La lunga attesa del Medio Oriente di Fabio Galvano

La lunga attesa del Medio Oriente Begin in Usa: speranze La lunga attesa del Medio Oriente Fra due settimane il primo ministro d'Israele, Menahem Begin, si recherà a Washington per un incontro con Carter che gli specialisti indicano come decisivo nel quadro della crisi mediorientale. Vincitore a sorpresa delle recenti elezioni, Begin e il suo partito Likud rappresentano l'ala conservatrice della politica israeliana, e fin dalle prime battute era parso che la sua intransigenza a sfondo religioso potesse seriamente compromettere la riapertura della conferenza di Ginevra. L'irrinunciabilità alle terre occupate nel '67, in particolare alla Cisgiordania, contrastava apertamente con quello che era stato fino ad allora l'atteggiamento dell'amministrazione Carter, attestata su un possibilismo totale, senza precondizioni. Una scaramuccia L'immediata scaramuccia iniziale (il Dipartimento di Stato ha fatto una dichiarazione pubblica reiterando la propria posizione e causando preoccupanti attriti proprio in vista del viaggio americano di Begin) ha avuto tuttavia il merito di chiarire le relative posizioni alla vigilia dell'incontro di Washington. La dichiarazione del Dipartimento di Stato — solo in apparenza incauta in un momento così teso per le sorti della pace nel Medio Oriente — è valsa a smussare le spigolosità che la politica « ufficiale » di Begin e il dichiarato appoggio americano per Israele stavano creando. Si è capito, cioè, che gli Stati Uniti non sarebbero stati disposti ad avallare l'intransigenza del nuovo governo israeliano. Begin deve avere accusato il colpo, tant'è che nei giorni seguenti ha rilanciato l'ipotesi di una conferenza di Ginevra senza precondizioni, indicando addirittura la data del 10 ottobre. Da allora gli sviluppi della vicenda hanno avuto un ritmo convulso. Il presidente egiziano Sadat ha risposto di essere d'accordo, e ha addirittura suggerito di anticipare la data, proposta che Begin ha ritenuto opportuno frenare sottolineando che prima di tale data Israele sarà impegnata nelle celebrazioni delle sue annuali festività (il Kippur, anzitutto). Comunque la strada è aperta: ì colloqui che Carter ha recentemente avuto a Washington con lo stesso Sadat e con re Hussein di Giordania hanno creato, secondo gli esperti, una serie di premesse alla positiva riconvocazione della conferenza di Ginevra. Il mondo arabo, in altre parole, è ora disposto a trattare, riconoscendo implicitamente il diritto all'esistenza dello Stato israeliano (anche se finora nessun leader arabo ha ritenuto di impegnarsi formalmente a tale riguardo), e Begin deve essersi reso conto che l'insistenza sulle linee ventilate durante la campagna elettorale c subito dopo l'elezione sarebbe stata a dir poco controproducente. I colloqui fra Sadat e Hussein, che rappresentano l'ala più moderata del movimento panarabo, hanno confermato proprio ieri al Cairo la disponibilità dell'Egitto e della Giordania a una trattativa ohe porti a una soluzione definitiva della crisi mediorientale: i due leaders hanno tuttavia sottolineato che occorre affrontare realisticamente il problema dei palestinesi, e purtroppo le « apertute » di Begin non hanno finora incluso la possibilità di accogliere una delegazione palestinese al tavolo delle trattative. Sono tutte cose di cui, inevitabilmente, Begin discuterà a Washington, riprendendo anche la questione dei territori occupati. Di fatto, si ritiene in ambienti Usa, il premier israeliano sarabbe anche disposto a una rinuncia «touteourt» alle terre occupate nella «guerra dei sei giorni», e a questo lo spingerebbe il pragmatismo che gli stessi americani, seppure contrariati dalla sua vittoria elettorale e dalle sue successive dichiarazioni, gli riconoscono; Begin deve tuttavia considerare anche la reazione dei notabili del suo partito, i quali non nascondono una spiccata preferenza pei un vasto programma di « colonizzazione» di quelle regioni. C'è anche chi intende la presa di posizione americana, valutandone più apparente che reale il contrasto con Gerusalemme, come un tentativo della Casa Bianca di rinsanguare la sua credibilità di «mediatrice» imparziale, non eccessivamente legata alla posizione d'Israele. E' forse significativa, dopo la polemica per le dichiarazioni del Dipartimento di Stato, la decisione presa da Carter di evitare altri «pronu;iuamenti» sul Medio Oriente prima della visita di Begin. Posizione chiarita Le acque che erano da smuovere sono ora un turbinio, gli Stati Uniti hanno chiarito la loro posizione che, a differenza di quella della amministrazione Ford, non è più esclusivamente fiancheggiatrice di Israele. Carter ritiene che sia necessario il compromesso, che per te pace in Medio Oriente siano necessarie concessici"! arabe ma anche la rinuncia, da parte di Israele, ai terrilori occupati e al rifiuto a priori di uno Stato palestinese, tutto sta a vedere se Begin e gli arabi avranno la volontà di adeguarsi al progetto americano. Fabio Galvano