Svolta per il M.O. dal vertice Olp?

Svolta per il M.O. dal vertice Olp? I palestinesi, riuniti oggi a Damasco, discutono le "aperture,, Usa Svolta per il M.O. dal vertice Olp? (Dal nostro inviato speciale) Il Cairo, 24 agosto. La riunione dell'Olp, domani a Damasco, potrebbe segnare una delle date storiche nella costruzione dello Stato palestinese, e realizzare un'altra delle tappe verso la «pace sicura». Yasser Arafat, i 55 membri del Consiglio centrale fedayn discuteranno «gli ultimi sviluppi della situazione in Medio Oriente»: questo significa un giudizio sui risultati della missione Vance, e la posizione da tenere il prossimo mese a New York durante i colloqui «a distanza» tra Pronte arabo e governo israeliano. Ci saranno molte parole, e sicuramente anche dichiarazioni d'intransigenza nazionalistica. Ma non conta, è la routine «obbligata» d'un movimento di liberazione che ancora ha una tattica militante — di guerriglia terroristica — accanto all'azione politica condotta a guadagnargli la rappresentanza istituzionale d'un «popolo che cerca una patria». Quello che conta è il grado di disponibilità che il Consiglio centrale mostrerà riguardo alla risoluzione 242 dell'Onu. Il viaggio del segretario di Stato americano in questa regione è stato valutato gene¬ ralmente in termini politici piuttosto prudenti, freddi o anche di chiara delusione, ma nel bilancio della «missione» almeno un risultato di forte potenzialità va riconosciuto all'apertura fatta dall'Olp verso una «possibile accettazione» della Risoluzione 242. Il termine del confronto tra il blocco arabo e quello israelo-americano si è ormai spostato definitivamente su questa flessibilità palestinese, che scavalca l'impasse del «no» rigido alla decisione presa dieci anni fa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. E' un confronto ormai diretto tra l'Olp e gli Usa: l'intransigenza di Begin è fatalmente destinata a isolare Israele, la sua escalation nei territori arabi occupati non ha trovato una minima solidarietà presso alcun governo amico. L'amministrazione Carter non nasconde di dover soffrire il condizionamento della lobby ebraica, ma la recente condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania («un atto illegale e inopportuno») conferma un interesse reale — politico e strategico — del Presidente Usa a una sistemazione definitiva del problema mediorientale. Nonostante molte ambiguità e contraddizioni dall'una e dall'altra parte, il dialogo a distanza continua; e s'avvicina così il momento dello show-down tra Washington e Gerusalemme. La svolta s'era avuta durante i colloqui di Vance in Arabia Saudita, quando il ministro degli Esteri Saudi Al Feisal informava il collega americano che l'organizzazione fedayn si dichiarava disposta ad accettare la Risoluzione 242, purché questa fosse stata emendata nella parte che riconosce ai palestinesi Io status di profughi e non un diritto nazionale. Il giorno dopo, Carter dichiarava alla Nbc che gli Usa avrebbero potuto sostenere la rivendicazione palestinese di una Homeland, una «patria». Nei colloqui con Vance, però, Begin ripeteva il suo rifiuto a ogni dialogo con l'Olp, all'abbandono dei territori occupati, alla nascita d'un terzo Stato nella West Bank. Il segretario di Stato doveva ammettere di «non aver potuto avvicinare neanche d'un centimetro» la posizione dei due fronti, il mondo arabo (e palestinese) reagiva con dichiarazioni aspramente polemiche al rifiuto israeliano. Tutto veniva rinviato agli incontri «a distanza» che si svolgeranno tra un mese a New York. Ma intanto bisognava tentare di precisare i termini concreti attraverso cui realizzare la disponibilità fedayn e quella americana. Anche se molte critiche sono state mosse dalle capitali arabe alla dichiarazione di Sadat che «gli Stati Uniti hanno in mano almeno il 99 per cento delle carte per la pace in Medio Oriente», non v'è dubbio che Arafat ha ora impresso una nuova direzione all'Olp, riconoscendo nella Casa Bianca l'interlocutore privilegiato della politica palestinese. Nelle sue dichiarazioni pubbliche e nei meeting dei fedayn ripete ancora gli slogan di battaglia, la lotta armata della rivoluzione nazionale, la certezza d'una patria «integrale»; ma nelle sedi della diplomazia tradizionale, le sue offerte di dialogo verso Washington mostrano un'articolazione coerente e credibile. Si sa per indiscrezioni che un contatto diretto è già stato stabilito (William Scranton ha anche incontrato a Londra, ufficiosamente, il ministro degli Esteri dell'Olp, Faruk Kaddumi), e una settimana fa, a Beirut, per la prima volta il portavoce ufficiale dei fedayn, Mahmud Labadie, ha espresso un giudizio ampiamente positivo su un ministro degli Esteri americano. Sono segni d'un processo in corso, e Carter dimostra di saperne decodificare il valore politico. Ma come l'Olp, anche la Casa Bianca ha una sua schizofrenia diplomatica, e le dichiarazioni di Atherton o di Vance non sempre servono a chiarire quanto va dicen do il Presidente americano. Il gioco sottile delle allusioni politiche complica l'interpretazione delle fasi del dialogo, il riconoscimento «possibile» della homeland promesso da Carter finisce per diventare una nuova drammatica dichiarazione Balfour. Il problema da chiarire per primo è se sia possibile un emendamento della Risoluzione 242, e se sia necessaria — prima — una dichiarazione di accettazione da parte dell'Olp. H ministro degli Esteri francese he smentito una iniziativa dei sui> Paese per proporre la convocazione del Consiglio di sicurezza dell'O- Miirmo Candito (Continua a pagina 2 in sesta colonna)