Il nostro sigillo di Primo Levi

Il nostro sigillo RACCONTO DELLA DOMENICA | Il nostro sigillo Al mattino qui le cose vanno cosi: quando suona la sveglia (ed è ancora notte fonda) ci si infila prima di tutto le scarpe, se no qualcuno te le ruba, ed è una tragedia senza nome; poi, in mezzo alla polvere ed alla calca, si cerca di rifare il letto secondo le prescrizioni. Subito dopo si scappa alle latrine e al lavatoio, si corre a mettersi in coda per il pane, e infine ci si precipita in piazza dell'Appello, ci si inquadra col proprio drappello di lavoro, e si aspetta che finisca la conta e che il cielo cominci a schiarire. Ad uno ad uno, nel buio, si avvicinano i fantasmi che sono i nostri compagni. La nostra squadra è una buona squadra: abbiamo un certo spirito di corpo, non ci sono novellini maldestri e piagnucolosi, e fra noi corre una ruvida amicizia. Al mattino, fra noi, è usanza salutarsi con etichetta: buongiorno Herr Doktor, salute a Lei signor Avvocato, come ha passato la notte signor Presidente? Le è piaciuta la prima colazione? Arrivò Lomnitz, antiquario di Francoforte; arrivò Joulty, matematico di Parigi; arrivò Hirsch, misterioso affarista di Copenaghen; arrivò Janek l'Ariano, gigantesco ferroviere di Cracovia; arrivò Elias, nano di Varsavia, rozzo, matto e probabilmente spia. Da ultimo come sempre, arrivò Wolf, farmacista di Berlino, curvo adunco ed occhialuto, mugolando un motivo musicale. Il suo naso giudaico fendeva l'aria torbida come la prua di una nave: lui lo chiamava, in ebraico, « Hutménu », « il nostro sigillo ». « Ecco che viene l'incantatore, l'ungitore delle scabbie », annunciò cerimoniosamente Elias: « Benvenuto fra noi, Eccellenza Illustrissima, Hochwohlgeborener. Ha dormito bene? Quali sono le notizie della notte? Hitler è morto? Sono sbarcati gli inglesi? ». Wolf prese il suo posto nella fila; il suo mugolio andò crescendo di volume, si arricchì e colorò nei toni, ed alcuni fra i suoi compagni riconobbero le battute finali della Rapsodia op. 53 di Brahms. Wolf, quarantenne, uomo chiuso e dignitoso, viveva di musica: ne era compenetrato, motivi sempre nuovi si inseguivano dentro di lui, altri sembrava aspirarli estraendoli dall'aria del campo, attraverso il suo celebre naso. Secerneva musica come i nostri stomaci secernevano fame: riproduceva con accuratezza (ma senza virtuosismi) i singoli strumenti; ora era violino, ora flauto, ora era direttore d'orchestra e tutto accigliato dirigeva se stesso. Qualcuno ridacchiava e Wolf (Wòlef, se pronunciato alla maniera Yiddisch) accennò stizzito di fare silenzio: non aveva ancora finito. Cantava intento, curvo in avanti, con gli occhi al suolo; in breve, accanto a lui, spalla contro spalla, si formò un crocchio di quattro o cinque compagni, nella sua stessa posizione, come se attingessero calore da un braciere ai loro piedi. Wolf da violino si fece viola, ripete tre volte il tema in tre varianti gloriose, e poi lo estinse in un ricco accordo finale. Si applaudi discretamente da solo: altri si unirono all'applauso, e Wolf si inchinò con gravità. L'applauso si spense, ma Elias continuò a battere le mani con violenza, gridando: «Wolf, Wolef! Viva Wolef, Rognawolef. Wolef è il più in gamba di tutti, e sapete perché? ». Wolf, ritornato alle dimensioni di un comune mortale, guardava Elias con diffidenza. « Perché ha la scabbia e non si gratta! » disse Elias. « E questo è un miracolo: benedetto sii Tu, Signore Iddio nostro, Re dell'Universo. Io li conosco, questi prussiani: prussiano il Decano del campo, prussiano il medico della scabbia, prussiano Wolf, ed ecco che Wolf diventa ungitore, diventa Rognawolf. Ma niente da dire: è un ungitore meraviglioso, unge come una mamma ebrea. Unge che è un sogno: ha unto anche me, e mi ha fatto guarire, sia lode a Dio e sia lode a tutti i Giusti. E a forza di ungere tutti, adesso la rogna se l'è presa, e unge se stesso. Non è vero, Maestro? Eh si, si unge la pancia, perché incomincia di 11: se la unge di nascosto, tutte le sere. L'ho visto io, a me non sfugge niente. Però è un uomo forte e non si gratta: i Giusti non si grattano ». « Storie, disse Janek l'Ariano: chi ha la rogna si gratta. La rogna è come essere innamorati; se ce l'hai, si vede ». « Bene, e invece il Maestro Rognawolf ce l'ha e non si gratta. Non ve l'ho detto, che è il più bravo di tutti? ». « Elias, sei un bugiardo, il più gran bugiardo del campo. AlJi Avere la scabbia e non grattarsi è impossibile ». Dicendo cosi, Janek cominciò a grattarsi, senza accorgersene, e a poco a poco si misero a grattarsi anche gli altri: del resto, la scabbia ce l'avevano tutti, o stavano per averla, o erano appena guariti. Elias additò Janek al pubblico con una risata da orco: « Uhh vedete, vedete se Wolef non è un uomo di ferro, si grattano anche quelli sani, e lui che è rognoso sta lì fermo come un re! »; poi, di scatto, si avventò su Wolf, gli abbassò i pantaloni e gli sollevò la camicia. Alla luce incerta dell'alba si intravide il ventre di Wolf, pallido e raggrinzito, coperto di graffi e di irritazioni. Wolf saltò indietro, cercando simultaneamente di respingere Elias: ma questi, che era più basso di Wolf di tutta la testa, spiccò un balzo e gli si avvinghiò al collo: tutti e due crollarono a terra, nel fango nero; Elias era di sopra, e Wolf boccheggiava mezzo soffocato. Alcuni cercarono di interporsi, ma Elias era forte, e stava abbarbicato all'altro con braccia e gambe, come un polipo. Wolf si difendeva sempre più debolmente, tentando di colpire Elias con calci e ginocchiate sferrati alla cieca. Per fortuna di Wolf, arrivò il Kapo, somministrò salomonicamente pedate e pugni ai due aggrovigliati al suolo, li separò e mise tutti in fila: era l'ora di partire in marcia per il lavoro. L'incidente non era di quelli memorabili, ed infatti fu presto dimenticato, ma il nomignolo Rognawolf (« Kratzewolf ») aderì tenacemente al personaggio, incrinandone la rispettabilità, ancora molti mesi dopo che della scabbia era guarito, ed esonerato dalla carica di ungitore. Lui lo portava male, soffrendone visibilmente, e contribuendo così a non lasciarlo svanire. Venne infine una timida primavera, ed in uno dei primi periodi di sole ci fu un pomeriggio di domenica senza lavoro, fragile e prezioso come un fiore di pesco. Tutti lo passarono dormendo, i più vitali scambiandosi visite da baracca a baracca, o studiandosi di rammendarsi gli stracci e di attaccarsi i bottoni con filo di ferro, o limandosi le unghie contro un ciotolo. Ma da lontano, coi capricci del vento tiepido e odoroso di terra umida, si sentiva venire un suo no nuovo, un suono così im probabile, così inatteso, che tutti levarono il capo per ascoltare. Era un suono esile come quel cielo e quel sole, e veniva di lontano sì, ma dall'interno del recinto del campo. Alcuni vinsero la loro inerzia, si misero in caccia come segugi, incrociando con passo impedito e con le orecchie tese: e trovarono Rognawolf, seduto su una pila di tavole, estatico, che suonava il violino. Il « suo sigillo » vibrava teso al sole, i suoi occhi miopi erano perduti al di là del filo spinato, al di là del pallido cielo polacco. Dove avesse trovato un violino era un mistero, ma i veterani sapevano che in un Lager può capitare tutto: forse l'aveva rubato, forse noleggiato per pane. Wolf suonava per sé, ma tutti quelli che passavano si fermavano ad ascoltare con un'espressione golosa, come di orsi che fiutino il miele, avidi timidi e perplessi. A pochi passi da Wolf stava Elias, sdraiato con la pancia al suolo, e lo fissava quasi incantato. Sul suo volto da gladiatore ristagnava quel velo di stupore contento che si nota qualche volta sul viso dei morti, e fa pensare che veramente abbiano avuto, per un istante, sulla soglia, la visione di un mondo migliore. Primo Levi

Persone citate: Brahms, Herr Doktor, Hirsch, Hitler, Kapo

Luoghi citati: Berlino, Copenaghen, Cracovia, Francoforte, Parigi, Varsavia