«Frate Mitra» si è nascosto in un paese della Provenza di Mario Bariona

«Frate Mitra» si è nascosto in un paese della Provenza I carabinieri confermano: "E' vivo,, «Frate Mitra» si è nascosto in un paese della Provenza Gli unici a sapere dove si trovi «frate mitra» sono i carabinieri: secondo le loro informazioni l'infiltrato delle Br si troverebbe «sotto protezione» in un paesino della Provenza in Francia. Dopo il messaggio del mitomane, che a nome delle Br aveva comunicato ieri l'arresto di Silvano Girotto ed il sue processo Silvano Girotto in corso, i carabinieri hanno stabilito un contatto con lui ed hanno categoricamente smentito tutto. Un dispaccio di agenzia dice: «Frate mitra sta bene e manda saluti». La questura di Milano, invece dimostra un certo scetticismo. Ha detto un funzionario: «Si fa presto a dire che è vivo. Non dimentichiamo che un gruppo delle Br gli sta dando la caccia dal giorno del suo tradimento». Silvano Girotto, insieme con Marco Pisetta, è stato uno degli infiltrati che più ha danneggiato l'organizzazione delle Brigate rosse. Infatti già dal tempo dell'arresto di Renato Curcio e di Alberto Pranceschini, due dei «capi storici» catturati a Pinerolo, aveva il soprannome fra i brigatisti di «Bestia feroce». La vita di Silvano Girotto è di una ambiguità sconcertante. Piglio di un maresciallo dei carabinieri, nasce a Caselle di Torino, nel febbraio del 1938. Ha una adolescenza burrascosa: piccoli fui ti, poi il riformatorio. A diciotto anni si arruola nella Legione straniera, dalla quale fugge poco dopo. Rientra in Italia e finisce in una banda di rapinatori. Prima condanna a quattro anni di reclusione che passa interamente alle «Nuove». Si converte, come dice il cappellano del carcere padre Ruggero, con «intima convinzione», e consegue la maturità classica. Scontata tutta la pena, entra in convento, ed è ordinato sacerdote nel 1969, con il nome di padre Leone. Poi parte missionario in Bolivia. Racconterà che «è la causa degli oppressi che lo ha spinto ad imbracciare il mitra». Dalla Bolivia al Cile. E' qui che durante il sanguinoso «golpe» di Pinochet, si rifugia nell'ambasciata italiana di Santiago. Gli esuli cileni, quelli che hanno combattuto davvero, lo guardano già con sospetto. Certi suoi atteggiamenti spavaldi suonano provocatori, qualcuno aggiunge una accusa durissima: avrebbe accettato di entrare a far parte del gruppo della Cia che opera in America Latina. Quando rientra in Italia, l'approccio con le Brigate rosse. « Il capitano Gustavo Pignero lo avvicina nel maggio del 1974 e accetta la sua proposta di collaborare con la giustificazione che questa Menzione è in coerenza con le sue idee di sinistra; ritenendo appunto necessaria questa collaborazione nella situazione politica ed economica italiana » è scritto nella sentenza di rinvio a giudizio delle Br del giudice istruttore Giancarlo Caselli « proprio per lottare a fondo contro movimenti del genere delle Brigate i-osse, profondamente dannosi alla causa del proletariato ». Attraverso una serie di contatti: Levati, Borgna, Caldi, Lazagna arriva a conoscere Renato Curcio. Silvano Girotto confida ai carabinieri: « Mi è parso intelligente, preparato; era con un altro da cui sembrava attendere cenni di approvazione ». Dirà Renato Curcio in un interrogatorio del 16 ottobre 1974: « Girotto è un provocatore, e forse anche un ammalato, suppongo di testa » e interrogato sui suoi rapporti col Girotto, il 12 dicembre dello stesso anno, Renato Curcio aggiunge: « Non intendo parlarne, non si possono mettere sullo stesso piano una spia, un giuda e un militante rivoluzionario ». « Frate Mitra » ebbe diversi milioni in cambio di alcune «rivelazioni»: dichiarò che il sequestro Rossi era denominato «operazione Girasole» e che glielo aveva detto Renato Curcio dimostrando di essere un capo dell'organizzazione. In un documento di autocritica Curcio aveva scritto: «E' molto difficile coprire il serpente, sotto la tonaca del frate». Mario Bariona Nevio Boni