Quale esercito?

Quale esercito? LA RIFORMA DELLE FORZE ARMATE Quale esercito? Le profonde riforme che si stanno introducendo nei regolamenti di disciplina delle forze armate sono un adempimento dell'ultimo comma dell'articolo 52 della Costituzione: « L'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica »: una delle tante disposizioni della nostra Carta generiche, e che avrebbe potuto essere interpretata anche neljsenso che i soldati si elegges sero i loro superiori. Si può approvarle incondizionatamente, si possono fare riserve; ma comunque bisogna avere il coraggio di riconoscere che l'esercito (nell'ampia accezione del termine) muta, con uno di quei cambiamenti che trasformano un quid in un aliud, da quello che fu dalla formazione della Unità alla prima guerra mondiale almeno. Mutamento avvenuto per gradi, e che non poteva non seguire, per il profondo variare di tutta la vita associata, del modo di sentire generale. Già da vari anni l'esercito non è più quello idealizzato da De Amicis, e neppure quello, che pur mostrava le sue lacune, dei romanzi militari oggi dimenticati dell'inizio del secolo di Olivieri San Giacomo, né dei più recenti ricordi di ufficiali letterati, ancora di Edgardo Sogno, che si riporta al periodo fascista. La posizione dell'ufficiale fino al 1915, il tempo in cui era prescritta la dote della sposa per ottenere il regio assenso al matrimonio, in cui ogni ragazza della borghesia era orgogliosa di annunciare il suo fidanzamento con un ufficiale e le signore che tenevano un salotto o davano un ricevimento ritenevano questo mancante di un elemento essenziale se non ci fossero alcune divise militari, appare lontano come la Versailles di Luigi XIV. La giustissima soppressione dell'attendente, l'autorizzazione agli ufficiali di vestire in borghese, già di per sé avevano apportato mutamenti rilevanti al vecchio esercito, fondato sul profondo distacco tra ufficiali e sottufficiali, tra sottufficiali e soldati (un tempo nelle città minori erano prescritti i caffé che gli uni e gli altri potessero frequentare senza mai confondersi). Ed ho sempre presente il ricordo che evocava un vecchio archivista di Ministero, già sottufficiale, delie ore di sosta trascorse in attesa di una coincidenza, quando andava in licenza con moglie e cinque figli, perché i sottufficiali potevano viaggiare solo con gli accelerati. Come dovunque, c'erano negli ufficiali i buoni, i comprensivi, i paterni, ma abbondavano pure gl'incuranti, i neghittosi, i nevrastenici, quelli che lasciavano libero sfogo a simpatie ed antipatie verso i sottoposti; l'attendente del colonnello era un'autorità. I due requisiti più apprezzati erano il coraggio fisico, e l'obbedienza incondizionata; dal superiore occorreva tutto accettare: il soldato punito presentandosi dopo scontata la punizione si sentiva chiedere se era contento della punizione inflittagli, e se rispondeva di no, ritornava in prigione. Tutto questo appartiene ad un mondo che ci appare molto più remoto della civiltà contadina morta o morente che Revelli ha rievocato per il Cu- neese: pur se fosse in sé buono qualcuno degli obblighi che la divisa imponeva: nei mezzi pubblici cedere il posto alle donne ed ai vecchi; non assistere inerte ad una rapina (i sequestri in strade frequentate non esistevano ancora), od alle percosse che un uomo imbestialito dava a bambini o ad una donna. Cosa sarà questo nuovo esercito ignoro, né so prevedere. Ma quell'art. 52 della Costituzione, che mi è sempre stato ostico per essere il solo a parlare di sacro dovere della difesa della Patria (degradando cosi tutti gli altri doveri verso la società in cui si vive), mi porta a chiedermi se non ci sarebbero ben più fondamentali riforme da apportare. Confidiamo tutti che non abbiano più ad esserci guerre, né vi vediamo l'Italia coinvolta. Ma pare certo che sarebbero guerre condotte da tecnici, cui solo un piccolo esercito di mestiere potrebbe attendere; e le guerriglie hanno sempre uno sfondo politico, sicché non si può contare su un esercito di leva composto di uomini con idee le più diverse. Se quell'art. 52 della Costituzione stabilisse invece che ogni cittadino, uomo o donna, forte od esile, deve dare al consorzio civile un anno del suo tempo, quasi gratuitamente (ossia col trattamento del soldato di leva oggi) nelle mansioni cui può essere idoneo? Ho molti dubbi sul sistema cinese di fare interrompere l'Università per andare per qualche anno a coltivare la campagna e di fare ritornare per qualche mese al lavoro campestre alti funzionari; ma di fronte a questo abbandono delle campagne che tanto grava sulla nostra economia, non posso non chiedermi se sarebbe davvero impossibile imporre a tutti i ragazzi italiani di fare per un anno quel che in altri Stati molti studenti fanno spontaneamente durante le vacanze, lavorare in un'azienda agricola, in quei lavori che non richiedono esperienza; se per tante ragazze non sarebbe benefica l'esperienza di un anno passato come portantina in un ospedale, o assistente di bambini, od anche nei più umili lavori di lavanderia. Misura antiliberale? Chiedere l'adempimento di qualsiasi dovere sociale è un attentato alla libertà? Ma nessuna società ha mai potuto vivere senza imporre doveri ai consociati. Se mai, nelle condizioni attuali dell'Italia, mi turba il pensiero del « quis custodiet custodes? ». Siamo certi che la caporeparto cui è stata posta a disposizione la portantina di leva saprà costringerla a fare il suo dovere, che il capo dell'azienda agraria non accetterà un compenso per lasciare il ragazzo assegnatogli tornare a casa o scorrazzare tutto il giorno in moto? Dove non si riconoscono autorità, dove si ritiene che sia offendere la dignità umana costringere qualcuno a fare ciò che non gli piace, dove si ritengono inutili le sanzioni quali si siano, difficile pensare a vie di scampo. Ed allora resti l'esercito di leva com'è, con la nuova disciplina: ma segua almeno quel che segue nelle Università: ove quella piccola minoranza che ha voglia di apprendere trova, sol che li cerchi, insegnanti che la seguono, la incoraggiano, che suggeriscono utili ricerche. Cosi nella caserma i coscritti trovino ufficiali e sottufficiali che non si preoccupino di « far sfilare in parata », ma cerchino di allargare il loro orizzonte culturale, insegnare la non facile arte di ragionare e non enunciare assiomi, di rispettare l'avversario; che l'esercito divenga scuola di educazione civile, di pacifica convivenza tra chi pur è su posizioni ideologiche antitetiche. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, De Amicis, Edgardo Sogno, Luigi Xiv, Olivieri San Giacomo, Revelli

Luoghi citati: Italia