L'Unidal (Motta-Alemagna) chiude: "Ormai è inevitabile" di Natale Gilio

L'Unidal (Motta-Alemagna) chiude: "Ormai è inevitabile" Quale la sorte degli ottomila dipendenti? L'Unidal (Motta-Alemagna) chiude: "Ormai è inevitabile" La proposta dell'Iri al ministero è stata accettata - La crisi di vertice dell'Eni attende una risposta - Domani riprende la discussione Roma, 24 luglio. ] Settimana arroventata per le Partecipazioni Statali: al pettine vengono i nodi dell'Unidal, la società dell'Iri nata dalla fusione tra Motta e Alemagna e l'assetto dei vertici dell'Eni dopo la lunga riunione di venerdì che con la nomina di Barbaglia alla presidenza dell'Agip ha collocato uno solo dei tasselli di un mosaico ben più ampio. La crisi dell'Unìdal e la probabile liquidazione della Motta e dell'Alemagna, anticipata da La Stampa, non è nuova anche se la decisione di chiudere è giunta inaspettata. Il comitato di presidenza dell'Iri da tempo andava studiando come tamponare la grave situazione di liquidità della Sme (la finanziaria che ha in portafoglio la maggioranza delle azioni Unidal) che già da un paio di mesi aveva costretto i dirigenti della finanziaria a fare i salti mortali per pagare gli stipendi dei circa 8 mila dipendenti. Si sperava evidentemente o in nuove iniezioni di denaro fresco attraverso i versamenti del fondo di dotazione che l'Iri da tempo va richiedendo, oppure e in via principale, di sbloccare l'opposizione dei sindacati ad una ristrutturazione delle aziende dolciarie con l'« espulsione » di circa 2500 dipendenti. Né l'una né l'altra cosa si è realizzata: di fronte ad un mare di perdite (100 miliardi in circa due anni) al comitato di presidenza dell'Iri non è rimasto altro che presentare al ministero delle Partecipazioni Statali una proposta di chiusura «accettata per il solo fatto che non c'era più nulla da fare». C'è da dire che nelle intenzioni dell'Iri la chiusura non sarà temporanea, nel senso di met- tere in cassa integrazione guadagni gli 8 mila dipendenti della società. Si procederà invece alla liquidazione dal momento che il capitale sociale di 25 miliardi e 766 milioni è andato completamente distrutto, senza possibilità di reintegro, navigando sia la Sme sia Uri in un mare di debiti. Si tratterà di vedere adesso se, e in che modo, i sindacati riusciranno ad evitare la chiusura, il cui annuncio verrà dato ufficialmente il 28 luglio prossimo. Si cercherà di premere sul governo e sul ministero delle Partecipazioni Statali perché trovino soluzioni, magari temporanee, impegnandosi questa volta ad esaminare il piano di ristrutturazione finora rifiutato. Un fatto comunque è certo: l'industria del « panettone di Stato » è ormai fallita. Passiamo all'Eni. La notte dei lunghi coltelli che ha visto venerdì scorso impegnata per dodici ore di fila la giunta esecutiva dell'ente petrolifero nella sistemazione del complesso mosaico di nomine ai vertici delle società capogruppo, si è chiusa con la sola nomina di Enzo Barbaglia alla presidenza dell'Agip, al posto del dimissionario Egidi. La discussione riprenderà martedì, quando in un modo o nell'altro si dovranno trovare soluzioni per coprire le poltrone rimaste vacanti della Snam e della Tescon, quest'ultima dopo le dimissioni di Francesco Forte. L'organigramma studiato dal presidente dell'Eni, Sette e dal vice presidente, Mazzanti, d'accordo con Bisaglia, prevede l'ingresso, o meglio dovrebbe dirsi il ritorno, all'ente di Stato di Giuseppe Ratti, Ugo Niutta e Giacchino Albanese. Il primo, ex ministro degli Esteri dell'Eni, poi passato alla Montedison, dovrebbe essere cooptato nel consiglio di amministrazione dell'Anic per passare, in tempi brevi, alla vicepresidenza della società. Il secondo, per vent'anni all'Eni prima con Mattei e poi con Cefis (è stato uno dei principali artefici del piano petrolifero nazionale), commissario «liquidatore» dell'Egam, è candidato alla presidenza della Snam e in via alternativa alla Saipem, qualora l'attuale presidente Enrico Gandolfi, accetti di passare alla Snam. Il terzo, addetto in passato alle pubbliche relazioni dell'Eni e poi uomo di fiducia di Cefis, fino al momento di una clamorosa rottura, dovrebbe andare alla presidenza della Tescon. Il braccio di ferro all'interno della giunta esecutiva si è avuto intorno a queste tre no- j mine, indicate da qualcuno come «inserimenti esterni al gruppo», a danno di possibili scelte inteme. La rivolta dei dirigenti dell'Eni, conseguente alle dimissioni di Egidi, ha posto come condizione, per un suo riassorbimento, di privilegiare scelte manageriali, escludendo nomine che potessero derivare da sollecitazioni politiche. Di fronte alle obiezioni di alcuni membri della giunta, sia Sette sia Mazzanti hanno fatto rilevare come nel caso di Ratti e Niutta non si poteva parlare di sollecitazioni politiche, avendo i due dato prova di notevoli capacità e di saper agire senza subire condizionamenti Se perplessità si potevano avere, queste riguardavano Albanese, l'esperienza del quale si era principalmente formata nell'ambito delle pubbliche relazioni. Fra l'altro per i primi due, il ritorno all'Eni poteva rappresentare un prezioso elemento aggiuntivo per il rilancio. ssAdqduvgctdc«d Resta da vedere adesso cosa accadrà martedì alla prossima riunione della giunta. Almeno per Ratti e Niutta, dalla sorte dell'uno dipende quella dell'altro, non potendosi certamente privilegiare uno soltanto. Natale Gilio

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