Un giusto premio a Manlio Rossi Doria di Manlio Rossi Doria

Un giusto premio a Manlio Rossi Doria LA BATTAGLIA MERIDIONALISTA CONTRO INGIUSTIZIE E DILETTANTISMI Un giusto premio a Manlio Rossi Doria «Studiare e combattere». In cinquant'anni di battaglia meridionalista, spesa a combattere non solo il fascismo, ma anche i miti, gli slogan, le improvvisazioni, Manlio Rossi Doria è rimasto fedele al suo programma, «contro un destino che si può, si deve piegare, cambiare». Non quindi ad una singola sua opera, ma all'uomo, alla sua produzione complessiva, alla sua testimonianza di azione è stato assegnato il Premio Napoli per la saggistica meridionalistica. Il mezzo secolo si allunga se l'anno di partenza sale al 1924, quando decideva di andare a Portici a studiare agraria per dedicarsi al Mezzogiorno. Fin d'allora era in rapporti di amicizia con Umberto Zanotti Bianco che lo presentò ad Eugenio Azimonti, nella cui azienda agricola di Marsicovetere, in Alta Val d'Agri, passò a far pratica le quattro estati dal 1925 al 1928. Fu Azimonti che lo portò da Giustino Fortunato nella primavera del 1925 e con don Giustino in carrozza andò per la prima volta a trovare Benedetto Croce. Anni di carcere Dall'ottobre del '28 al settembre del '30 — data del primo arresto — Rossi Doria lavorò con un altro politico-economista agrario, Emilio Sereni, anche lui «borsista» presso l'Osservatorio di Economia Agraria per la Campania, costituito allora da Alessandro Brizi, alle due inchieste Inea sui «Rapporti tra proprietà, impresa e manodopera» e su «La formazione di proprietà coltivatrice nel primo dopoguerra» in Campania. Nel gennaio del 1930, in qualità ancora di «borsista», Rossi Doria andò in Inghilterra, dove fra l'altro, per un incarico di amici antifascisti, incontrò l'esule don Sturzo. Ma il viaggio servì principalmente a prendere contatto (il primo, a differenza di quel che è detto nelle storie ufficiali del pei) per i1 gruppo napoletano con i dirige i comunisti a Parigi. Era du..«iue comunista quando, venticinquenne, veniva condannato dal Tribunale speciale, assieme a Sereni, a 15 anni di carcere, dei quali scontati solo cinque, a S. Gimignano, a Piacenza (con Ernesto Rossi), a Firenze, a Civitavecchia, con Terracini, Valiani, Scoccimarro. Una prima scelta la fece nel settembre del '35, quando, liberato dal carcere assieme a Sereni, decideva di rimanere in Italia. Aveva allora inizio la collaborazione anonima alla rivista «Bonifica e Colonizzazione», fondata con il suo aiuto e diretta dall'ing. Giovanni Volpe, figlio dello storico Gioacchino e nipote di Arrigo Serpieri. Metà di ogni fascicolo, cioè le parti redazionali, dal '36 al '43, le scriveva lui, Rossi Doria, che continuò la collaborazione anche dal confino lucano. Nel '37, l'abbandono del pei. Nuovo arresto, allo scoppio della guerra, nel giugno del '40. Poi al confino in Lucania. Il destino aveva voluto che un altro intellettuale, Cario Levi, venisse spedito nelle stesse povere contrade, a Grassano e ad Aliano, immobile teatro del Cristo si è fermato ad Eboli. Rossi Doria passò invece da San Fele a Melfi (con Eugenio Colorili), poi ad Avigliano, con Franco Venturi. A da Avigliano entrambi, all'atto della sua costituzione nella prima¬ vera del '43, aderirono al partito d'azione. L'incontro con la Basilicata, iniziato 22 anni prima come studente e come ricercatore, rinnovato nel '40 come confinato, si ripeteva ancora nel 1946. Quando, a fianco di Guido Dorso, l'altro suo «vero» maestro, di Carlo Levi, di Michele Cifarelli, di Vincenzo Calace, si batteva per la Repubblica nella lista del «Galletto», nella piazza di Tricarico incontrò un giovinetto dai capelli rossi, Rocco Scotellaro. L'amico Scotellaro L'edizione postuma delle poesie di Scotellaro, apparse da Mondadori sotto il titolo E' fatto giorno, venne curata da Carlo Levi. Allo stesso editore è stata consegnata l'edizione critica delle poesie inedite di Rocco. L'ha curata un giovane intellettuale lucano, Franco Vitelli. La prefazione è di Rossi Doria. Ne aveva dettata un'altra, a Contadini del Sud, apparso nel '54 nei «Libri del Tempo» di Laterza, un anno dopo la morte del trentenne sindaco-poeta socialista di Tricarico. Arrestato di nuovo nel febbraio del '43, Rossi Doria riesce a fuggire dal sesto braccio di Regina Coeli, dopo pochi giorni che Leone Ginzburg gli è morto fra le braccia. Le vicende successive sono più note: insegnamento a Portici nel '44 e direzione dell'«Osservatorio di economia agraria per la Campania», costituito nel '28, quando vi era stato come borsista con Sereni; costituzione, nel '59, del «Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno». Dal partito d'azione. Rossi Doria passò al partito sociali¬ sta, e fu senatore in Irpinia. Legato ai contadini e al collegio in modo non clientelare, egli interruppe una lunga sterile polemica, politicamente inefficace, su cui l'opposizione, ignara degli studi della Svimez, si era stancamente attestata in tutto il Mezzogiorno, indicando «quello che si può e si deve fare», «in tempo e per bene» in una zona povera. Si profilava per la prima volta una soluzione alternativa, un possibile tipo di sviluppo agricolo-industriale per una vasta zona interna della Campania, nel suo rapporto con l'area metropolitana e nel quadro dell'ordinamento regionale, con l'occhio sempre rivolto al movimento migratorio. «I cafoni sono repubblicani», aveva scritto Guido Dorso il 23 maggio 1946. Il 2 giugno dell'anno scorso Rossi Doria ricordava sull'Avanti! (e riprendeva poi l'argomento per il libro a più voci, fresco di stampa, a cura della Regione Campania, La Campania dal fascismo alla Repubblica, introdotto da Luigi Cortesi) che se non ci fosse stata la minoranza repubblicana meridionale, forte di 2 milioni e 600 mila voti, la Repubblica non sarebbe nata. Ma i «cafoni», il cui voto risultò decisivo per far pendere la bilancia a favore della Repubblica, da «forza di rottura» che obiettivamente erano, passarono rapidamente ad una inarrestabile fase di declino. Se si fosse guardato — come allora Rossi Doria guardava — alla riforma agraria come ad un movimento che avrebbe dovuto dar luogo non solo alla divisione del latifondo, secolare aspirazione dei contadini, ma anche ad una organizzazione moderna dell'ambiente, alla creazione di cooperative, ad un'assistenza tecnica e creditizia, capace di sostenere le produzioni, tecnicamente rinnovate, di fronte ai problemi nuovi che si affacciavano, a cominciare da quelli del mercato, ci sarebbe stato un ben diverso sbocco. Su questi temi si accese subito la polemica fra Rossi Doria, che aveva proposto di ammazzare il «gatto nero» della riforma agraria, e i comunisti, fra i quali soprattutto Ruggero Grieco che per questo lo definì, nell'ottobre del '48, «il professor Ammazzagatti». L'osso e la polpa «L'osso e la polpa» del Mezzogiorno. Chi non conosce questa sua celebre classificazione, enunciata già nel '58 alla «Consulta» e ripresa il 5 aprile del '67, a Torino, alla Fondazione Einaudi, in quel seminario su Nord e Sud dove gli altri relatori furono Compagna, Galasso e Graziani? «Non c'è un solo Mezzogiorno agrario, ma molti»: lo affermò per la prima volta a Bari nel dicembre del '44, illustrando le diverse realtà agrarie e la differenza fra latifondo contadino e grande latifondo. C'era in quei giorni con noi Guido Dorso, che aprì il convegno con la sua stupenda relazione sulla classe dirigente meridionale. Ce rano anziani maestri e giovani meridionalisti. Alla luce delle esperienze legate ai movimenti reali Rossi Doria ha senza soste arricchito le sue riflessioni, racchiuse principalmente in due libri, ormai classici: Riforma agraria e azione meridionalij sta, del '48, e Dieci anni di po[lilica agraria nel Mezzogior¬ no, del '58, per non ricordare il Rapporto sulla Federconsorzi, del '63. Presentando nel '64 per Laterza una raccolta delle accurate analisi di giovani appartenenti alla nuova generazione meridionalista col titolo Mezzogiorno e politica di piano, denunciava l'insufficienza di una semplice politica di preindustrializzazione e di incentivi, anticipando indirizzi legislativi attuali. Mi accorgo di aver detto poco del personaggio-anti personaggio, dei suoi silenzi, di fronte all'interlocutore, per studiarlo, delle sue successive interminabili eccitanti1 filippiche. L'ho conosciuto la j prima volta a Bari, in quel memorabile convegno del '44, e subito, come fecero Salvemini, Dorso, Omodeo, Calogero, Sereni, Levi, mio padre ed altri maestri, mi aiutò nell'impresa de «Il Nuovo Risorgimento». Sereni con Giorgio Napolitano aveva dato vita a Napoli ad un Centro economico, che promuoveva convegni su temi di attualità, uno dei quali riguardava i lavori pubblici. Il 26 ottobre del '46, giorno inaugurale, avevo pubblicato sul quotidiano barese La Voce, un articolo in cui invitavo economisti agrari e meridionalisti a dare un contributo al convegno di segno diverso da quello tradizionale: la politica prefascista e fascista dei lavori pubblici nel Sud. Alla stazione di Foggia salirono sulla littorina Rossi Doria e Mazzocchi Alemanni. «Abbiamo letto il tuo articolo», mi fecero. «Ed eccoci qui. Veniamo anche noi a Napoli». Un piccolo episodio. Il testardo, apparentemente scontroso e bisbetico professore, certamente se lo ricorda. Vittore Fiore