strangolata con un indumento intimo nella sua casa di Roxbury. L'ultimo stadio del terrore in una grande città è scoprire che lo strangolatore non se la fa soltanto con vecchie donne sole che vuol derubare, ma è proprio un mostro, un maniaco sessuale, un folle omicida. E allora Charles Gumby, altro negro, ma di 37 anni e ladro, muore crivellato di pistolettate da due agenti speciali, Rita Finn e Frank Milley. «Lo strangolatore è morto», e venti giorni dopo Margarte Davis, 60 anni, viene strangolata con la cintura della vestaglia nella stanzetta di un albergo. Questo è successo agli inizi degli Anni Sessanta e Boston, la più puritana città degli Stati Uniti, dove i mostri dovrebbero essere negri e le ragazze dei collegi femminili restare vergini fino al matrimonio, come un marchio di fabbrica: «bostoniana». Ma sono modi di dire, perché nella tumultuosa New York, dove la violenza è un fatto quotidiano e domestico, nel corso di quest'anno due volte il «figlio di Sam» che andava in giro a uccidere, con una calibro 44, gente che non aveva mai visto prima in faccia, è stato sommariamente giustiziato per strada. Due linciaggi per due che avevano soltanto una pistola infilata nella cintura e per questo divenuti martiri dell'incubo. Perché, inevitabilmente, subito dopo la loro morte, una ragazza giovane e bella, possìbilmente con capelli neri, lunghi e sciolti sulle spalle, veniva fulminata da una grossa pallottola. Martiri dell'incubo, come quelle ragazze scollacciate che, approfittando magari della peste, venivano subito bruciate come streghe sulla piazza del villaggio dalle beghine. Non c'è trucco che funzioni contro il terrore del mostro, non c'è innocente che possa pagarla al posto suo, perché lui non ne approfitta e colpisce di nuovo. E' al sicuro da tutto, assolutamente anonimo, sempre insospettabile, mentre tutti, proprio tutti gli altri sono in pericolo. Il «figlio di Sam» è un impiegato delle poste, David Berkovitz, 24 anni, mite e grassoccio; l'hanno preso per caso, controllando i proprietari delle auto multate nella zona dov'era stato commesso l'ultimo delitto (sono stati «soltanto» sei). Stava per uscire e andare in un night di Coney Island con una machine-pistole sotto la giacca: «Peccato — ha detto agli agenti —. Sarei uscito di scena con una fiammata di gloria». E lo strangolatore di Boston, contrariamente all'immagine della polizia, era un bianco, l'ex sergente coraggioso, Albert Desalvo che si costituì dicendo: «Ho bisogno del vostro aiuto». E l'unica prova a suo carico — non fu mai condannato — fu che i delitti cessarono. In quasi due anni tredici donne dai 16 ai 75 anni erano state strangolate con calze di seta, reggipetti, pezzi di vestaglia: spesso erano state violentate. La bomba atomica e il black-out sono paure, ha detto lo scrittore Truman Capote, quello del mostro è terrore. Ci vuole tempo perché dilaghi, ma poi scompare solo nel supremo esorcismo finale. L'assussino senza volto che uccide casualmente è stato paragonato all'ombra mo- derna di Satana ed ha analogie con i terrori medioevali per i vampiri o i lupi mannari. Boston fu per due anni una città fantasma, le scuole femminili vuote, ogni porta sbarrata. A New York non si trova una ragazzina bruna che non si sia tinta i capelli o non li porti cortissimi, per evitare di somigliare a quella che in qualche modo sembrava essere la vittima preferita del «figlio di Sam». Pistole calibro 44 nel mesi scorsi sono state trovate abbandonate a decine, i banchi pegno e gli armaioli le svendevano. E' la reazione « normale », quella che il maniaco non si sognerebbe mai di prendere in considerazione, perché lui è sempre al di sopra di ogni sospetto. Non è pregiudicato, non si è mai fatto notare per attività sessuali parcnormali. E' una persona perbene, come « Jack the cripper », lo squartatore di Londra che non ebbe mai un volto anche se Scotland Yard finì col sospettare di un baronetto im¬ parentato con la famiglia reale. I delitti finirono quando morì, ma è una prova? E Albert, il cannibale di Washington, aveva sei figli educati cristianamente, 64 anni, qualche folle in famiglia, ma come si poteva sospettare di un « buon vecchietto » come lui? Faceva l'imbianchino e non rubava nulla nelle case dove faceva un buon lavoro e dava carezze e caramelle ai bambini. Ne mutilò e torturò orribilmente un centinaio, ne uccise quindici. Hanno tutti contro, compresa la malavita che non è meno furibonda della polizia. Ma solo nel celebre film di Fritz Lang, il mostro di Dusseldorf che si chiamava Peter Kurten e uccise, a partire dal 1929, 28 persone tra uomini, donne, vecchi e bambini, fu catturato grazie a un mendicante cieco che gli mise una mano sulla spalla con su scritto « M », ovvero «mòrder », assassino. Nella realtà, si arrivò addirittura a sospettare di una donna che aveva graffiato e sforbiciato un uomo dopo averlo attirato in casa. « E' il mostro », raccontò lo studente, ma in verità era sfuggita essa stessa al maniaco e le era venuto un complesso sadico che l'aveva indotta a cercare di sbranare il primo uomo che le fosse capitato a tiro. Peter Kurten, che continuava a farla franca sebbene la sua furia sanguinaria fosse ormai incontrollabile, fu preso perché denunciato dalla moglie. Era un marmista. « Bravissimo », « gentilissimo », « non avreb| be fatto male ad una mosca», : proprio come il prossimo moI stro che si impadronirà di j una città. Forse ha già colpiI to e non c'è neppure la luna piena a segnalare che dobbiamo chiuderci in casa. Emio Donaggio David Berkovitz

Luoghi citati: Boston, Londra, New York, Stati Uniti, Washington